Il pretoriano – Simon Scarrow

SINTESI DEL LIBRO:
Quando attraversò il confine della provincia della Gallia Cisalpina,
il piccolo convoglio di carri coperti viaggiava ormai da dieci giorni.
Sulle montagne che svettavano a Nord, oltre la strada, era già
caduta la prima neve: le cime rilucevano contro l’azzurro intenso del
cielo. L’inverno, seppur precoce, era stato clemente con i soldati che
marciavano in coda alla colonna e, nonostante la gelida aria
pungente, non c’era stato un solo giorno di pioggia da quando
avevano lasciato la zecca imperiale con sede a Narbo Martius, nella
Gallia Narbonense. La temperatura rigida aveva indurito il terreno,
rendendolo ottimale per le ruote dei carri stracarichi.
Il tribuno pretoriano al comando anticipava di poco la testa del
convoglio e quando la strada raggiunse la cima di una collina, diede
un leggero strattone alle redini, facendo fermare il cavallo. Di fronte
a lui la strada si allungava in linea retta seguendo l’ondulazione
naturale del terreno. Il tribuno aveva una vista chiara e tersa della
città di Ausculum, distante appena qualche miglio, in cui avrebbe
dovuto incontrarsi con la scorta a cavallo inviata dalla Guardia
pretoriana di Roma, il corpo scelto di soldati incaricati di proteggere
l’imperatore Claudio e la sua famiglia. La centuria di ausiliari che
aveva scortato i quattro carri da Narbo Martius sarebbe poi tornata
indietro alle caserme nei pressi della zecca, lasciando che, per il
resto del viaggio fino alla capitale, della protezione del piccolo
convoglio si occupassero i pretoriani sopraggiunti, al comando del
tribuno.
Balbo si girò sulla sella per controllare il convoglio che risaliva il
pendio alle sue spalle. Gli ausiliari erano guerrieri germanici reclutati
nella tribù dei Cherusci: colossi dall’aspetto feroce con lunghe barbe
incolte che spuntavano dai paraguance degli elmi. Il tribuno aveva
ordinato loro di tenerli in testa mentre attraversavano le colline,
come misura precauzionale contro eventuali imboscate da parte di
bande di briganti che erano solite attaccare e depredare i viandanti
incauti. Balbo sapeva perfettamente che era assai improbabile che
dei briganti potessero azzardare un attacco contro il convoglio. Il
vero motivo di quell’ordine era di tener nascoste quanto più possibile
le barbare capigliature degli ausiliari onde evitare di allarmare le
popolazioni che avrebbero incontrato. Per quanto fosse certo di
poter fare totale affidamento sui guerrieri germanici per la difesa del
prezioso conio della zecca in virtù della loro diretta lealtà
all’imperatore, nutriva comunque un assai romano disprezzo per
quegli uomini reclutati tra le selvagge tribù d’oltre Reno.
“Barbari”, mormorò tra sé e sé, scuotendo la testa. Abituato al
lindore delle coorti pretoriane, aveva mal sopportato l’invio in Gallia
per prendere in consegna l’ultima spedizione di monete d’argento
dalla zecca imperiale. Dopo i tanti anni di servizio come pretoriano,
Balbo si era formato un’idea ben precisa di come dovesse
presentarsi un soldato, e semmai gli fosse stato assegnato il
comando di una coorte di ausiliari germanici, come prima cosa
avrebbe ordinato loro di tagliarsi quelle orribili barbe e darsi così
l’aspetto di veri soldati.
Come se non bastasse, sentiva la nostalgia delle comodità di
Roma.
Balbo era diventato tribuno in maniera assai tipica. Si era arruolato
nella Guardia pretoriana e aveva servito Roma, risalendo pian piano
i gradini della scala gerarchica per poi accettare un trasferimento
come centurione alla Tredicesima Legione sul Danubio, in cui aveva
prestato servizio per lunghi anni prima di chiedere di essere
nuovamente trasferito nella Guardia pretoriana. E trascorso qualche
altro anno di servizio regolare aveva ottenuto la nomina a tribuno al
comando di una delle nove coorti della guardia personale
dell’imperatore. Di lì a qualche anno Balbo avrebbe appeso
l’armatura al chiodo con una generosa gratifica di pensione, per
accettare magari una qualche carica amministrativa in una città della
penisola italica. Aveva già fatto la bocca su Pompei in cui il fratello
minore possedeva delle thermae con palestra. La cittadina era
ubicata sulla costa e aveva una splendida vista sulla baia di Napoli;
era dotata di una scelta di teatri di tutto rispetto e anche di un
bell’anfiteatro per giochi circondato da taverne che vendevano vino a
prezzi stracciati. E con un po’ di fortuna c’era anche la possibilità di
qualche occasionale scazzottata con gli uomini che arrivavano dalla
limitrofa cittadina di Nuceria, pensò Balbo nostalgico.
Dietro le prime cinque unità di ausiliari arrancavano i quattro carri,
pesanti veicoli trainati da dieci muli ciascuno. Accanto a ogni
conducente era seduto un soldato e alle loro spalle teloni di pelle di
capra nascondevano alla vista i forzieri sistemati sui pianali dei carri.
Ogni mezzo trasportava cinque forzieri, ognuno dei quali conteneva
centomila monete d’argento di recentissimo conio, per un valore
complessivo sufficiente a pagare un’intera legione per un anno.
Balbo non poté sottrarsi a una breve considerazione su cosa
avrebbe potuto fare disponendo di una fortuna simile. Poi scacciò
quel capriccio. Lui era un soldato; aveva giurato di obbedire
all’imperatore e di proteggerlo. Il suo dovere era assicurarsi che i
carri raggiungessero le casse dell’erario a Roma. Il tribuno serrò le
labbra, ricordando che alcuni suoi compagni pretoriani avevano una
comprensione assai più elastica del concetto di dovere.
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