Il nido – Tim Winton 

SINTESI DEL LIBRO:

E quindi.
C’era questa macchia sul tappeto, una chiazza umida grande
come un tavolino da caffè. Non aveva idea di come si fosse formata.
Però vedendola si allarmò.
Fino a quel momento, il giovedì non gli era mai sembrato molto
minaccioso.
Era una cosa abbastanza semplice, svegliarsi tardi e con comodo
al suono delle campane del municipio. Le otto, le nove, forse le dieci
del mattino – Keely non aveva voglia di contare i rintocchi. Quel
suono così austero, calvinista, gli dava ai nervi. Anche chiusi,
sentiva gli occhi affaticati dal vino. Temporeggiò per ritardare
l’inevitabile, chiedendosi quanta sofferenza fosse in agguato. Faceva
già caldo nel piccolo appartamento, gravido ed ebbro delle cicche,
delle docce, delle fritture e delle saponate altrui. Gli odori dei suoi
bravi vicini. Ovverosia il tanfo degli estranei, perché i suoi compagni
di condominio erano, per lui, degli alieni – nel modo più completo e
soddisfacente; anonimi e scollegati dal suo mondo, inoffensivi,
nient’altro che tonfi e schiarite di gola dietro a delle spesse pareti
spoglie, echi di risate e cattivi odori a cui non sentiva il bisogno di
dare un volto. Specialmente la pazza della porta accanto – che era
la più strana in assoluto. In tutti quei mesi non l’aveva mai vista.
Sapeva solo che dedicava buona parte delle sue giornate a
difendersi dalle lusinghe di Satana. Che era senz’altro un lavoro
onesto, ma anche molto fastidioso. Soprattutto per lui. Per il
momento osservava un pietoso silenzio, forse perché ancora
dormiva, oppure aveva concordato una tregua con Belzebù tra
colazione e pranzo – volesse Iddio. E volesse anche che se ne
stesse buona finché non si erano esauriti tutti i velenosi postumi
dello Shiraz Barossa della sera prima.
Il palazzo si contorceva al vento, emettendo i suoi perpetui
clangori e lamenti di tubi, e uno strano grido soffocato. Ah, Mirador –
casa, dolce casa.
Sbucciò le orbite dalle palpebre intonando un gemito e si sollevò,
recuperando una postura bipede se non ancora deambulante.
Barcollò un momento, in balia del maltempo e dell’informe
mortificazione di una sorta di risveglio della coscienza. La
sensazione era orrenda anche se, rispetto al quadro d’insieme, il
disagio odierno rappresentava l’ultimo dei suoi problemi. Anzi,
doveva ringraziare il cielo della distrazione. Quel piccolo malessere
era effimero. Insomma, temporaneo. Erano solo i postumi di una
sbronza del cazzo. Ma tutto sommato era un regalo, uno strangolino
di perle gettato a un porco. Perfino i piedi gli facevano male. E aveva
ancora una gamba addormentata.
Il dolore vero doveva ancora arrivare. Una colonna di cenere in
lontananza.
In bagno, sotto a un raggio di luce ustionante, si chinò sullo
specchio per vedere fin dove gli occhi fossero arretrati, lungo il
campo di battaglia del volto. Sopra alla barba preistorica, la pelle era
un ammasso di argilla sfaldata e piena di crepe. Una serie di
calanchi. I denti anneriti dal vino sembravano i resti di un terreno
arso dal sole.
Un palmo alla volta, si trascinò fino alla nicchia ammuffita della
doccia, e restò sotto a un gelido profluvio finché non ebbe esaurito
ogni speranza di riaversi.
L’asciugamano era tutt’altro che pulito. Appena lo premette sul
viso, gli riportò alla mente lo schietto e sincero aroma di muffa dei
fricchettoni. Non per fare confronti, compagni. Ma anche se
annusato da vicino, non raggiungeva l’intensità del gorgonzola.
C’era ancora vita, lì dentro. Almeno per un uomo immune dai
sentimenti. Che si era lasciato andare fino a quel punto.
Si legò il cencio intorno ai fianchi morbidi, scivolò nel soggiorno,
con i suoi finestroni alti fino al soffitto, e contemplò il chiarore
interminabile della frontiera occidentale; il mare luccicante, i tetti di
ferro, le aste delle bandiere, i pini di Norfolk Island. Che
convogliavano tutto il loro crudele, abbacinante splendore sui resti
del mattino.
Il porto di Fremantle, porta d’accesso del fiorente Stato
dell’Australia Occidentale. Che volendo, è un po’ come il Texas. Solo
più grande. E delicato, ovviamente. E ricco oltre l’immaginabile. Il
giacimento minerario più grande del mondo. La cassaforte
nazionale, che foraggia l’arroganza della Cina. Un gigante filisteo,
ansioso di spacciare per virtù la sua immensa fortuna, sempre
pronto ad attribuire le sue mancanze alle cospirazioni della costa
orientale, perennemente sul punto di staccarsi dalla Federazione. Un
Leviatano dall’intestino irritabile.
Le grandi zanne luccicanti della bestia s’intravedevano a est, oltre
la finestra della cucina. Non che stesse guardando. Ma se la sentiva
alle spalle, la capitale dello Stato che si stagliava in lontananza
lungo la pianura, nella sua sterile penombra tirata a lucido. Era solo
a mezz’ora da lì, risalendo lo Swan River, vicina e incomprensibile
come un fratello. Perché al contrario di Perth, che aveva demolito il
suo passato a colpi di bulldozer e sepolto ogni dubbio sotto quella
furia, Fremantle coltivava i suoi rancori grattandosi il culo.
Ed eccola lì ai suoi piedi. La cara, vecchia Freo. Giaceva stordita
e desolata alla foce del fiume, schiaffeggiando il molo con le sue
acque putride, con le ossa bene in evidenza malgrado gli eccessi e i
danni dell’età. Modesta di estrazione ma costosissima, sdegnosa e
negletta in ugual misura, con i suoi capannoni georgiani, i pub
vittoriani, i cottage in pietra calcarea e le verande di pizzo
sopravvissute solo in virtù di un secolo di incuria politica.
Accovacciata contro il vento del deserto, tremante sotto il sole
australe.

SCARICA IL LIBRO NEI VARI FORMATI :

Commento all'articolo

Potresti aver perso questo