Il musulmano errante. Storia degli alauiti e dei misteri del Medio – Alberto Negri

SINTESI DEL LIBRO:
L’invito del generale Mahamoud ha una venatura ironica, anche se
del tutto involontaria: «Vi aspetto per un breakfast eccezionale in cima
alla cittadella di Aleppo», la fortezza millenaria appena espugnata dai
soldati di Damasco. Ma insieme al tè arriva anche la raffica di un
cecchino dei ribelli che sbriciola una finestra del museo, nella parte
più alta dell’acropoli, alle spalle della scrivania del generale. Il
bicchiere del tè per un attimo ondeggia sul tavolino. I militari di
Bashar al-Asad non hanno neppure finito di festeggiare le ultime
conquiste che la guerriglia torna a ondate, incessante, come una
risacca dal moto perpetuo.
La battaglia di Aleppo nel centro storico e nella parte orientale si
combatte strada per strada, giorno dopo giorno. I ribelli hanno
confermato la «ritirata tattica» da Salaheddin, fino a due giorni fa la
loro roccaforte, ma soltanto «per aprire un nuovo fronte» nei vicini
sobborghi di Saif al-Dawla e Mashad, ha precisato Wassel Ayub,
comandante della brigata Nur al-Haq dell’Esercito libero siriano (Els).
La verità sta forse nelle parole di un altro leader degli insorti, Hossam
Abu Mohammed, secondo il quale «i combattenti si stanno
riposizionando a Sukari» verso la periferia sudorientale, dove si
schierano per un nuovo scontro con i carri armati di Bashar.
Ma la guerriglia non può certo rivelare ai media i suoi piani di
battaglia: le incursioni improvvise e gli spostamenti veloci dei
combattenti sono le sue armi migliori, le uniche davvero efficaci.
Se ad Aleppo Est infuriano gli scontri e nei bombardamenti dei
lealisti sono morte in un panificio una dozzina di persone, tra cui tre
bambini, nella parte Ovest la città mostra un volto quasi normale, con
i negozi aperti e la gente per strada. Ieri appariva tranquilla anche la
famigerata strada dell’aereoporto che ho percorso due volte nel
tentativo di trovare un volo per Damasco. «L’esercito – dicono i
bollettini ufficiali – ha ucciso decine di terroristi che tentavano di
attaccare l’aereoporto». L’unico fatto certo è che alle cinque del
pomeriggio lo scalo era quasi deserto e i voli cancellati.
La cronaca di questo conflitto, con notizie difficili da verificare anche
stando sul posto, è contrastante: l’esercito di al-Asad ha più armi dei
ribelli, gli insorti – ed è comprensibile davanti a un regime dalla
pessima fama – hanno i media internazionali dalla loro parte, in
particolare le tv arabe del Golfo. Ma qui si tratta di capire soprattutto
quale direzione può prendere questa vicenda per non trovarsi di
fronte, poi, a una realtà assai diversa da quella che viene descritta.
Il generale Mahamoud, nonostante le raffiche ravvicinate, mostra
ovviamente un certo ottimismo: «Entro dieci giorni, alla fine del
ramadan, occuperemo tutta la città». In questo salone, dove le vetrine
espongono fragili reperti archeologici con tremila anni di storia, una
targa dorata ricorda che il 28 agosto del 2008 Bashar al-Asad e Karim
Aga Khan, mecenate e capo spirituale degli ismailiti, inaugurarono i
restauri della cittadella. Nessuno allora poteva immaginare che gli
imponenti bastioni della Qalah, disseminata di tombe illustri, leoni e
draghi avvinghiati, sarebbero diventati teatro di una battaglia
contemporanea, combattuta sull’orizzonte delle moschee omayyadi e
ottomane, tra hotel di lusso, boutique ed eleganti caffè.
Per l’effetto sorpresa della guerriglia il breakfast con il generale ci va
quasi di traverso. Questa volta sotto il tiro degli insorti dobbiamo
scendere di corsa lungo le mura della Qalah, attraversando la porta
principale della fortezza sgretolata da un colpo di mortaio. I due fronti
adesso si accusano a vicenda di averla bombardata mentre i capolavori
dell’architettura musulmana sono diventati l’arena di una guerriglia
urbana dall’esito incerto, per ora imprevedibile. «In Siria non ci sarà
un vincitore», ha detto Ban Ki-moon, il segretario generale dell’Onu
che si prepara ad affidare il ruolo di mediatore di Kofi Annan
all’algerino Lakhdar Brahimi, nel 1992 ministro degli Esteri della
giunta militare del colpo di stato antislamico. La triste prospettiva di
questa guerra civile è che a lungo termine distruggerà non soltanto
città e villaggi ma anche il tessuto sociale di una convivenza che già
sembra perduta.
Sulla strada di Salaheddin, il quartiere più bombardato di Aleppo, la
signora Nour Amandush lascia la sua casa con il marito Mohavian e i
tre figli. Si vedono circolare auto di famiglie in fuga con materassi e
suppellettili, come in questa guerra civile è già accaduto a Homs,
Hama, Idlib. Oltre 150 000 sono i profughi nei paesi confinanti, un
milione e mezzo, dicono le organizzazioni umanitarie, i rifugiati
interni che si lasciano dietro città fantasma. Nour spera ancora di
tornare domani nella sua casa di Salaheddin ma lo dice senza
convinzione, scrutando con sospetto i cannoni dei carri armati di
Bashar.
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