L’incredibile storia di António Salazar, il dittatore che morì due volte – Marco Ferrari

SINTESI DEL LIBRO:
La vita sedentaria e monotona del forte riprese come ogni estate. La sua
ultima apparizione pubblica era stata il 13 luglio a una manifestazione di
trasportatori che innalzavano lo striscione Il personale dei trasporti ringrazia
Salazar. Dal 26 luglio Salazar e la governante Dona Maria si erano
trasferiti all’Estoril, secondo un cerimoniale tradizionale. Il loro
spostamento al forte permetteva poi la grande pulizia annuale degli uffici
di São Bento. L’imponente costruzione del forte, voluta da Filipe I a
difesa del Tago, protetta da un ponte levatoio, sulla Estrada Marginal che
va dalla capitale a Cascais, era una colonia estiva lussuosa per i figli dei
militari, l’Instituto de Odivelas. Salazar pagava di suo pugno l’affitto della
parte dell’edificio che occupava, come un distinto pensionando. Ogni
anno stipulava un contratto con le tabelle delle spese da affrontare. E per
correttezza si faceva mandare pure i preventivi di altre pensioni della zona
del litorale, ma poi finiva sempre a Santo António.
Dopo la pesante caduta, alle persone più intime non nascondeva i dolori
di testa a cui cercava di rimediare prendendo delle aspirine. Ma il suo
interesse era rivolto alla composizione del nuovo governo, alla guerra
d’Africa e alla Primavera di Praga. Si permise di sconsigliare ai suoi
ministri di partecipare ai fastosi balli organizzati per i primi di settembre
da Patiño e Schlumberger, i quali volevano trasformare il Portogallo in un
centro di cosmopolitismo mondano, contrario com’era a ogni forma di
esibizionismo. Il primo fu quello offerto dal magnate boliviano Antenor
Patiño, il re dello stagno, ad Alcoitão, tra Cascais e l’Estoril, seguito
l’indomani da quello organizzato dal signor Pierre Schlumberger, sposato
con una portoghese, nella sua casa di vacanza a Colares, entrambi
neoricchi con una gran voglia di farsi conoscere. Schlumberger lo
chiamavano Signor 5% perché doveva la sua fortuna all’invenzione di un
sistema per il raffinamento del petrolio adottato da tutte le grandi
compagnie petrolifere. Per ogni impianto estrattivo gli spettava quella
percentuale.
Di fatto, lo sbarco di personaggi influenti da tutto il mondo intasò
l’aeroporto di Lisbona tanto che i facchini ammassarono pile di valigie di
Vuitton sui carrelli distribuendole poi a casaccio nelle varie Rolls Royce
che attendevano fuori, causando non pochi bisticci tra i nuovi arrivati.
Approfittando di quelle presenze, i gemelli Francisco e Carlos Palha,
proprietari terrieri, organizzarono una festa campestre, detta Arraial, con
tori, balli, asado e tavolate all’aperto. La nota attrice Zsa Zsa Gábor,
pseudonimo di Sári Gábor, ungherese naturalizzata statunitense, fu
pizzicata con teli e asciugamani dell’albergo Palace dell’Estoril nascosti
nella valigia e solo l’intervento dell’ambasciata americana la salvò dallo
scandalo. A rompere l’ordine ci pensò l’irrequieta figlia del Presidente
della Repubblica, Natalia Tomás, pronta a partecipare alle feste, creando
qualche tensione tra le due massime cariche ufficiali dello Stato lusitano.
Con lo sguardo sempre più perso nel nulla, Salazar si appoggiava al muro
del terrazzo del Forte di Santo António da Barra e scrutava l’immensità
dell’oceano. Poi si sedeva su una seggiola assai sicura, inforcava il binocolo
e osservava le barche di passaggio oppure inquadrava le persone che
prendevano il sole sugli scogli. Forse quella donna o quell’uomo erano
nella sua testa, forse erano seguiti dagli agenti della polizia politica, la
Pide, oppure erano stati arrestati e poi rilasciati. Era gente che dipendeva
da lui: la loro felicità era condizionata, come la loro libertà. Eppure, quei
gesti estivi e naturali gli parevano una concessione che regalava al popolo.
Non fidandosi troppo di altre seggiole, oramai sedeva solo nella poltrona
stile Alabama, con le gambe in legno di faggio, i braccioli ben visibili e
corpo centrale e schienale imbottiti. A dispetto della sua discrezionalità,
in quel mese accettò di essere fotografato. A pranzo sedeva al solito tavolo
imbandito con una tovaglia con qualche ricamo e un vaso di fiori nel
mezzo. Si vestiva di bianco e si metteva una cravatta scura. Aveva ricevuto
il Presidente della Repubblica Américo de Deus Rodrigues Tomás per
discutere del rimpasto di governo, ma sembrava difficile trovare un assetto
diverso, a parte una linea ideologica basata sulla fedeltà e sulla
competenza.
Il 15 agosto Salazar accolse a braccia aperte la scrittrice e giornalista
Christine Garnier e il suo nuovo marito, che decisero di trattenersi alcuni
giorni in un hotel dell’Estoril. Il conto venne pagato dal Presidente del
Consiglio di tasca propria. Già nel 1951 Christine Garnier aveva scritto
un libro su di lui, durante un soggiorno in Portogallo (Vacances avec
Salazar, edito da Grasset), facendo conoscere agli europei quell’uomo
discosto e schivo. Avendo acquisito una certa intimità con l’autrice – si
diceva fosse l’unica donna verso cui manifestò apertamente un amore
platonico – lui per la prima volta le parlò della morte. L’eterno dittatore si
sentiva più vicino a Dio, ma aveva anche il rammarico di veder crollare la
sua creatura. Non poteva trattenere il tempo, nonostante il suo orologio,
un vecchio Roskopf, non si fosse mai fermato un solo istante e lui stesso
si premurava di ricaricarlo ogni sera prima di coricarsi. Gli oggetti che lo
circondavano erano gli stessi: la stessa macchina fotografica Zeiss Ikon, la
stessa borsa di pelle sempre piena di fogli e libri, lo stesso rasoio da barba,
la stessa lozione dopobarba Floid, lo stesso bastone da passeggio, la stessa
penna, gli stessi temperini, almeno venti. Li conservava perché così
conservava anche il tempo che contenevano, anche se in quell’estate
sentiva un’improvvisa necessità di accelerare le cose.
Così il 19 agosto annunciò il nuovo governo e incontrò i neoministri, il
26 scrisse una lettera al capo di Stato del Biafra assicurando un appoggio
portoghese all’indipendenza dello stato secessionista. Il suo impegno
politico era però venato da un sentore interiore che non aveva mai
conosciuto prima, un’ansia del corpo. Il manifestarsi della crisi si ebbe già
il 27 agosto, quando per un forte mal di testa prese delle aspirine e
chiamò il suo medico. Da quel momento i dolori al capo divennero
frequenti.
Il 31 agosto arrivò al Forte di Santo António da Barra anche la sua
f
iglioccia, Maria da Conceição de Melo Rita, detta Micas, rientrata dalle
ferie in Algarve con il marito. La donna si mostrò preoccupata per le
condizioni di Salazar, anche se lui cercò di smorzare l’ansia della persona
che da tempo gli stava accanto. Il giorno seguente il Presidente Tomás gli
fece visita e lo trovò di buon umore. Il 3 settembre si tenne a Lisbona la
prima riunione del nuovo gabinetto. Salazar appariva estraniato,
silenzioso, distaccato da quel Consiglio dei ministri che doveva rilanciare
l’attività governativa. La mattina dopo ebbe difficoltà a firmare la solita
corrispondenza, la sua calligrafia era incerta. Passò la notte con forti
dolori alla testa. Quando arrivò, il dottor Coelho constatò che la sua
gamba destra era bloccata e la sua memoria vaga. Il giorno dopo si recò al
forte il dottor Luís Ferraz de Oliveira, oculista, che esaminò il fondo degli
occhi. A suo parere, c’era la possibilità che si fosse formato un ematoma
che comprimeva il cervello di Salazar. Nel frattempo lo stato clinico
peggiorava e cominciavano a manifestarsi sintomi di emiplegia sul lato
destro, il che permetteva di localizzare l’ematoma sul lato sinistro del
cervello. A quel punto Coelho e Ferraz decisero di contattare il
neurologo Miranda Rodrigues e il neurochirurgo Moradas Ferreira, ma
poi optarono per il neurochirurgo António de Vasconcelos Marques con
il quale fissarono una visita per il giorno successivo, 6 settembre,
all’Estoril. Dopo un accurato controllo, il medico consigliò l’immediato
ricovero.
La più lunga notte del regime
Era sera, il cielo striato della costa annunciava il lento calare della luce e
un progressivo buio inghiottì le sagome urbane delle località turistiche. In
pochi sapevano che quello era il tramonto dell’impero portoghese. Seduto
sul retro della vettura, accanto a Coelho e Vasconcelos Marques, Salazar
aveva uno sguardo assente, pieno d’incredulità per quello che gli stava
accadendo, lui che si considerava eterno. Davanti stavano seduti l’autista
Manuel e il direttore della Pide, Silva Pais. Nel tragitto i due medici
cercavano di tastare le sue capacità mentali, ma Salazar non rispondeva a
domande semplici: in quale ateneo si era formato o in quale anno si era
laureato. Quando l’autista fermò la Cadillac alla porta dell’ospedale
Capuchos di Lisbona, dove i medici erano pronti per un
elettroencefalogramma, il Presidente scese da solo, ma non camminò
molto, aspettando una sedia a rotelle. Aveva bisogno di aiuto e, sedendosi,
disse pian piano, rivolto più a sé stesso che agli altri: «È incredibile,
sembra incredibile». La macchina si mosse di nuovo, poco dopo, in
direzione dell’ospedale di São José per una radiografia. Entrambi gli esami
non portarono ad una diagnosi certa. Si decise allora di ricoverarlo alla
Casa della Salute della Croce Rossa, nel quartiere di Benfica, dove giunse
alle 23,30 e venne ospitato nella stanza 68, al sesto piano, la cui ala era
libera.
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