L’impero del sole – James Graham Ballard

SINTESI DEL LIBRO:
Le guerre vennero presto a Shanghai, succedendosi l'un l'altra al
modo delle maree che rimontavano rapide lo Yangtze e restituivano
alla sfarzosa città tutte le bare affidate alle acque dai moli funerari
del Bund cinese. Jim aveva cominciato a sognare di guerre. La notte,
sulla parete della sua camera in Amherst Avenue sembravano
snodarsi gli stessi film muti, che trasformavano la sua mente
addormentata in una sala vuota da proiezione. Durante l'inverno del
1941, tutti, a Shanghai, proiettavano film di guerra. Frammenti di
sogni seguivano Jim in giro per la città : negli atri degli empori e degli
alberghi, le immagini di Dunkerque e di Tobruk, dell'operazione
Barbarossa e del Sacco di Nanchino, gli esplodevano nella mente
sovraccarica. Come dovette constatare con sbigottimento, anche il
decano della cattedrale di Shanghai si era munito di un antiquato
proiettore. Dopo il servizio domenicale del 7 dicembre, vigilia
dell'attacco giapponese a Pearl Harbor, i chierichetti furono
trattenuti e condotti, con le tonache ancora indosso, giù nella cripta.
Qui, seduti su una fila di sedie a sdraio requisite allo Shanghai Yacht
Club, assistettero alla proiezione di una Marcia del tempo vecchia di
un anno. Pensando ai suoi sogni confusi, e intrigato dalla mancanza
di colonna sonora, Jim prese a tirarsi la gorgiera. L'assolo d'organo
trapassava martellante il soffitto di cemento come un mal di testa, e
lo schermo tremolava d'immagini familiari di battaglie di carri e di
zuffe aeree. Jim non vedeva l'ora di prepararsi per la mascherata
natalizia che si sarebbe tenuta, quel pomeriggio, dal dottor
Lockwood, il vicepresidente dell'Associazione Residenti britannici. Ci
sarebbe stato il viaggio attraverso le linee giapponesi fino a Hungjao,
e poi i giocolieri cinesi, i fuochi d'artificio, e altri cinegiornali; ma Jim
aveva ragioni sue personali per desiderare di partecipare al
ricevimento del dottor Lockwood. Davanti alla porta della sagrestia,
gli autisti cinesi, in attesa accanto alle Packard e alle Buick,
discutevano fra loro con toni di stizza. Annoiato dal film, già visto
una dozzina di volte, Jim ascoltava Yang, l'autista di suo padre,
stuzzicare il sagrestano australiano. Assistere alla proiezione dei
cinegiornali era diventato un dovere patriottico di ogni espatriato
britannico, come le riffe benefiche al circolo sportivo. I balli e i
trattenimenti all'aperto, e le innumerevoli bottiglie di scotch
consumate a favore dello sforzo bellico (come tutti i bambini, Jim era
affascinato dall'alcool, che vagamente disapprovava) non avevano
tardato a provvedere quanto bastava per l'acquisto di 1 Spitfire,
probabilmente 1 di quelli abbattuti al primo volo (si diceva Jim), col
pilota svenuto tra i fumi del Johnnie Walker. I cinegiornali,
rientranti nello sforzo propagandistico compiuto dall'Ambasciata
britannica per controbattere i film bellici tedeschi e italiani proiettati
nei teatri pubblici e nei circoli shanghaiani dell'Asse, Jim, di solito, li
divorava. A volte, quelli inglesi della Pathé gli davano l'impressione
che, in Gran Bretagna, la gente, a dispetto della serie ininterrotta di
sconfitte, godesse un mondo della guerra. I film della Marcia del
tempo, invece, erano più cupi, d'una cupezza che lo attraeva.
Soffocando nella tonaca attillata, Jim osservò un Hurricane in
fiamme precipitare da un cielo di bombardieri Dornier verso un
paesaggio di prati inglesi da libro d'infanzia; un paesaggio da lui mai
conosciuto. La Graf Spee giaceva affondata in un fiume, il Rio della
Plata, altrettanto malinconico dello Yangtze, e nuvole di fumo si
levavano da una misera città dell'Europa orientale, il pianeta nero da
cui era fuggita 6 mesi addietro, su una nave di profughi, la sua
governante diciassettenne Vera Frankel. Il film terminò, finalmente,
e
Jim respirò di sollievo. Lui e i suoi compagni uscirono
trotterellando nella strana luce del giorno, incontro agli autisti.
Patrick Maxted, il suo amico più intimo, aveva lasciato Shanghai per
nave, con la madre, alla volta della sicurezza rappresentata dalla
"Fortezza" britannica di Singapore, e Jim sentiva di dover assistere ai
film per lui, e anche per le russo-bianche che vendevano i loro gioielli
sui gradini della cattedrale e per i mendicanti cinesi che sostavano
fra le tombe. La voce del commentatore seguitava a echeggiargli nella
mente, mentre la Packard dei genitori lo riconduceva a casa per le
affollate strade di Shanghai. Yang, l'autista dalla parlata rapida,
aveva avuto occasione di lavorare da comparsa in un film di
produzione locale con Chiang Ching, l'attrice che aveva abbandonato
la carriera per unirsi al leader comunista Mao Tse-Tung. Yang ci
godeva a impressionare il suo passeggero undicenne con storie
spropositate di cascatori ed effetti speciali, ma quel giorno lo ignorò,
lasciandolo relegato sul sedile posteriore. Guidava pigiando a tutta
forza il potente clacson della Packard, e duellando senza soste con gli
aggressivi coolies dei risciò che tentavano, col loro affollamento, di
espellere le macchine straniere dalla Bubbling Well Road. Il
finestrino abbassato, menava scudisciate col suo frustino da cavallo
contro i pedoni sbadati, le saltellanti entrameuse con le borsette
americane, le vecchie amah curve sotto i gioghi di bambù da cui
pendevano polli decapitati. Un autocarro scoperto, carico di
giustizieri dello stato, sterzò davanti alla Packard, diretto al luogo dei
pubblici strangolamenti nella Città vecchia. Un piccolo accattone ne
approfittò per farsi sotto. Battendo il pugno contro le portiere della
macchina, e stendendo la mano, prese a lanciare a Jim l'invocazione
tipica delle strade di Shanghai: "Niente mamma, niente papà , niente
whisky soda!" Yang lo colpì con una frustata; lui cadde, poi si rialzò
di scatto fra le ruote anteriori di una Chrysler in arrivo, e prese a
correre lungo questa. "Niente mamma, niente papà ..." Jim detestava
il frustino, ma apprezzava il clacson della Packard. Se non altro, esso
arrivava a soffocare il fragore dei caccia a 8 mitragliere, l'urlìo delle
sirene antincursione di Londra e Varsavia. Lui, della guerra europea,
ne aveva più che abbastanza... La sgargiante facciata dell'emporio
della Sincere Company era dominata da un immenso ritratto di
Chiang KaiShek esortante i cinesi a sempre maggiori sacrifici nella
lotta contro i giapponesi.
Una debole luce, riflessa da un tubo difettoso al neon, tremolava
sopra la morbida bocca del Generalissimo, il medesimo tremolìo che
aveva visto nei suoi sogni... L'intera Shanghai si stava trasformando
in un cinegiornale di cui la sua mente era il proiettore. Aveva avuto
danneggiato il cervello dai troppi film di guerra? Lui aveva tentato di
parlare alla madre dei suoi sogni, ma, come tutti gli adulti di
Shanghai, quell'inverno, essa era troppo preoccupata per ascoltarlo.
Forse faceva brutti sogni anche lei. La cosa più inquietante era che le
immagini frammischiate di carri armati e di bombardieri da
picchiata erano completamente silenziose, come se la sua mente
addormentata si sforzasse di separare la guerra vera dai conflitti finti
inventati dalla Pathé e dalla British Movietone. Jim non aveva dubbi
su quale fosse la guerra vera. La guerra vera era tutto ciò che aveva
visto di persona dall'inizio dell'invasione giapponese della Cina, nel
'37: i vecchi campi di battaglia di Hungjao e Lunghua, dove le ossa
dei morti insepolti affioravano alla superficie delle risaie ogni
primavera; le migliaia di profughi cinesi che morivano di colera nei
recinti chiusi di Pootung; le teste sanguinolente dei soldati cinesi
impalate su picche lungo il Bund. Nella guerra vera, nessuno sapeva
da quale parte stesse, né esistevano bandiere, commentatori o
vincitori. Nella guerra vera, non esistevano nemici. Per contro,
l'imminente conflitto tra la Gran Bretagna e il Giappone, che tutti a
Shanghai s'aspettavano per l'inizio dell'estate del '42, apparteneva al
dominio del sentito dire. La nave rifornimento addetta all'incursore
tedesco del Mar Cinese visitava ora apertamente Shanghai e gettava
l'Ã ncora nel fiume, dove caricava carburante da una dozzina di
chiatte, molte delle quali appartenenti a compagnie petrolifere
americane, osservava beffardamente il padre di Jim. Quasi tutte le
donne e i bambini americani erano stati evacuati da Shanghai. Nella
sua classe, alla scuola della cattedrale, Jim era circondato da banchi
vuoti. La maggioranza dei suoi amici e delle loro madri era andata a
mettersi in salvo a Hong-Kong e a Singapore, mentre i padri
chiudevano le case per trasferirsi negli alberghi lungo il Bund.
All'inizio di dicembre, dopo la scuola, Jim aveva preso a raggiungere
suo padre sul tetto del palazzo degli uffici di Sze-chwan Riad, per
aiutarlo a dar fuoco alle casse d'incartamenti ivi trasportate, in
ascensore, dagli impiegati cinesi. I frammenti di carta bruciata,
aleggiando in lunghe teorie sopra il Bund, si mescolavano al fumo
delle impazienti ciminiere degli ultimi vapori in uscita da Shanghai. I
barcarizzi erano affollati di passeggeri: eurasiatici, cinesi ed europei
che lottavano per imbarcarsi con fagotti e valigie, pronti a correre il
rischio dei sottomarini tedeschi in attesa nell'estuario dello Yangtze.
Dai tetti dei palazzi di uffici del quartiere degli affari si levavano
fiamme di falò, osservate al binocolo dagli ufficiali giapponesi
occupanti le casematte di cemento oltre il fiume, a Pootung. E ciò che
soprattutto preoccupava Jim era non la collera, ma la pazienza dei
giapponesi. Non appena furono a casa, in Amherst Avenue, Jim corse
di sopra a cambiarsi. Amava le babbucce persiane, la camicia
ricamata di seta e i calzoni di velluto blu che lo facevano sembrare
una comparsa del Ladro di Bagdad, e non vedeva l'ora di essere al
ricevimento del dottor Lockwood. Avrebbe sopportato giocolieri e
cinegiornali, e poi si sarebbe recato all'appuntamento segreto a cui
non aveva potuto recarsi da molti mesi per via delle voci di guerra.
Per colmo di fortuna, la domenica, Vera aveva il pomeriggio libero,
che essa occupava nella visita ai genitori nel ghetto di Hongkew.
Giovane, poco più di una bambina essa stessa, e annoiata, Vera usava
seguire Jim ovunque, come un cane da guardia. Quella domenica,
dunque, una volta ricondotto a casa da Yang (i suoi genitori
sarebbero rimasti a cena dai Lockwood), egli avrebbe potuto vagare
liberamente per la casa vuota, ciò che era il suo massimo piacere.
Certo, ci sarebbero stati i 9 domestici cinesi; ma questi, per lui come
per gli altri ragazzi britannici, erano solo figure passive e senz'occhi,
come i mobili. Avrebbe finito di verniciare il suo aereo in legno di
balsa, e completato un altro capitolo del manuale per giocare a
bridge contratto che stava scrivendo su un quaderno di scuola. Dopo
anni passati ad ascoltare ciò che dicevano i partecipanti ai bridge di
sua madre, e a cercare di trarre una qualche logica da quei Un
quadri, Passo 3 cuori, 3 senz'assi, Doppio tris e Raddoppio. era
riuscito a farsi insegnare le regole e anche a padroneggiare i segnali
convenzionali, un codice entro un codice, di una specie che lo
interessava da sempre. Con l'aiuto di una guida di Ely Culberston egli
si accingeva ora ad affrontare il capitolo più difficile in assoluto,
quello sull'accuso psicologico, e ciò senza avere mai giocato una sola
mano, ancora.
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