L’enigma Barabba – Salvo Toscano

SINTESI DEL LIBRO:
Se questa fosse una di quelle storie con una voce narrante
estranea alla vicenda, inizierebbe nel buio di un vicolo del centro
storico di Palermo. È maggio ma non fa ancora il solito caldo. È stata
una primavera piovosa, nella notte sulla città s’è rovesciato
l’ennesimo acquazzone, adesso il cielo va aprendosi, tra qualche ora
svelerà i primi raggi di un sole destinato a rimanere timido ancora
per molti giorni. Sono le tre e le strade di questa fetta abbandonata
di città sono quasi deserte. Le ultime nigeriane e ghanesi hanno
smontato da poco, rientrando in tuguri puzzolenti avvolte in variopinti
vestitini che ne esaltano l’ebano della pelle e il fisico da statue.
Qualche solitario ostinato continua a girare in auto intorno al
percorso sul quale puoi trovarle, invertendo nervosamente la marcia
in fondo a via Lincoln per concedersi un ultimo giro nella speranza di
raccattare ciò che è rimasto dello smercio del sesso a buon mercato.
Anche l’ultimo travestito chiude bottega vicino a piazza Borsa, fischia
a un’auto con a bordo il solo conducente, poi da una borsa tira fuori
una sigaretta, accartoccia il pacchetto e se lo getta alle spalle, per
terra. Si sistema l’autoreggente poco sotto la minigonna, scatarra e
si
avvia sculettando verso casa. Due poliziotti sbarbati, l’auto
posteggiata dall’altra parte della strada a far la guardia a qualche
magistrato, gli riservano un attimo di attenzione, poi tornano a
parlare fra loro con aria svogliata.
Tre ragazze passeggiano traballanti poco fuori dal pub che resta
aperto fino all’alba. Due sono ubriache e infarciscono i loro sproloqui
di volgarità . La terza, Barbara, fa meno chiasso, cammina un po’ in
disparte, è pallida, si sbottona la camicetta come per respirare
meglio, guarda l’orologio ma non mette a fuoco l’ora. Ha bevuto
troppo, guarda le amiche camminare davanti a sé. Guarda Alba con i
suoi fianchi larghi e i rotoli di grasso che traboccano dai pantaloni a
vita bassa. Guarda Romina con la minigonna e le calze a rete
ancheggiare con la bottiglia di birra ancora in mano e i capelli biondi
che le cadono giù in disordine, mentre nell’altra mano tiene il
giubbotto jeans e non si accorge nemmeno che lo sta trascinando
per terra, in mezzo a tutto quel lerciume. Qualcuno adesso la
fermerà e le chiederà quanto vuole, pensa Barbara, e per un attimo
ride. Barbara guarda Alba e Romina, ma rimane indietro, la nausea
le violenta la gola, la testa comincia a girare e con essa il mondo
intero, i lampioni malconci mandano una luce fastidiosa. Prova a
chiamare le amiche, ma la voce viene fuori debole, quasi muore nel
petto, soffocata dal peso del vomito che sta venendo su. Barbara lo
sente, sempre più in balia della nausea e dell’alcol.
Dalla viuzza che stanno percorrendo si apre un vicolo buio, che
porta a qualche catapecchia disabitata. Alba e Romina l’hanno giÃ
superato, mancano cinque minuti a piedi per arrivare al loro
appartamento di studentesse fuori sede. Barbara sente che quei
cinque minuti sono troppi, un conato le spezza lo stomaco, un flusso
violento le esplode dentro e lei istintivamente si sporge nel vicolo, fa
due o tre passi e poi di scatto si piega in avanti. Con la sinistra
s’appoggia al muro e con la destra si regge la fronte. Vaffanculo,
pensa, mentre vomita e tossisce, sporcandosi la camicetta e la
punta delle scarpe nere. Un altro conato, un altro colpo di tosse, poi
un senso di svuotamento e di sollievo. Resta appoggiata al muro,
mentre alle sue spalle passa un’auto con la radio che martella
musica da discoteca. Le amiche, qualche decina di metri più avanti,
si sono accorte che è rimasta indietro. Romina la chiama. Lei adesso
prende fiato e si rimette dritta, ansimante. Fissa per un po’ quello
che ha vomitato lì per terra, poi allunga lo sguardo qualche metro più
avanti, nel buio del vicolo, oltre un montarozzo di sacchetti di
spazzatura. E la vede.
Piegata su sé stessa, in avanti, seduta su due gradini che portano
all’uscio di una casa diroccata. Le braccia distese, abbandonate, le
unghie dipinte con smalto nero, i capelli biondissimi che coprono
metà del viso; si scorge l’occhio aperto, sbarrato, la bocca
socchiusa, la siringa sottile abbandonata per terra proprio davanti ai
suoi piedi. Barbara cerca di gridare, ma ancora la voce le muore nel
petto, soffocata non più dalla nausea, ma dall’orrore. Resta
immobile, si porta le mani sul viso. Non si volta verso Romina, che
nel frattempo l’ha raggiunta e alle sue spalle ridacchia sguaiata. Ha
solo il tempo di sentire l’amica che urla di paura, poi le gambe le
cedono e tutto diventa buio e silenzio. Barbara sviene, mentre
Romina accanto a lei chiama Alba, gridando e singhiozzando senza
riuscire a staccare gli occhi dal cadavere nel vicolo.
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