Le sirene di Titano – Kurt Vonnegut

SINTESI DEL LIBRO:
Oggi tutti sanno come trovare dentro di sé il significato della vita.
Ma l’umanità non è stata sempre così fortunata. Meno di un
secolo fa uomini e donne non avevano facile accesso agli enigmi
che hanno dentro di sé.
Non sapevano nominare nemmeno uno dei cinquantatré portali
dell’anima.
E le religioni più stravaganti facevano affari d’oro.
L’umanità, ignara delle verità che sono chiuse in ogni essere
umano, guardava fuori, premeva sempre più verso l’esterno. Ciò che
l’umanità sperava d’imparare dalla sua spinta verso l’esterno era chi
fosse veramente responsabile di tutto il creato, e quale senso
avesse tutto il creato.
L’umanità mandava i suoi agenti in avanscoperta verso l’esterno,
sempre più verso l’esterno. E alla fine li lanciò nello spazio, nel mare
senza colore, senza sapore e senza peso di un esterno senza fine.
Li tirò come si tirano dei sassi.
Questi agenti sfortunati trovarono ciò che si era già trovato in
abbondanza sulla Terra: un incubo d’insensatezza senza fine. I doni
dello spazio, dell’esterno senza fine, furono tre: vuota retorica, farsa
e morte senza scopo.
L’esterno perse, alla fine, le sue immaginarie attrattive.
Rimaneva da esplorare soltanto l’interno.
Solo l’anima dell’uomo rimaneva terra incognita.
Questo fu l’inizio della bontà e della saggezza.
Ma com’era la gente di una volta, con l’anima ancora inesplorata?
Quella che segue è una storia vera dell’Età dell’Incubo, che risale
approssimativamente, anno più anno meno, al periodo tra la
Seconda guerra mondiale e la Terza grande depressione.
***
Si era radunata una gran folla.
La folla si era radunata perché doveva svolgersi una
materializzazione. Un uomo e il suo cane stavano per
materializzarsi, stavano per apparire dal nulla: come fili di fumo
all’inizio, per poi diventare, alla fine, concreti come ogni altro cane e
uomo al mondo.
La folla non avrebbe potuto assistere alla materializzazione. La
materializzazione era un affare strettamente privato che si svolgeva
in una proprietà privata, e nessuno aveva invitato la folla a
lustrarsene gli occhi.
La materializzazione avrebbe avuto luogo, come una moderna e
civile impiccagione, dietro alte mura, nude, sorvegliate. E la folla
raccolta davanti a quelle mura era molto simile alla folla che si
raccoglie davanti ad altre mura in attesa di un’impiccagione.
La folla sapeva che non avrebbe visto nulla, ma le piaceva stare
lì, a fissare le mura nude e a immaginare ciò che si stava svolgendo
all’interno. I misteri della materializzazione, come i misteri di
un’impiccagione, erano ingigantiti da quel muro; erano resi
pornografici dalle lastre per lanterna magica proiettate sulle nude
muraglie di pietra dall’immaginazione morbosa della folla.
La città era Newport, Rhode Island, USA, Terra, Sistema Solare,
Via Lattea. Le mura erano quelle della tenuta dei Rum foord.
Dieci minuti prima che dovesse aver luogo, agenti di polizia
sparsero la voce che la materializzazione era avvenuta
prematuramente, era avvenuta fuori dalle mura, e che l’uomo e il suo
cane potevano essere visti, chiari come il giorno, a due isolati da lì.
La folla trottò via per osservare il miracolo al crocicchio.
La folla andava pazza per i miracoli.
In coda alla folla c’era una donna che pesava un quintale e
mezzo. Aveva il gozzo, una mela candita e una scialba bambina di
sei anni. Teneva la bambina per mano e la stava strattonando qua e
là, come una palla attaccata a un elastico. “Wanda June,” diceva, “se
non cominci a comportarti bene, non ti porterò mai più a vedere una
materializzazione.”
***
Le materializzazioni avvenivano da nove anni, una volta ogni
cinquantanove giorni. Gli uomini più dotti e più degni di fiducia della
Terra avevano implorato disperatamente il privilegio di assistere a
una materializzazione. Comunque i grandi uomini formulassero le
loro richieste, venivano respinti seccamente. Il rifiuto era sempre lo
stesso, scritto a mano dalla segretaria della signora Rumfoord.
La signora Rumfoord mi prega di informarLa che non le è possibile procurarLe l’invito
richiesto. Ella è certa che Lei comprenderà i suoi sentimenti al riguardo: il fenomeno
che Lei desidera osservare è una tragica questione di famiglia, e sarebbe ingiusto
squadernarla sotto gli occhi di estranei, per quanto la loro curiosità possa essere
nobilmente motivata.
La signora Rumfoord e il suo staff non rispondevano a nessuna
delle decine di migliaia di domande che ricevevano a proposito delle
materializzazioni. La signora Rumfoord pensava di dovere al mondo
assai poco in termini d’informazione. E si liberava di quell’obbligo
incalcolabilmente piccolo diramando un comunicato ventiquattr’ore
dopo ogni materializzazione. Il suo bollettino non superava mai le
cento parole. Veniva affisso dal suo maggiordomo in una bacheca
inchiodata al muro vicino all’unico ingresso della tenuta.
L’unico ingresso della tenuta era una porticina nel muro
occidentale che sembrava quella di Alice nel Paese delle Meraviglie.
La porticina era alta meno di un metro e quaranta. Era di ferro, e la
teneva chiusa una grossa serratura Yale.
Gli ampi cancelli della tenuta erano stati murati.
I comunicati affissi nella bacheca vicino alla porta di ferro erano
uniformemente laconici e stizzosi. Contenevano informazioni che
servivano solo a frustrare chiunque avesse un brivido di curiosità.
Fornivano l’ora esatta in cui si erano materializzati il marito della
signora Rumfoord, Winston, e il suo cane Kazak, e l’ora esatta in cui
si erano smaterializzati. Le condizioni di salute dell’uomo e del suo
cane venivano invariabilmente indicate come buone. I comunicati
lasciavano capire che il marito della signora Rumfoord poteva
leggere chiaramente nel passato e nel futuro, ma omettevano di
fornire esempi di queste sue capacità.
***
La folla, con un trucco, era stata allontanata dalla tenuta per
consentire l’arrivo indisturbato di una limousine presa a nolo davanti
alla porticina di ferro nel muro occidentale. Un uomo snello, vestito
come un dandy edoardiano, scese dalla limousine e mostrò una
carta al poliziotto di guardia alla porta. Il suo volto era nascosto da
un paio di occhiali neri e da una barba finta.
Il poliziotto annuì, e l’uomo aprì personalmente la porta con una
chiave che aveva in tasca. Chinò il capo per entrare, e si tirò dietro
la porta con grande fragore.
La limousine si allontanò.
Attenti al cane! diceva un cartello sopra la porticina di ferro. I
fuochi di un tramonto d’estate tremolavano tra gli spuntoni e le
schegge di vetro rotto conficcati nel cemento in cima al muro.
L’uomo che si era introdotto nella tenuta era la prima persona che
fosse mai stata invitata dalla signora Rumfoord a una
materializzazione. Non era un grande scienziato. Non era neanche
un uomo particolarmente istruito. Era stato espulso dall’Uni versità
della Virginia a metà del primo anno. Era Malachi Constant di
Hollywood, California, l’uomo più ricco d’America... nonché un
famigerato donnaiolo.
Attenti al cane! diceva la scritta fuori dalla porticina di ferro. Ma
dentro il muro c’era soltanto lo scheletro di un cane. Portava un
collare incatenato al muro, munito di punte dall’aspetto crudele. Era
lo scheletro di un cane molto grosso: un mastino. I suoi lunghi denti
s’incastravano gli uni negli altri come quelli di un ingranaggio. Il
cranio e le mascelle formavano il modello abilmente articolato, ma
inoffensivo, di una macchina per straziare le carni. Le mascelle si
chiudevano così: clac! Qui c’erano stati gli occhi sfavillanti, lì le
orecchie aguzze, le narici sospettose, il cervello di carnivoro. Fasci
di muscoli si erano agganciati qui e qui, e avevano stretto i denti
nella carne così: clac!
Lo scheletro era simbolico: una suppellettile teatrale, un
argomento di conversazione installato da una donna che non
parlava quasi con nessuno. Nessun cane era morto in quel posto, lì
vicino al muro. La signora Rumfoord aveva comprato le ossa da un
veterinario, le aveva fatte sbiancare, verniciare e montare col fil di
ferro. Lo scheletro era uno dei tanti commenti amari e oscuri della
signora Rumfoord ai brutti scherzi che le avevano giocato il tempo e
suo marito.
La moglie di Winston Niles Rumfoord possedeva diciassette
milioni di dollari. La moglie di Winston Niles Rumfoord aveva la più
elevata posizione sociale raggiungibile negli Stati Uniti d’America. La
moglie di Winston Niles Rumfoord era sana e bella, e anche ricca di
talento.
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