L’Abbraccio – Mikel Azurmendi

SINTESI DEL LIBRO:
Te ne stai nel le o come un pupazzo malandato. Ci vogliono ore
prima che sorga il sole. I tuoi occhi semichiusi a malapena
percepiscono il chiarore oltre l’impenetrabile finestra della stanza.
Anche quando non è del tu o spalancata, lasci le tende raccolte. Sei
nella posizione di guardare, guardare dal tuo le o il cielo raramente
stellato. Anche allora, delle sue luminarie la no e farà brandelli.
Proprio adesso, qualche stella che tu non vedi sta brunendo la
quercia più grande del giardino. Pensi questo per un intarsio di
splendore tra le foglie. Tra lo sdraiato e il seduto su tre guanciali
aspe i l’aurora. E mediti mentre a endi. Quanto tarda la no e a
diradarsi, così reclusa nella cella del suo saio nero!
Hai la radio accesa. Così come le sue voci e musiche, sei
interessato ad ascoltare il filino di ossigeno. Come un dolce inse ino
si sta trascinando dentro alle tue aperture nasali. Quell’animale o
fresco fischia nel tuo naso dalle olive fissate dietro la nuca e
introdo e nelle due cavità . Un lungo tubicino di plastica trasparente
si estende per diversi metri fino a uno stridente apparecchio ele rico
che produce ossigeno. La radio che ascolti sembra sostenere il
russare continuo ma spossato di quella macchina. È sabato e
f
inalmente arrivano le sei. Chiudi gli occhi e ti disponi ad ascoltarlo.
Un mese di ospedale e tanti altri percependo i rumori della no e e
maneggiando la manopola della radio ti hanno insegnato a scegliere
una voce unica del weekend: quella di Fernando. Di primo acchito
generò in te stranezza: ninnava appena, ma nemmeno aveva bisogno
di
addolcirsi in quella mellifluità adulatrice del condu ore
radiofonico di prima ma ina. Quello che ti assorda le orecchie con
smancerie no ivaghe. Non strideva né tantomeno cercava di
entusiasmare. Non appena la udisti, ti sembrò la voce di un
condu ore da qua ro soldi, che faceva un grande sforzo per
accantonare una certa cadenza andalusa. Ti sorprese quanto
sommamente docile fosse al compito di informare. Informare da tu i
gli angoli della verità , lontano dall’ideologia, senza nascondigli
falsati né esagerazioni da parrocchia. Una voce, quasi senza
impalcatura ideologica. Una voce che ti sostiene nella pura ricezione
e tra iene il tuo corpo nella sua percezione, fino a quasi sme ere di
sentirla. È una voce che lascia scorrere il programma come un buon
fantino il suo cavallo docile e fresco, senza frustarlo alla guida, senza
manipolare la notizia, senza affe are indignazione o dilungarsi in
consigli. E non dice mai «ohohoh!» al suo cavallo per sfuggire verso
la musica. E porta sempre con sé un assioma incorru ibile: «L’altro è
come me, come se fosse me stesso. Che nessuno lo umili, per favore,
perché lo fa a me».
Di qualunque cosa parli, Fernando ti fa capire che le relazioni
sociali non sono puramente economiche, bensì etiche, e che in esse si
gioca sempre il fa o che le persone vengano o non vengano usate
per scopi altrui. Perciò immediatamente avverti che le sue parole
fustigano la mancanza di solidarietà , i due pesi e le due misure,
l’additare la pagliuzza nell’occhio dell’altro, ma mai la trave nel
proprio. E la menzogna, ah la menzogna e la falsità , come se ne fa
beffe questa voce! Le sue notizie so olineano quanto sia negativo
che qualcuno si serva dell’altro per i propri fini. E questo in politica,
nelle relazioni internazionali, e anche nell’insegnamento, negli
ospedali, nei laboratori, o nelle triviali vicende della vita quotidiana.
Allontanandosi dall’ideologia e dalla nevrotica ricerca di un
campanilistico «noi», che addita l’altro come nemico o straniero, il
suo resoconto risulta verace fino alle viscere. Risulta umano. Come
se dentro di lui risuonassero le voci di gente messa in un angolo. È
una voce di voci. Voci dai balconi, di donne grasse che acce ano con
noncuranza le loro maniglie dell’amore e adiposità , di bambini che
preferiscono rimanere a casa a giocare con la sorellina piu osto che
andare a scuola, di tassisti mansi che parlano al cellulare con la
moglie mentre a endono al posteggio. O voci dei clienti di un bar,
g
p gg
dei visitatori in uno zoo, di ragazzini neri che corrono sul
bagnasciuga. Da Fernando esce sempre qualche voce umana intrisa
di luci, inaspe ata come una riva di uccelli.
Lo scelsi per i weekend in modo irrecusabile. Dopo quasi tre anni
continuo ad ascoltare Fernando dalle sei del ma ino fino a quando
abbandona l’emi ente radio, verso le 8.25. Anch’io allora la chiudo
del tu o, sia che stia trafficando in cucina, facendo i miei chilometri
quotidiani sull’elli ica o passeggiando con i miei cagnolini. Allora
spengo la radio e rifle o sulla foto. Perché Fernando si accomiata
sempre da noi, i suoi ascoltatori, con una foto. Una fotografia tra a
da qualche quotidiano del giorno, che lui ti fa visualizzare. Nelle tre
dimensioni dell’ammaliante immaginazione: verità , bontà e bellezza.
Si tra erà sempre di qualche immagine umana, di cui lui te ne
evidenzierà un tra o. Qualcosa di molto reale, eminentemente reale.
La foto di Fernando è sempre aggrappata alla realtà . E mediante la
sinestesia (ossia, il contrario di anestesia), a raverso le più mansuete
sensazioni, egli inizia a creare un vortice di emozioni sparse, allarmi
nascosti,
presenze insospe ate. Con quella magia, riesci
immancabilmente a scorgere qualche grande speranza. Ovvero,
cominci a fidarti. In lui si trova un’intelligenza astuta, ma al
contempo un prodigio di forza carnale che ti accelera la voglia di
vivere. È proprio nella voglia di vivere che trasme ono che consiste
l’immensa bellezza delle sue fotografie.
Esporrò due prototipi di foto, entrambi di questa se imana di
marzo 2017, in cui si dà inizio alla mia scri ura. Sono stati trascri i
esa amente come sono stati registrati dal mio cellulare e riporto
le eralmente il discorso. Mi sarebbe impossibile trascrivere il tono
caldo delle parole e della sua cadenza romera.1 Sarebbe chimerico
riprodurre alcuni suoni più tonali, usciti dalla sua gola a mo’ di
intenzionali e impulsive ba ute di ferro di cavallo, analoghe, in
alcuni aspe i, alla protasi di un’antifona gregoriana. Così, per
esempio, quando maledice la clientela dei postriboli, o quando
insulta «quei porci» che comprano il corpo di una donna. Come
potrei rendere conto qui di quei toni incerti nel crollo di alcune sue
frasi che ho dovuto riascoltare tre o qua ro volte? Il discorso
conferiva loro il cara ere di riposo nebuloso, simile in qualche modo
p
q
al finale di una qualsiasi canzone a infantile. Quell’epilogo quieto,
persino muto fa sì che Fernando appaia come se stesse
sprofondando la voce su una poltrona. E tu riposi completamente e
mediti sulla bellezza di aver ascoltato quanto è stato detto.
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