La zona del disastro – J.G.Ballard

SINTESI DEL LIBRO:
All’alba, i corpi degli uccelli morti spiccavano sulla luce tetra
dell’acquitrino, e le piume grigie sull’acqua immobile erano come nubi
cadute giù. Ogni mattina, quando Crispin saliva sul ponte del guardacoste,
vedeva gli uccelli galleggiare nelle insenature e sui canali dov’erano morti
due mesi prima, le ferite ormai ripulite dalla lenta corrente, e osservava
camminare lungo il fiume la donna dai capelli bianchi che viveva nella casa
abbandonata sotto il dirupo. Sulla spiaggia stretta i grandi uccelli, più grossi
dei condor, giacevano ai suoi piedi. Mentre Crispin la osservava dal ponte
della nave, lei si muoveva fra i cadaveri, fermandosi di tanto in tanto a
raccogliere una piuma dalle ali spiegate. Alla fine del giro, quando la donna
traversava il prato umido per tornare alla casa abbandonata, le sue braccia
erano cariche di immense piume bianche.
Sulle prime, Crispin aveva provato un oscuro senso di fastidio per come
quella strana donna scendeva alla spiaggia e saccheggiava tranquillamente
il piumaggio degli uccelli morti. Migliaia di quelle creature giacevano
lungo gli argini del fiume e nelle piccole paludi attorno all’insenatura
dov’era ormeggiata la nave, eppure Crispin si riteneva ancora loro legittimo
proprietario. Era stato lui, praticamente da solo, a fare strage degli uccelli
nelle ultime terrificanti battaglie, quando si erano avventati dai nidi del
mare del Nord e avevano attaccato il guardacoste. Ognuna di quelle
immense creature bianche (per la maggior parte gabbiani e sule, con
qualche procellaria glaciale) aveva in cuore, come un gioiello, il suo
proiettile.
Osservando la donna che camminava sull’erba troppo alta del prato
davanti casa, Crispin ricordò di nuovo le ore frenetiche prima dell’ultimo,
disperato attacco degli uccelli. Adesso sembrava disperato, coi loro corpi
ammucchiati sulle fredde acque di Norfolk; ma allora, appena due mesi
prima, quando il cielo al di sopra della nave era buio per l’ammassarsi delle
loro forme, era stato Crispin ad abbandonare ogni speranza.
Gli uccelli erano più grandi di un uomo, con un’apertura alare di sette
metri o più. Oscuravano il sole. Crispin correva come un pazzo sui ponti di
metallo arrugginito, trasportando a braccia le scatole di munizioni
dall’armeria e infilando i proiettili nella culatta delle mitragliatrici, mentre
Quimby, il giovane idiota della fattoria di Long Reach che Crispin aveva
convinto a fargli da addetto alla ricarica, borbottava fra sé a prua e
saltellava sul suo piede deforme, cercando di sfuggire alle ombre immense
che lo incalzavano. Quando gli uccelli si buttarono in picchiata e il cielo si
trasformò in una falce bianca, Crispin ebbe appena il tempo di infilarsi
nell’imbracatura della torretta.
Eppure aveva vinto. Aveva abbattuto la prima ondata di uccelli, che gli si
avventava contro come una flotta di aerei bianchi, sulle paludi; poi si era
voltato a far fuoco contro il secondo gruppo che gli stava arrivando alle
spalle, volando basso sul fiume. Lo scafo della nave era ancora segnato
dall’impatto dei loro corpi, precipitati lungo le fiancate sopra la linea di
galleggiamento. Al culmine della battaglia gli uccelli erano da ogni parte: le
loro ali erano come croci urlanti tese contro il cielo, i loro corpi si
abbattevano sul sartiame e riempivano il ponte attorno a lui, mentre Crispin
ruotava le pesanti mitragliatrici e sparava da un parapetto all’altro. Per una
dozzina di volte aveva rinunciato a sperare, maledicendo gli uomini che lo
avevano abbandonato solo contro gli uccelli su quello scafo rugginoso, che
lo avevano costretto a pagare Quimby di tasca sua.
Ma poi, quando la battaglia pareva infinita, quando il cielo era ancora
pieno di uccelli e le munizioni stavano per terminare, si era accorto che
Quimby danzava sui cadaveri ammucchiati sul ponte, che li scaraventava in
acqua con la forca a due denti man mano che gli precipitavano attorno.
Allora Crispin seppe di aver vinto. Quando il fuoco delle mitragliatrici
rallentò, Quimby gli portò altre munizioni, ansioso di uccidere. Il suo viso e
il suo torace deforme erano coperti di piume e sangue. Urlando,
orgogliosamente fiero del coraggio e della paura, Crispin distrusse i pochi
uccelli che restavano, sparò ai superstiti (qualche falcone pellegrino) che
cercavano di guadagnare il dirupo. Per un’ora dopo la morte dell’ultimo
uccello, quando il fiume e tutte le insenature attorno alla nave erano rosse
del loro sangue, Crispin era rimasto nella torretta, scaricando le
mitragliatrici contro il cielo che aveva osato attaccarlo.
Più tardi, svanita l’eccitazione e il ritmo frenetico della battaglia, capì che
l’unico testimone del suo eroismo a quell’armageddon celeste era un idiota
dal piede deformato, a cui nessuno avrebbe mai prestato orecchio.
Naturalmente, nascosta dietro le imposte della casa, c’era anche la donna
dai capelli bianchi, ma Crispin l’aveva notata solo dopo parecchie ore,
quando lei prese a camminare fra i cadaveri. Quindi, era contento di vedere
gli uccelli riversi, dove erano caduti, le loro forme confuse che si
muovevano piano sull’acqua fredda del fiume e degli acquitrini. Rimandò
Quimby alla sua fattoria e osservò il nano idiota che si faceva strada verso
valle, tra i corpi rigonfi dei cadaveri. Poi, incrociando sul petto le
bandoliere dei proiettili da mitragliatrice, Crispin riprese comando del suo
ponte.
Fu lieto dell’apparizione sulla scena della donna, contento che qualcun
altro potesse condividere il suo trionfo, perfettamente conscio che lei
doveva averlo visto percorrere in sue in giù il camminamento di comando
della nave. Ma dopo una sola occhiata, la donna non lo degnò più d’un solo
sguardo. Pareva che le interessasse unicamente perlustrare la spiaggia e il
prato sotto casa.
Il terzo giorno dopo la battaglia lei uscì sul prato con Quimby, e il nano
passò mattino e pomeriggio a sgomberare i corpi degli uccelli che erano
caduti lì. Li ammucchiò su un robusto carretto di legno, poi si aggiogò alle
stanghe e andò a scaricarli in un fossato nei pressi della fattoria. Il giorno
dopo Quimby riapparve su un palischermo e trasportò la donna, immobile a
prora come un fantasma lontano, tra i corpi degli uccelli che fluttuavano
sull’acqua. Di tanto in tanto il nano rivoltava in su col palo di legno uno dei
grandi volatili, quasi stesse cercando qualcosa: correvano racconti apocrifi,
in cui molti cittadini credevano, che i becchi degli uccelli avessero zanne
d’avorio, ma Crispin sapeva che erano voci assurde.
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