La vita in un istante – Gabrielle Zevin

SINTESI DEL LIBRO:
La mia cara amica Roz Horowitz ha conosciuto il suo secondo
marito tramite un sito di appuntamenti, e lei ha tre anni e venticinque
chili più di me, e dicono tutti che non è tenuta bene come me, nel
complesso, e allora ho pensato di provarci pure io, anche se cerco di
non andare troppo online. Il primo marito di Roz è morto di cancro al
colon e lei si merita di essere felice. Non che questo nuovo marito
sia niente di speciale. Si chiama Tony e lavorava nel ramo dei vetri
per auto nel New Jersey. Ma Roz gli ha dato una sistemata e l’ha
portato a comprarsi delle camicie da Bloomingdale’s e adesso vanno
insieme a una serie di corsi del JCC, il Jewish Community Center:
conversazione in spagnolo, ballo liscio, massaggio per amanti, come
fare in casa sapone e candele. Non è che io ci tenga particolarmente
a trovarmi un marito. Ti danno un mucchio da fare, ma non voglio
nemmeno passare il resto della mia vita da sola e, lasciatemelo dire,
sarebbe carino avere qualcuno con cui andare a qualche corso.
Pensavo che i siti di appuntamenti fossero per le persone più
giovani, ma secondo Roz no. «E anche se fosse? Adesso sei più
giovane di quanto non sarai mai.»
Allora le chiedo di darmi qualche consiglio e lei mi dice di non
mettere una foto che ti fa sembrare più giovane di quello che sei. Su
Internet mentono tutti ma, paradossalmente, la cosa peggiore che si
possa fare online è mentire. Allora le dico: «Roz, mia cara, cosa c’è
di diverso dalla vita reale?»
Il primo uomo che incontro si chiama Harold e, per scherzare, gli
chiedo se si è sempre chiamato così, perché mi sembra un nome da
vecchio. Ma Harold non capisce la battuta e se la prende. «Non hai
mai sentito parlare di Harold e la matita viola? Quell’Harold lì è un
bambino, Rachel.» Comunque, l’appuntamento non porta da
nessuna parte.
Il secondo uomo che incontro è Andrew e ha le unghie sporche,
quindi non mi è possibile stabilire se è simpatico oppure no. Non
riesco nemmeno a mangiare le crêpes allo zucchero di canna e
burro che ho ordinato, oy gevalt, tanto sono distratta da quelle
unghie. Insomma, cosa ha fatto prima di venire all’appuntamento?
Una gara di giardinaggio? Ha seppellito l’ultima donna con cui era
uscito? Mi dice: «Rachel Shapiro, mangi come un uccellino!» Mi
viene in mente di farmi impacchettare le crêpes, ma a che pro? Le
crêpes sono buone appena fatte. Se le riscaldi, diventano gommose
e sanno di uovo, e anche se te le cacci giù a forza è una tragedia,
perché pensi a come potevano essere e al loro potenziale sprecato.
Andrew mi chiama qualche settimana dopo per chiedermi se mi
va di uscire di nuovo e io, in fretta e furia, gli dico: no grazie. Mi
chiede perché. Non voglio dirgli delle unghie nere perché sembra
una scusa meschina e forse lo è. Il mio ex marito era meticoloso con
le unghie, eppure si è rivelato lo stesso un figlio di buona donna.
Mentre penso a cosa rispondergli, lui aggiunge: «Va bene, credo che
mi basti, come risposta. Non stare a inventarti una bugia».
Allora gli dico: «Sinceramente, penso che non sia scattata la
scintilla e alla nostra età » – ho sessantaquattro anni – «non ha
senso perdere tempo».
E lui: «Te lo devo dire, la tua foto ti fa sembrare dieci anni più
giovane di quello che sei». Un colpo basso di addio.
So che voleva solo vendicarsi dell’offesa, ma mostro la foto a
Roz, per sicurezza. Mi era sembrata recente invece, guardandola
meglio, mi accorgo che deve risalire alla fine della seconda
amministrazione Bush. Roz mi dice che in effetti sembro più
giovane, ma in positivo, non tanto da arrivare al ridicolo. Mi dice che,
se scelgo il ristorante giusto, con la luce giusta, posso dimostrare
esattamente l’età della foto. E io le ribatto che qui si finisce come
Blanche DuBois, che mette la sciarpa alle lampade. Roz mi scatta
una nuova foto col cellulare, sul mio balcone, e chiuso.
Il terzo uomo che incontro è Louis, ha dei begli occhiali con le
stanghette di titanio. Mi piace subito, anche se la prima cosa che
dice è: «Caspita, sei meglio che in foto», e mi resta il dubbio di aver
esagerato nella direzione opposta, con questa sciocchezza della
foto. È professore di letteratura ebraico-americana all’università di
Miami e mi racconta che correva la maratona finché l’anca non ha
cominciato a dargli problemi, quindi adesso fa la mezza. Mi chiede
se io faccio attività fisica e gli dico di sì, in effetti insegno pilates per
la terza età . Forse posso aiutarlo coi flessori? Lui dice: «Scommetto
di sì», o qualcosa di simile. Poi, per chiarire che non siamo
superficialotti, tiriamo in ballo i libri. Io dico che mi piace Philip Roth,
anche se probabilmente è un cliché per una donna della mia età , col
mio background. Ma lui dice che, no, Philip Roth è fantastico. Una
volta ha tenuto una conferenza sui suoi libri e Roth ci è andato e si è
seduto in prima fila! Si è fermato sino alla fine, ogni tanto annuiva,
accavallava e scavallava e riaccavallava le gambe lunghe, e dopo se
n’è andato senza dire una parola.
«Gli è piaciuto?» domando. «O si è offeso?»
Louis dice che non lo saprà mai e resterà sempre uno dei grandi
misteri della sua vita.
Io dico: «Philip Roth ha le gambe lunghe?»
E lui: «Non quanto le mie, Rach».
È piacevole flirtare.
E poi lui mi chiede se ho figli. Sì, gli dico, una figlia, Aviva. E lui
dice che Aviva significa «primavera» o «innocenza», in ebraico, ma
che bel nome. E io dico che lo so, io e il mio ex marito l’abbiamo
scelto per quello. E lui dice che non ne conosce tante di Aviva, non è
un nome diffuso, solo quella ragazza che si è inguaiata con Levin, il
membro del Congresso. Te lo ricordi quel mishegoss?
«Mmm», faccio io.
E lui: «È stata una piaga per la Florida meridionale, una piaga per
gli ebrei, una piaga per i politici, posto che sia possibile, e per la
civiltà in generale».
Dice: «Sul serio, non te la ricordi? Ai notiziari ne hanno parlato
tutti i giorni, nel 2001, finché non c’è stato l’11 settembre ed è caduta
nel dimenticatoio».
Dice: «Non mi ricordo come faceva di cognome. Tu davvero non
te la ricordi? Dai, Rach, era come Monica Lewinsky. Sapeva che lui
era sposato e l’ha sedotto. Sarà stata attratta dal potere o dalla
notorietà . O forse era un’insicura. Era una troietta formosa, una di
quelle col faccino carino, quindi è probabile che accaparrarsi un
uomo come Levin le abbia accresciuto l’autostima. Non riesco a
provare compassione per persone del genere. Si può sapere come
faceva di cognome?»
Dice: «Proprio una vergogna. Levin era un rispettato membro del
Congresso. Sarebbe potuto diventare il primo presidente ebreo, non
fosse stato per quella farkakte».
Dice: «Lo sai chi mi fa pena? I suoi genitori».
Dice: «Mi chiedo cosa ne sia stato della ragazza. Cioè, chi mai la
assumerebbe? Chi la sposerebbe?»
Dice: «Grossman! Aviva Grossman! Ecco!»
E io confermo: «Ecco».
Mi scuso e vado alla toilette e, quando torno, dico al cameriere
d’impacchettarmi il resto della paella, che è molto buona e
decisamente troppa per una persona sola. Certi ristoranti stanno
indietro con lo zafferano, ma La Gamba no. Non si può scaldarla nel
microonde, la paella, ma sul fornello viene molto bene. Propongo di
dividere, ma Louis dice che aveva già deciso di offrire lui. Insisto.
Lascio pagare un uomo solo se ho intenzione di rivederlo. Roz dice
che è femminismo o magari il suo contrario, ma secondo me è solo
buona educazione.
Torniamo al parcheggio e lui dice: «È successo qualcosa? Ho
detto qualcosa di sbagliato? Pensavo che stesse andando
benissimo, poi all’improvviso malissimo».
Dico: «È solo che non mi piaci», e salgo in macchina.
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