Il gladiatore – Simon Scarrow

SINTESI DEL LIBRO:

Dovremmo raggiungere Matala alla prossima bordata»,
annunciò il capitano riparandosi gli occhi e guardando la costa
cretese, baciata dal sole del tardo pomeriggio. Accanto a lui, sul
ponte, si trovavano alcuni passeggeri: un senatore romano, sua figlia
e due centurioni, tutti diretti a Roma. I quattro erano saliti a bordo a
Cesarea, insieme all’ancella della figlia, una giovanissima giudea. Il
capitano era orgoglioso del proprio vascello. La Horus era una
vecchia nave proveniente da Alessandria, e un tempo faceva parte
della flotta che trasportava granaglie a Roma da tutto il
Mediterraneo. Nonostante i tanti anni di servizio, la nave era ancora
robusta e teneva bene il mare; d’altra parte, il capitano era un uomo
sicuro di sé, e aveva tutta l’esperienza necessaria per allontanarsi
dalla costa, se necessario. Di conseguenza, una volta lasciato il
porto di Cesarea, la Horus aveva puntato direttamente verso il largo,
ed era giunta in vista della costa cretese dopo una navigazione di tre
giorni.
«Arriveremo a Matala prima che faccia notte?», chiese il
senatore.
«Temo di no, signore». Il capitano accennò un sorriso. «E non ho
nessuna intenzione di accostare con il buio. Le stive della Horus
sono piene e la nave è molto pesante. Non posso rischiare di farla
incagliare su una roccia».
«Allora cosa faremo stanotte?».
Il capitano contrasse le labbra in una smorfia. «Dovremo
rimanere al largo e restare in panne sino all’alba. Il che significa che
perderò un giorno, ma è impossibile fare altrimenti. Meglio rivolgere
una preghiera a Poseidone affinché ci faccia recuperare un po’ del
tempo perduto dopo aver salpato da Matala».
Il centurione più anziano si lasciò scappare un sospiro irritato.
«Dannati viaggi per mare. Mai una volta che vada tutto liscio.
Sarebbe stato meglio viaggiare via terra».
L’altro ufficiale, un uomo alto e snello con folti ricci scuri, scoppiò
a ridere e diede una pacca sulle spalle al robusto commilitone. «E io
che pensavo di essere troppo impaziente! Tranquillo, Macrone: se
fossimo partiti via terra ci avremmo messo comunque molto, molto
più tempo».
«Vedo che hai cambiato idea: a quanto mi ricordo, un tempo
odiavi il mare».
«Non è la mia passione, certo, ma ho i miei buoni motivi per
raggiungere Roma quanto prima».
«Non ne dubito». Il centurione Macrone gli fece l’occhiolino
indicando con un lieve cenno del capo la figlia del senatore. «Io
invece vorrei solo avere un nuovo incarico. Di nuovo nelle legioni,
definitivamente. Gli dèi sanno quanto abbiamo faticato per
meritarcelo, Catone, amico mio. Due anni sulla frontiera orientale.
Ne ho abbastanza del caldo, della sabbia e della sete. La prossima
volta voglio un bell’incarico comodo comodo in qualche zona della
Gallia, un posto in cui potermi riposare un po’».
«Questo lo dici adesso». Catone scoppiò a ridere. «Ma io ti
conosco, Macrone: finiresti per annoiarti a morte dopo il primo
mese».
«Non ne sono sicuro. Mi piacerebbe tornare a fare la vera vita
militare. Basta con questo sporco lavoro per il palazzo imperiale».
Catone annuì con convinzione. Da quando avevano terminato la
loro prima missione per Narciso, segretario personale
dell’imperatore nonché capo della rete di spie imperiali, Macrone e
Catone avevano dovuto affrontare innumerevoli rischi, che andavano
ben oltre i normali pericoli insiti nella vita di un soldato. Catone si
irrigidì. «Temo che una simile scelta non dipenda da noi. Ma più
problemi risolviamo, più è probabile che veniamo richiamati».
«Già, hai proprio ragione», borbottò Macrone. «Merda...».
Poi, ricordando che erano presenti il senatore e la figlia, si scusò
con un cenno e si schiarì la gola. «Chiedo venia. Perdonate
l’irriverente gallicismo».
Il senatore sorrise. «Ne abbiamo sentite di peggiori nei mesi
scorsi, centurione Macrone. A dire il vero, credo che abbiamo fatto il
callo ai modi rudi dei soldati. Altrimenti avrei avuto difficoltà a
tollerare le attenzioni che Catone riserva a mia figlia».
La ragazza sogghignò e rispose: «Non preoccuparti, padre, so io
come tenerlo a bada».
Catone sorrise mentre lei lo prendeva sottobraccio. Il capitano li
guardò grattandosi il mento.
«Allora vi sposate, Giulia?».
La ragazza annuì. «Non appena saremo tornati a Roma».
«Peccato, speravo anch’io di poter chiedere la tua mano»,
scherzò il capitano scoccando una rapida occhiata a Catone. Il volto
del giovane centurione non era per nulla segnato dalle cicatrici che
solitamente deturpavano i soldati esperti. Inoltre, per quanto il
capitano greco riuscisse a ricordare, non aveva mai conosciuto un
centurione più giovane di Catone, che aveva una ventina d’anni
appena. Non poteva non sospettare che il ragazzo avesse raggiunto
quell’alto grado grazie ad amicizie potenti. Le falere che decoravano
l’armatura del centurione, però, erano testimonianza di gesta
realmente compiute, di successi meritati, guadagnati con fatica.
Evidentemente il centurione Catone doveva avere delle risorse
inaspettate. Per contro, il centurione Macrone era l’immagine stessa
del guerriero. Più basso di Catone di tutta la testa, ma possente
come un toro, con gambe muscolose segnate da numerose cicatrici.
Più vecchio del suo compagno di una quindicina di anni, Macrone
aveva capelli neri cortissimi e occhi marroni penetranti, ma le rughe
d’espressione sul suo volto facevano intuire un certo gusto per la
risata, ogniqualvolta se ne presentava l’occasione.
Il capitano tornò a esaminare l’ufficiale più giovane con una punta
di invidia. Se con il matrimonio fosse entrato nella famiglia di un
senatore, il centurione Catone si sarebbe sistemato per il resto della
vita. Ricchezza, posizione sociale e avanzamenti di carriera
sarebbero stati lì a portata di mano. Tuttavia, il capitano non aveva
dubbi che l’affetto che legava il giovane centurione alla figlia del
senatore fosse assolutamente autentico. Alla fine di ogni giorno, i
due si ritrovavano sul ponte ad ammirare il tramonto, stretti in un
abbraccio, con gli occhi puntati sulle onde scintillanti.
Quando scese la sera, la Horus si posizionò parallela alla linea di
costa, superando una baia divenuta ormai familiare al capitano,
dopo tutti gli anni di servizio trascorsi su navi mercantili, solcando in
lungo e in largo le acque del Mediterraneo. Mentre il sole scendeva
sotto la linea dell’orizzonte, colorando d’oro le sommità dei monti e
delle colline dell’isola, i passeggeri sul ponte guardavano in
direzione della riva. A poca distanza dal mare si trovava una grande
proprietà agricola, e nel crepuscolo si scorgevano lunghe code di
schiavi che tornavano dal lavoro nei campi, nelle piantagioni e nelle
vigne. Si trascinavano faticosamente verso i loro ergastula, mentre i
sorveglianti li minacciavano con sferze e bastoni.

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