Il dottor Semmelweis – Louis-Ferdinand Céline  

SINTESI DEL LIBRO:

 Ecco la terribile storia di Ignazio Filippo Semmelweis.
Potrà sembrare un po' arida, respingere in un primo momento, per via dei
particolari e delle cifre, delle minuziose spiegazioni. Ma il lettore intrepido
ben presto sarà ricompensato. Ne vale la pena e lo sforzo. Avrei potuto
riprenderla in mano, rifinirla, sveltirla. Sarebbe stato facile, non ho voluto. La
do quindi per quel che vale. (Tesi di Medicina a Parigi, 1924).
Non ha importanza la forma, è la sostanza che conta. E questa è ricca a
sufficienza, suppongo. Essa ci mostra il pericolo di voler troppo bene agli
uomini. E una vecchia lezione sempre nuova.
Supponiamo che oggi, allo stesso modo, venga un altro innocente che si
metta a guarire il cancro. Manco s immagina che genere di musica gli
farebbero subito ballare! Sarebbe veramente fenomenale! Ah! meglio che
prenda doppie misure di prudenza! Ah! meglio che sia avvertito. Che se ne
stia maledettamente bene in guardia! Ah! sarebbe tanto di guadagnato se si
arruolasse immediatamente in una qualche Legione Straniera! Niente è
gratuito in questo basso mondo. Tutto si espia; il bene, come il male, si paga
prima o poi. Il bene è molto più caro, per forza.
Mirabeau gridava così forte che Versailles ebbe paura. Dalla caduta
dell'impero romano, mai simile tempesta si era abbattuta sugli uomini, le
passioni a ondate spaventose s'innalzavano sino al cielo. La forza e
l'entusiasmo di venti popoli sorgevano dall'Europa sventrandola. Dappertutto
non c'erano che sommovimenti, di esseri e di cose. Qua, tormente di interessi,
di vergogne e d'orgoglio; là, conflitti oscuri, impenetrabili; più lontano,
eroismi sublimi. Tutte le possibilità umane confuse, scatenate, furiose, avide
d'impossibile percorrevano i sentieri e i pantani del mondo. La morte urlava
nella schiuma sanguinosa delle sue disparate legioni; dal Nilo a Stoccolma e
dalla Vandea fino alla Russia, cento eserciti invocarono contemporaneamente
cento ragioni d'essere selvaggi. Le frontiere devastate, fondate su un
immenso regno di Frenesia, gli uomini che volevano il progresso e il
progresso che voleva gli uomini, ecco cosa furono quelle nozze colossali.
L'umanità si annoiava, bruciò alcuni Dèi, si cambiò d'abito e pagò la Storia
con qualche nuova gloria.
Poi, placata la tormenta, sepolte le grandi speranze per qualche secolo
ancora, ciascuna di quelle furie partita suddita' per la Bastiglia ne ridivenne
cittadina e ritornò alle propria meschinità, spiando il vicino, abbeverando il
proprio cavallo, covando i propri vizi e le proprie virtù nel sacco di pallida
pelle che il Buon Dio ci ha dato.
Nel '93, fu un Re a farne le spese.
Per la precisione, fu sacrificato nella Place de Grève. Al taglio della sua
testa, una nuova sensazione scaturì: l'Uguaglianza.
Tutti ne vollero un po', fu una frenesia. L'Omicidio è una funzione
quotidiana dei popoli, ma, perlomeno in Francia, il Regicidio poteva passare
per una novità. Si osò. Nessuno voleva dirlo, ma la Bestia era a casa nostra, ai
piedi dei tribunali, nei drappeggi della ghigliottina, a bocca spalancata.
Bisognò pur darle un'occupazione.
La Bestia volle sapere quanti ne valga, il re, di nobili. Si trovò che la
Bestia aveva un certo genio.
E fu tutto una formidabile gara nella carneficina. Si uccise dapprima in
nome della Ragione, per dei princìpi che dovevano ancora essere definiti. I
migliori applicarono molto talento per unire l'assassinio alla giustizia. Ci
riuscirono male. Non ci riuscirono. Ma in fondo che importava? La folla
voleva distruggere, e tanto bastava. Come l'innamorato prima accarezza la
carne che desidera e si ripropone di indugiare nelle confessioni, poi suo
malgrado s'affretta… così l'Europa voleva affogare in una orribile orgia i
secoli che l'avevano educata. Lo voleva più in fretta ancora di quanto non
immaginasse.
Non conviene irritare le folle ardenti, non meno che i leoni affamati. Ci si
dispensò quindi, oramai, dal cercare delle scuse per la ghigliottina.
Macchinalmente, una setta intera fu designata, uccisa, smerciata, come carne,
e in più con l'anima.
Il fiore di un'epoca fu minutamente tritato. Fu il piacere di un istante. Ci
si sarebbe potuti fermare lì, ma mille passioni che sbadigliavano di noia
dinanzi alla lentezza di quelle minuzie, una sera di disgusto, rovesciarono il
patibolo.
Di colpo, venti razze si precipitarono in un orrido delirio, venti popoli
congiunti, mescolati, ostili, neri o bianchi, biondi e bruni, si precipitarono alla
conquista di un Ideale.
Sballottati, contusi, sostenuti da frasi, guidati dalla fame, posseduti dalla
morte, essi invasero, saccheggiarono, conquistarono ogni giorno un inutile
regno che l'indomani altri avrebbero perduto. Li si vide passare sotto tutti gli
archi del mondo, di volta in volta, in un ridicolo e sgargiante girotondo,
dilaganti da una parte, sconfitti dall'altra, dappertutto ingannati, rinviati senza
posa dall'Ignoto al Nulla, contenti di morire non meno che di vivere.
Nel corso di quegli anni mostruosi in cui il sangue scorre, in cui la vita
sprizza e si dissolve nello stesso momento in mille petti, in cui le reni sono
mietute e stritolate sotto la guerra, come l'uva al torchio, ci vuole un maschio.
Ai primi lampi di quell'immensa burrasca, Napoleone prese l'Europa e la
custodì, volesse o no, per quindici anni.
Fin quando il suo genio durò, la furia dei popoli parve organizzarsi, la
tempesta stessa ricevette i suoi ordini.
Lentamente, si riprese a credere al bel tempo, alla pace.
Poi la si desiderò, la si amò, si finì per adorarla, come si era adorata la
morte, quindici anni prima. Poco tempo era passato e già ci si metteva a
piangere sulle sventure delle tortorelle con lacrime altrettanto reali, altrettanto
sincere quanto le ingiurie con cui si era tartassata, solo il giorno prima, la
carretta dei condannati. Non si volle più sentir parlare che di dolcezze e
tenerezze. Si proclamarono sacri gli sposi inteneriti e le madri premurose con
tante declamazioni quante ce n'erano volute per decapitare la Regina. Il
mondo voleva dimenticare. Dimenticò. E Napoleone, che persisteva a vivere,
fu rinchiuso in un'isola con un cancro.
I poeti riorganizzarono le loro coorti allarmate, mille carinerie furono
dette in un giorno di primavera per la voluttà delle anime sensibili. Si creava
con lo stesso slancio insolente con cui si era distrutto. Un soffio di tenerezza
carezzò le tombe innumerevoli. La campanella non lasciò più il collo degli
agnelli. Si mormorarono versi su tutti i ruscelletti. Bastava una margherita
dischiusa perché una fanciulla veramente sentimentale si sciogliesse in
lacrime. E non più di tanto perché un uomo dabbene s'innamorasse di lei per
la vita

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