La tentazione di essere felici – Lorenzo Marone

SINTESI DEL LIBRO:
Il ticchettio della sveglia è il solo rumore a tenermi compagnia. A
quest’ora la gente dorme. Si dice che le prime ore del mattino siano
il momento migliore per il sonno, il cervello è in fase Rem, quella in
cui si sogna, il respiro diventa irregolare e gli occhi si muovono
rapidamente da una parte all’altra. Uno spettacolo tutt’altro che
divertente, insomma, come trovarsi di fronte a un indemoniato.
Io non sogno mai. Almeno, non ho particolari ricordi. Forse perché
dormo poco e mi sveglio presto. O perché bevo troppo. O solo
perché sono vecchio e da vecchi i sogni si esauriscono. Il cervello ha
avuto una vita per elaborare le fantasie più strambe, è normale che
con il tempo inizi a perdere l’estro. La vena creativa ha un picco
durante l’esistenza di ognuno, poi, a un certo punto, arriva
inesorabile la discesa, e alla fine dei tuoi giorni non sei neanche più
in grado di immaginare una scena di sesso. Da giovane, invece, si
parte proprio da lì, dal fantasticare su incredibili notti di passione con
la showgirl di turno, la compagna di banco o, addirittura, con
l’insegnante che, chissà perché, dovrebbe desiderare di ripararsi fra
le braccia di un poppante con un po’ di baffetti e parecchi brufoli di
contorno. Certo, l’inventiva inizia prima, fin da piccoli, ma credo che
la masturbazione giovanile incida molto sulla formazione della
creatività .
Io ero molto creativo.
Decido di aprire gli occhi. Tanto, in queste condizioni, di dormire
non se ne parla. Nel letto il cervello compie viaggi allucinanti. Per
esempio mi viene da pensare alla casa dei nonni. Posso ancora
vederla, visitarla, passare da una stanza all’altra, sentire gli odori
che provengono dalla cucina, il cigolio dell’anta del mobile in sala da
pranzo, o gli uccellini che cinguettano sul balcone. Mi soffermo
addirittura sull’arredamento, ricordo ogni più piccolo dettaglio,
persino i soprammobili. Se serro bene le palpebre, poi, riesco
addirittura a osservarmi allo specchio della nonna e rivedermi
bambino. Lo so, avevo detto che non sogno più, ma mi riferivo al
sonno. Durante la veglia, invece, sono ancora in grado di dire la mia.
Sbircio l’orologio e lascio scorrere un’imprecazione sotto le
lenzuola. Pensavo fossero le cinque, invece sono solo le quattro e
un quarto del mattino. Fuori è buio, un antifurto in lontananza suona
a intervalli regolari, l’umidità confonde i contorni e i gatti sono
raggomitolati sotto le auto.
Il quartiere dorme, io rimugino.
Mi giro dall’altro lato e mi costringo ad abbassare di nuovo le
palpebre. La verità è che nel letto non riesco a stare un minuto
fermo, rilascio l’energia accumulata durante la giornata, un po’ come
il
mare d’estate che raccoglie il calore del giorno per donarlo alla
notte. Mia nonna diceva che quando il corpo non vuol saperne di
riposare bisogna starsene immobili; dopo un po’ il fisico capisce che
c’è poco da fare casino e si acquieta. Solo che per mettere in atto un
simile piano servono autocontrollo e pazienza, e da tempo, ormai, ho
esaurito entrambi.
Mi accorgo di star fissando un libro sul comodino al mio fianco.
Ho osservato spesso la copertina di quel libro, eppure adesso noto
particolari che mi erano sfuggiti. Una sensazione di stupore mi fa
visita, poi capisco di cosa si tratta: riesco a leggere da vicino.
Nessuno alla mia età , nel mondo, può farlo. La tecnologia ha fatto
passi da gigante nell’ultimo secolo, eppure la presbiopia resta uno
dei misteri inafferrabili della scienza. Mi porto le mani al viso e
capisco il perché dell’improvvisa e miracolosa guarigione: mi sono
infilato gli occhiali, un gesto che ormai compio d’istinto, senza
riflettere.
È giunto il momento di alzarsi. Vado in bagno. Non dovrei dirlo,
ma sono vecchio e faccio quel che mi pare. Insomma, io urino
seduto, come le donne. E non perché le gambe non mi reggano, ma
perché altrimenti col mio idrante innaffierei anche le mattonelle di
fronte. C’è poco da fare, quel coso dopo una certa età inizia ad
avere vita propria. Come me (e un po’ come tutti gli anziani), se ne
frega di chi vorrebbe spiegargli la vita e fa di testa sua.
Chi si lamenta della vecchiaia è un demente. Anzi no, cieco mi
sembra più azzeccato. Uno che non vede a un palmo dal proprio
naso. Perché l’alternativa è una sola e non mi sembra auspicabile.
Perciò già essere arrivato fin qui è un gran colpo di fortuna. Ma la
cosa più interessante è, come dicevo, che puoi permetterti di fare ciò
che vuoi. A noi anziani tutto è permesso e persino un vecchietto che
ruba in un supermercato è visto con candore e compassione. Se a
rubare, invece, è un ragazzo, gli danno, nel migliore dei casi, del
«furfante».
Insomma, a un certo punto della vita si apre un mondo fino ad
allora inaccessibile, un luogo magico popolato da gente gentile,
premurosa e affabile. Eppure la cosa più preziosa che si conquista
grazie alla vecchiaia è il rispetto. L’integrità morale, la solidarietà , la
cultura e il talento sono nulla di fronte alla pelle incartapecorita, le
macchie sulla testa e le mani tremolanti. A ogni modo oggi sono un
uomo rispettato e, si badi, non è poca cosa. Il rispetto è un’arma che
permette all’uomo di raggiungere una meta per molti inarrivabile,
fare della propria vita ciò che si vuole.
Mi chiamo Cesare Annunziata, ho settantasette anni, e per
settantadue anni e centoundici giorni ho gettato nel cesso la mia
vita. Poi ho capito che era giunto il momento di usare la
considerazione guadagnata sul campo per iniziare a godermela sul
serio.
Solo una cosa ci divide
Stamattina mi ha chiamato mia figlia Sveva, la primogenita.
«Papà ?»
«Ciao.»
«Senti, mi serve un favore...»
Non avrei dovuto rispondere. L’esperienza serve proprio a non
commettere le stesse idiozie per una vita intera. Io non ho imparato
nulla dal passato e continuo imperterrito ad agire d’istinto.
«Andresti a prendere Federico a scuola? Ho un’udienza e finisco
tardi.»
«Non può pensarci Diego?»
«No, ha da fare.»
«Ho capito...»
«Lo sai che non te lo chiederei se avessi un’alternativa.»
Li ho educati bene i miei figli, non posso lamentarmi. Non sono un
nonno che va a prendere i nipoti. La vista di quei poveri vecchietti
fuori da scuola che fermano le auto, per esempio, mi fa rabbrividire.
Sì, lo so, si rendono utili anziché marcire su una poltrona, eppure
non ci posso fare niente, un «nonno civico» per me è come un rullino
fotografico, una cabina telefonica, un gettone, una videocassetta,
oggetti di un tempo andato che non hanno più una vera funzione.
«E, poi, dove lo porto?»
«Da te, oppure potete venire allo studio. Sì, fai così, portalo qui,
per favore.»
Ora mi ritrovo davanti alla scuola in attesa di mio nipote. Mi alzo il
bavero del cappotto e infilo le mani in tasca. Sono arrivato in
anticipo, una delle cose che ho imparato con l’avanzare dell’età .
Come programmare le giornate. Oddio, non che abbia molto da
pianificare, ma quelle poche cose preferisco ordinarmele.
La telefonata di Sveva ha scombussolato i miei piani. Dovevo
andare dal barbiere, stasera ho un appuntamento galante con
Rossana. È una prostituta. Sì, frequento le mignotte, embè? Ho
ancora le mie voglie da soddisfare e nessuno al mio fianco cui dare
spiegazioni. In ogni caso ho esagerato, non è che vado proprio a
puttane, anche perché mi risulterebbe alquanto difficile rimorchiare
con l’autobus; la patente mi è scaduta e non l’ho rinnovata. Rossana
è una vecchia amica conosciuta un po’ di tempo fa, quando girava
per le case a fare iniezioni. E così si ritrovò anche nel mio salotto.
Veniva ogni mattina presto, mi pungeva le chiappe e se ne andava
senza dire una parola. Poi iniziò a trattenersi per un caffè, infine
riuscii a convincerla a infilarsi sotto le mie coperte. A pensarci oggi,
non fu poi molto difficile. Solo dopo un po’ capii che la
pseudoinfermiera non era rimasta estasiata dal mio sorriso, quando
con espressione seria esclamò: «Tu sì simpatico e sei pure un
bell’uomo, ma io tengo un figlio da aiutare!»
Mi sono sempre piaciute le persone dirette, e da allora siamo
diventati amici. Lei è sotto i sessanta ormai, ma continua ad avere
due enormi tette e un bel sedere armonico. E alla mia età non c’è
bisogno di altro, ci s’innamora soprattutto dei difetti, che rendono la
scena più credibile.
Arriva Federico. Se la gente qui attorno sapesse che questo
vecchio che porta in giro il nipote fino a un minuto fa pensava al
seno di una prostituta, si scandalizzerebbe e avviserebbe i genitori
del piccolo. Chissà perché un anziano non può avere voglia di
scopare.
Saliamo su un taxi. È solo la terza volta che vengo a prendere
mio nipote a scuola, eppure Federico ha svelato alla mamma che è
contento di tornare col sottoscritto. Dice che l’altro nonno lo
costringe ad andare a piedi e arriva tutto sudato a casa. Con me,
invece, si torna in taxi. E vorrei ben vedere! Ho una pensione
dignitosa, nessun anniversario matrimoniale da celebrare e due figli
adulti. Posso spendere i soldi in taxi e Rossane varie. Però il
conducente è un maleducato. Succede, purtroppo. Impreca, suona il
clacson senza un motivo, corre e frena all’ultimo istante, se la
prende con i pedoni, non si ferma al semaforo. L’ho detto, una delle
cose belle della terza età è che puoi fare ciò che vuoi, tanto non ci
sarà una quarta nella quale pentirsi. Così decido di punire l’uomo
che vuole rovinarmi la giornata.
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