La resistenza del maschio – Elisabetta Bucciarelli

SINTESI DEL LIBRO:
Il Pirellone di Gio Ponti, 127.10 metri.
La guglia maggiore del Duomo di Milano, 108.50 metri.
La Torre Littoria del Parco Sempione, 108 metri.
La Torre Velasca, 106 metri.
Il Bosco Verticale, Torre E, 110 metri. Torre D, 76 metri.
Nella rotonda prendere la seconda uscita.
L’Uomo ha le mani sul volante, gira a destra passando sotto un
ponte, poi risale. Tiene il navigatore impostato, ma non ne ha
bisogno. Recita a memoria le altezze delle torri per restare sveglio.
Alla prossima rotonda prendere la prima uscita.
Prosegue costeggiando un cubo di cemento con la scritta
FRIGOMERCATO. Intanto continua a bassa voce.
La Torre di viale Filippetti, 89 metri.
La Torre del Filarete, 70 metri.
Viaggia a bordo di una berlina blu con i sedili in pelle. Sul
cruscotto un quotidiano e un libro. Sul sedile di fianco una borsa.
Dietro confusione di fogli, un computer, indumenti.
Procedere dritto per un chilometro.
Torre Isozaki, Il Dritto, 217 metri.
Torre Hadid, Lo Storto, 175 metri.
Torre Libeskind, Il Curvo, 160 metri.
È perso nei suoi pensieri quando vede i fari di una vettura che si
avvicina velocemente nella corsia opposta, sembra per qualche
istante puntare verso di lui, poi fa una curva e si schianta contro un
palo della luce. Parte un clacson. L’Uomo rallenta d’istinto, una
donna scende dal marciapiede e si getta in mezzo alla strada,
allarga le braccia, grida. Lui schiaccia il freno e inchioda, a pochi
metri da lei.
Periferia sud orientale di Milano. Nonostante la notte il buio non
c’è. Lampioni e insegne, un impasto giallo raffreddato dai neon.
Rumori in rilievo, forme degli edifici ortogonali e svuotate.
A sinistra c’è il quartiere Ettore Ponti, millenovecentotrentotto.
A destra c’è l’Ortomercato, millenovecentosessantacinque.
Ci passa davanti da quando è bambino, ha l’abitudine di
riguardare in continuazione le stesse cose.
Ogni volta aggiunge un dettaglio.
L’ambulanza arriva presto, porta via la ragazza. Ha perso
conoscenza. Testa contro parabrezza.
Non aveva la cintura allacciata.
Il vigile chiede libretto e patente, lui ha tutto. Poi gli domanda: «A
che ora, più o meno».
Lui guarda l’orologio e risponde: «All’una, credo».
«Lei da dove procedeva?» chiede ancora.
«Dalla strada che costeggia l’abbazia di Chiaravalle, ero là , ho
tenuto una conferenza sull’architettura degli ordini monastici».
Il vigile lo informa che deve fare l’alcol test. Lui sostiene di non
aver bevuto niente e aggiunge che non è coinvolto nell’incidente.
«Meglio così, ci togliamo qualsiasi dubbio» commenta il vigile.
C’è una deriva di prevaricazione in quelle parole, l’Uomo ritiene
che sia per via della notte e per l’anomalia dell’evento.
Vorrebbe tornare a casa, è stanco: «Faccio il test e intanto
continuo a raccontarle» dice.
Deve toccarsi il naso con le dita e camminare in linea retta, lo fa
con eleganza, giacca e pantaloni scuri, una camicia grigia, scarpe
stringate nere.
«Sbanda un po’» osserva il vigile.
«Si può sbandare per molti motivi, non ho bevuto niente, sono
solo stanco» obietta l’Uomo.
«Mi dica cosa è successo» risponde il vigile.
Inizia a raccontare quello che ha visto, la vettura nella carreggiata
opposta, la curva, l’impatto: «A un tratto quella Signora mi si è
buttata davanti. Ho inchiodato, mollato la macchina in mezzo alla
strada e guardato nell’abitacolo. C’era la ragazza piegata sull’airbag.
Vi ho chiamati e questo è tutto».
La Signora è una prostituta. Gonna corta, stivaletti neri, un
giubbino di pelle imbottito. Poco trucco e capelli biondi lunghi fino
alle spalle. Una faccia buona, molti segni sulla pelle. Era ferma ad
aspettare con una sigaretta accesa, cuffiette dell’ipod alle orecchie.
Dichiara di aver visto l’automobile rossa arrivare da destra, a forte
velocità , e poi è certa che abbia puntato verso il palo.
Mentre parla è seduta sul sedile posteriore della macchina
dell’Uomo. C’è umidità , sente freddo.
Entrambi concordano che si tratti di un gesto volontario.
«Sembrava così, poi non so se lo sterzo era rotto o se la ragazza
si è distratta» aggiunge l’Uomo.
Il vigile gli chiede di soffiare dentro il palloncino.
Lui domanda se dopo averlo fatto può tornare a casa.
«Vediamo il risultato e poi magari sì» risponde il vigile.
Deve riempire uno spazio piccolo. Produce un sospiro sufficiente a
rilevare il tasso alcolico. Avrebbe potuto fare un’altra strada,
prendere la tangenziale. Ripensa al motivo della scelta. Voleva
passare proprio da lì. Vedere l’apertura del nuovo collegamento che
da Rogoredo permette di raggiungere la zona sud est di Milano.
Guardare quello spazio da un altro punto vista. Arrivare di spalle.
Non stava guidando veloce, è sicuro.
Conosce le sue reazioni fisiche al millimetro. A quell’ora inizia a
salire la fatica, il contraccolpo dovuto alle sue esibizioni, incontri,
lezioni, convegni, interviste, passaggi televisivi.
È un metabolizzatore di adrenalina.
Un dopamina dipendente.
Aveva fatto in tempo a guardare, vedere, rallentare, inchiodare.
Misura perfetta. L’unica variabile era dentro la macchina.
È una donna.
Avrebbe potuto svoltare a destra, proseguire diritto, schiantarsi
contro di lui.
Ciò che è decisivo si compie nonostante tutto è un esergo
parabola. L’ha scritto Nietzsche. Gli piace.
Ciò che deve accadere accade. È la proiezione ortogonale dello
stesso concetto.
Prima di andarsene resta ancora una cosa da chiarire.
«Agente, vorrei precisare che io e la Signora non ci conosciamo,
era seduta nella mia macchina perché sentiva freddo, le ho spiegato
come sono andate le cose».
Il vigile non alza la testa dal verbale, gli risponde: «Non sono affari
miei».
«Mi si è parata davanti, non la stavo caricando, vorrei che fosse
chiaro, ha capito?».
«Le ho detto che è un problema suo. Firmi la dichiarazione e resti
rintracciabile».
La Signora ascolta, esce dall’abitacolo e mentre riprende il suo
posto di lavoro domanda al vigile: «E la ragazza?».
«Ha perso conoscenza, non so altro» risponde lui.
«Posso andare?» chiede l’Uomo.
«Adesso sì».
Le due del mattino, un paio di finestre nel palazzo di fronte si
accendono, qualcuno si affaccia a guardare. Un uomo con un cane
al guinzaglio si avvicina all’incidente.
Rimosso il danno, restano i segni.
Le linee di gesso sull’asfalto, la Renault rossa accartocciata contro
il palo. Un carro attrezzi che avanza da lontano con il lampeggiante
acceso.
L’Uomo rientra in auto, getta l’ultima occhiata alla Signora sul
marciapiede, poi infila la mano destra nella tasca della giacca e
prende il cellulare. È scarico.
«Senta» gli dice la prostituta «non sono contagiosa».
Lui si percepisce in difetto, sente di doverle delle scuse. Abbassa
il finestrino: «Ha ragione, potevo evitare di precisare, mi dispiace».
«Lasci stare, sono abituata».
Lei è il grado zero della distanza. Quando l’Uomo sa che può
avere tutto non vuole più niente. Per lui funziona così.
Le sue fantasie sono le prostitute più capaci che abbia mai
frequentato.
È un monaco di stanchezza, alza la mano in segno di saluto
strappandole una specie di ghigno soddisfatto; lei crede di sapere
cosa passi nella testa dei maschi quando la guardano.
L’Uomo recita a bassa voce le altezze delle torri per restare
sveglio.
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