La morte parla – Francesco Roberti

SINTESI DEL LIBRO:
Il cadavere martoriato della donna giaceva contro la parete di fondo
del piccolo ufficio. Il killer l'aveva spostata dal centro della stanza;
era stata trascinata fino al muro e abbandonata lì, accasciata, la
testa piegata di lato.
Quelli della scientifica erano già andati via, lasciandolo lì a fare quel
che poteva. Avevano abbandonato la scena in tutta fretta. Frank li
capiva. Non era mai piacevole sentire un morto che rendeva
testimonianza della propria dipartita.
Lui indossava il camice standard della scientifica, tanto per
proteggersi i vestiti quanto per non contaminare le prove. Guanti per
le mani, coperture speciali per le scarpe da ginnastica. Prese un
respiro lungo e lento, ignorando quel sentore di sangue nell'aria. Era
un odore familiare.
La pesante sedia di legno era rimasta accanto alla finestra, dopo che
l'assassino l'aveva usata per uccidere la donna. C'erano chiazze di
sangue ovunque, gli schizzi sulle pareti e sul soffitto seguivano
chiaramente il ripetuto movimento dall'alto in basso dell'arma del
delitto.
Il cadavere della donna era ridotto quasi a una poltiglia per la
violenza dell'aggressione. Braccia e gambe rotte, il torace squartato
e deforme, la parte posteriore del cranio sfondata. Tuttavia, la gola
sembrava illesa; i polmoni, da quel che si poteva vedere, erano
intatti. Era questo l'importante. Nella stanza erano posizionate tre
telecamere, pronte a registrare qualsiasi cosa fosse accaduta. Era
fondamentale che le parole venissero pronunciate a voce alta.
Il medico legale non l'aveva spostata. Disturbare il corpo avrebbe
reso più difficile il risveglio dalla morte, riducendo le probabilità di
successo. L'ora del decesso era stata stimata intorno alle nove della
sera precedente, quasi dodici ore prima.
Si chiamava Alice Decker. Era una psicologa e quello era il suo
studio; sul pavimento, in una cornice malconcia, c'era una foto di
famiglia: la Decker sorridente accanto al marito e alle due figlie
adolescenti.
Facendo attenzione a dove metteva i piedi, Frank girò intorno a una
delle telecamere montate su cavalletto, e il camice di carta frusciò
mentre cercava di evitare cavi e macchie di sangue. Si inginocchiò
accanto al corpo di Alice e si tolse il guanto di lattice dalla mano
destra. Il contatto diretto era sgradevole ma necessario.
«Tutto pronto?», chiese, guardando nell'obiettivo della telecamera
più vicina. Ottenne una rapida conferma nell'auricolare. Le spie
rosse sulla telecamera diventarono verdi e la registrazione ebbe
inizio.
Frank prese la mano devastata della vittima. «Risveglio del soggetto
Alice Decker. Il risvegliatore di turno: Frank Robert, dichiarò. Si
concentrò, mentre le telecamere registravano in silenzio. Passarono
i minuti. Chiuse gli occhi. Il suo volto non mostrava alcun segno della
difficoltà di quel lavoro, ma era proprio questa la parte che
detestava, questo tuffo nel buio per riportare indietro il soggetto.
Le morti violente erano ancora più difficili, e Frank aveva sempre a
che fare con morti violente.
La violenza limitava anche il tempo a sua disposizione. Quando
avesse risvegliato Alice, si aspettava cinque minuti di interrogatorio
al massimo, forse molto meno. L'avrebbe liberata quanto prima
possibile, non appena avesse appreso tutto quello che c'era da
sapere. Dopo l'indignazione della morte, e il sacrilegio della
resurrezione, era il minimo che potesse fare.
Aprì gli occhi e respirò a fondo. Andava avanti da dodici minuti ed
era vicino al successo, il peggio era passato, ma gli serviva un
momento per prepararsi allo sforzo finale.
Le palpebre aperte della donna tremolarono, un primo segno. Per un
attimo lui tenne lo sguardo fisso sull'occhio sinistro, che era stato
perforato e aveva versato del liquido sulla guancia, lasciando la
pupilla un po' avvizzita. La punta della scheggia d'osso che aveva
causato la ferita era visibile nel cratere intorno all'occhio, che si era
infossato.
Sopra l'orecchio sinistro vide un lembo dello scalpo di Alice,
strappato durante l'aggressione. Il grave danno sottostante era una
confusione di colori: bianco, grigio e rosso mescolati ai capelli biondi
della donna. Il peggio era nella parte posteriore della testa, premuta
contro il muro e non visibile.
Quando fu pronto, Frank chiuse gli occhi e proseguì con il risveglio.
Qualche istante dopo, la gola della donna vibrò. Passò qualche altro
secondo e infine Frank riuscì a trovarla.
«È qui», disse.
Il cadavere inspirò, uno sgradevole raschiare umidiccio proveniente
dal torace. Frank non poté fare a meno di notare che il petto si
gonfiava in modo irregolare, squarciato in alcuni punti, le ferite visibili
attraverso i vestiti. Oltre al sibilo dell'aria che entrava nei polmoni
della morta, si sentivano crepitare le ossa e le cartilagini. Le corde
vocali cominciarono a vibrare, creando un delicato lamento.
Il torace, una volta pieno d'aria, si fermò.
«Mi chiamo Frank Robert. Può dirmi lei chi è?». Il risvegliatore attese
con grande tensione la risposta. Era tutt'altro che sicuro che la
donna sarebbe riuscita a parlare, soprattutto in maniera udibile.
Alice emise un basso sospiro, ed era inquietante notare come il cupo
gorgogliare dei polmoni si sentisse più della sua voce.
Poi si formò una parola. «Sì...», disse la donna. «Alice...».
Per le telecamere la voce era un sussurro, monotono e lontano. Per
Frank era come se il cadavere gli parlasse direttamente nelle
orecchie, con una chiarezza terrificante. E altrettanto chiaro era per
lui lo stato emotivo del soggetto, fin troppo visibile per il risvegliatore
. Nei casi di omicidio l'emozione prevalente era la rabbia. Rabbia per
la morte. Rabbia per il risveglio dalla morte.
Stringendole la mano, Frank si sporse verso la donna. Si fece
coraggio e affrontò il contatto visivo. I morti non potevano vedere,
ma lui si sentiva un vigliacco se non li guardava negli occhi.
«è al sicuro, Alice», disse, la voce calma e confortante.
Il torace della defunta si sgonfiò per l'espirazione. Ne provennero
schiocchi e il rumore di tessuti che si staccavano. Poi inspirò di
nuovo.
«No...», disse Alice. La voce era piena di disperazione, ed era un
brutto segno. A lui serviva l'indignazione, non lo scoraggiamento.
Fece una pausa, non sapeva se la donna era consapevole della
propria condizione. Era più comune nei soggetti adulti; a volte
semplicemente non sapevano di essere morti. Il rifiuto poteva
portare il risveglio a una brusca conclusione, una rapida esplosione
di incoerenza e poi il silenzio.
«Sa dove si trova, Alice?», le chiese.
«Nel mio studio». Il tono della voce, la sensazione di smarrimento.
Frank capì: la donna sapeva cos'era successo ed era
comprensibilmente spaventata.
«La prego, mi lasci andare», disse Alice. Frank si fermò, un doloroso
ricordo che tornava in superficie. Da quella volta aveva già sentito
ripetere in tante occasioni queste parole, ma lo facevano sempre
trasalire.
«La lascerò, ma prima ci sono alcune domande che devo farle.
Cos'è successo qui, Alice? Cosa le hanno fatto?».
Alice espirò, ma non disse nulla. Secondi preziosi che scivolavano
via. Frank sapeva quanto dovevano essere agitati dall'altro lato delle
telecamere, mentre guardavano la testimone chiave che annaspava,
sapendo che il tempo era poco, ma lui riuscì a mantenere la calma.
Alla fine il torace si mosse di nuovo e la donna inspirò.
«La prego, mi lasci andare», ripeté.
Frank valutò le proprie opzioni, poi scelse un altro approccio. Parlò
con voce fredda e severa.
«Dimmi cosa è successo, Alice. Poi ti lascerò andare».
Un'altra pausa.
«Vogliamo catturare il colpevole, ma ho bisogno del tuo aiuto».
Ancora nessuna risposta. Decise di azzardare un rimprovero.
«Non ti importa di cosa ti hanno fatto?».
Sentì la rabbia che prendeva forma, solidificandosi dalla sua
disperazione.
«Ero da sola», disse la donna. «L'edificio era vuoto. Stavo
lavorando. La porta si è aperta». Inspirò, poi fece una pausa. A ogni
respiro, a ogni pausa, c'era ormai il rischio che non dicesse più nulla.
Doveva continuare a farla parlare, i respiri erano solo contrattempi. Il
tempo stava per scadere.
Eppure doveva fare attenzione. Non poteva esagerare. Aspettò
qualche secondo, prima di incalzarla. «A che ora è successo?»
«Alle undici. Poco dopo. Gli ho chiesto cosa ci facesse nel mio
studio».
«Chi era, Alice?»
«Lui ha detto che George l'aveva fatto entrare, ma George era
andato via da qualche ora».
«Chi era, Alice?»
«Aveva pianto, l'ho capito subito; le mani erano sporche di sangue,
quando ha visto che me ne ero accorta le ha nascoste dietro la
schiena».
«Chi era quest'uomo, Alice?». Era ansioso di scoprire il nome, nel
caso si fosse fermata. Al resto avrebbe pensato dopo.
«Gli ho detto qualcosa riguardo alla porta, per distrarlo. Lui si è
girato, e allora ho provato a prendere il telefono. Sapevo di essere
nei guai».
Si fermò e questa volta non inspirò.
«Chi era quell'uomo, Alice? Come si chiama?». Sentì nell'auricolare
qualcuno che imprecava e gli venne voglia di fare altrettanto. Poi
Alice prese un altro respiro, ancor più profondo dei precedenti. La
schiena scivolò per diversi centimetri lungo la parete e Frank ebbe
un piccolo spasmo di reazione.
Riluttante, si fece più vicino e allungò il braccio destro per cingere la
donna. Premette col ginocchio sinistro contro le gambe di lei, per
evitare che cadesse del tutto. In quel momento era brutalmente
consapevole delle ferite della vittima. Lo spunzone di una costola gli
premeva dolorosamente contro l'avambraccio. E poi, quando lei
parlò, poté sentire il fiato sul viso.
«Ha visto che avevo preso il telefono. Si è mosso in fretta e l'ha
tirato già dal tavolo. Mi ha colpito forte, a una tempia. Sono caduta.
Lui mi ha alzato da terra e mi ha lanciata. Era furioso e io ho chiesto
pietà , per pietà ». Poi, rivolta a Frank: «Per pietà , mi lasci andare». Si
fermò di nuovo.
«Come si chiama quest'uomo, Alice? Dimmi il suo nome».
Frank si ritrovò a trattenere il fiato. Passarono quindici secondi.
All'improvviso lei inspirò, facendolo sobbalzare; il risvegliatore
poteva percepire i muscoli che si laceravano, le ossa che si
sgretolavano l'una contro l'altra.
«Roach», disse la donna, la voce ora più debole. La sua presenza
era sempre più indistinta, si stava dissolvendo. «Franklin Roach. Ha
preso una sedia. Ho visto che mi colpiva sulla testa. Tutta quella
rabbia».
Silenzio. L'istinto gli disse che non ci sarebbe stato altro. Aspettò
qualche secondo ancora, prima di parlare rivolto alla telecamera.
«Credo sia tutto qui».
Gli confermarono che era sufficiente, quindi le luci verdi della
telecamera diventarono rosse: la registrazione era terminata.
Frank tornò a guardare Alice. Seppur muta, era ancora presente. Il
vero abbandono sarebbe avvenuto una volta interrotto il contatto
fisico: una volta che lui le avesse lasciato la mano.
«Lo prenderemo». Le parlò di nuovo, con voce rassicurante: «Ora
puoi riposare». Stava per liberarla quando lei gli rispose, con una
voce piena di terrore e urgenza.
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