La direzione della coccinella – Davide Ceraso

SINTESI DEL LIBRO:
Il silenzio è assoluto. Il vento raccoglie cristalli di ghiaccio. Li solleva e
li fa incontrare. Si fondono tra loro come amanti appassionati. Nascono così
fiocchi di neve che iniziano a scendere lievi. Bianchi. Perfetti. Uno diverso
dall’altro.
Battito…
Un singolo fiocco veleggia alla deriva in un cielo grigio, attorno a lui
taciturni compagni di viaggio. Quel fiocco beccheggia mostrando ogni più
piccolo particolare: le sei minuscole ramificazioni ghiacciate, gli altri
segmenti gelati che dipartono verso l’esterno, una microscopica ragnatela,
gelida perfezione di simmetria.
Battito…
D’improvviso, tutti i fiocchi accelerano verso terra. Rapidi. Nell’aria si
diffonde un rumore leggero, quasi impercettibile, che a ogni metro aumenta
d’intensità.
I fiocchi di neve ora ondeggiano all’unisono, danzatori sul ghiaccio che
s’inseguono senza trovarsi mai. Alla fine si posano uno sull’altro accanto a
una finestra. In equilibrio.
Il poco calore ne scioglie appena la superficie, cristallizzano immobili.
Insieme.
Battito…
Il vetro della finestra è appannato, la condensa forma una patina sottile
che ricopre il vetro e deforma i contorni dei palazzi circostanti. Un uomo
usa quello spazio di confine tra interno ed esterno come una tela. Disegna
linee e contorni, forme indecifrabili. Sovrappensiero.
La sala dietro di lui è illuminata dalla fredda luce dei neon che appiattisce
i pochi oggetti presenti: un appendiabiti vuoto, un cestino della spazzatura
che trabocca di bicchierini di plastica al profumo stantio di caffè, un
ombrello dimenticato da chissà chi. Le pareti tinte di un azzurro spento, su
cui sono appese fotografie di cieli lontani, irraggiungibili, sembrano
stringersi all’uomo in un opprimente abbraccio. Alcune poltroncine dallo
scheletro di acciaio e la pelle di tessuto grigiastro osservano annoiate la
scena. Non c’è nessun altro.
Battito…
Una porta si apre cigolando. L’uomo si volta verso l’improvviso rumore.
Trattiene il fiato, le mani tremano appena.
Entra un dottore. Indossa un camice verde.
Si scosta una mascherina dal viso. Parla con voce calma ma ferma.
L’uomo davanti a lui ascolta immobile, a capo chino. Il suo cuore, per un
attimo, smette di battere.
Silenzio.
Dissolvenza in nero…
L’infermiera accompagna Lorenzo attraverso il corridoio. La luce, tenue
e velata, non disturba i pazienti che sono già tutti addormentati nei loro letti.
Un’ovattata tranquillità opprime l’intero reparto, solo qualche sospiro o lo
strusciare dei camici riesce a sopravvivere alla sera. Niente di più.
L’odore acre del disinfettante s’insinua fin dentro le narici. L’orario di
visita è terminato da più di un’ora e Lorenzo si sente come un intruso, un
involontario attore dentro la scena di uno spettacolo riservato ad altri.
Cammina pochi centimetri dietro la ragazza che lo accompagna, badando
più a non far rumore, che a dove sta andando. Quando lei si ferma, a
momenti cozza contro la sua schiena, ma riesce a spostarsi da un lato
proprio all’ultimo momento. Poi gli viene indicata una stanza.
«Non la stanchi» sussurra l’infermiera, «è molto debole. Le abbiamo dato
un sedativo e ora probabilmente dorme. Se ha bisogno di qualcosa prema il
campanello poggiato sopra la testiera del letto, qualcuno arriverà subito.»
Lorenzo annuisce e osserva il cartellino appeso al camice della donna.
“Claudia Silvestro – recita muto – infermiera professionale.”
A fianco della scritta spicca la fotografia di una ragazza sorridente, i
capelli raccolti e poggiati su di una spalla. Lorenzo alza lo sguardo e
sorride. Lei contraccambia un po’ imbarazzata prima di allontanarsi a passi
rapidi e sparire dentro la flebile luce di una saletta un paio di porte più
avanti.
Rimasto solo, Lorenzo fissa il pavimento alla vana ricerca di qualche
briciola di coraggio che lo aiuti a compiere quei pochi passi. Poi un respiro
profondo infonde in lui la forza necessaria per entrare nella stanza e
socchiudere piano la porta, così in fretta che la luce del corridoio non fa in
tempo a entrare. Una lampadina a incandescenza poggiata in un angolo crea
un’atmosfera quasi familiare. Intima. La stanza profuma di alcool e
lavanda.
Accanto all’unico letto vede una sedia poggiata al termosifone di ghisa,
proprio sotto la finestra. Subito accanto, due monitor poggiati su di una
specie di leggio metallico emettono un bassissimo bip e da un’asta grigia
pende una sottile cannula lattiginosa che s’infila nel braccio della donna sul
letto.
Lorenzo si avvicina in silenzio. Sua moglie respira a fatica. Gli occhi
chiusi.
Avanza ancora per un paio di metri. Il peso degli anni – il mese scorso ne
ha compiuti settanta – a rallentare le sue gambe indurite dalla stanchezza e
dalla tensione.
Quando arriva vicino al letto, afferra la sedia dallo schienale e si siede. Il
legno emette un lamento stridulo che lo fa sobbalzare.
Da quella posizione può osservare meglio la moglie. È pallida, stanca,
sembra invecchiata di dieci anni in una sola notte.
Rimane a fissarla senza dire nulla. La ama così profondamente…
Non ricorda l’ultima volta che si è svegliato nel letto da solo. Forse
cinque o sei anni prima, quando sua moglie era andata a Barcellona con
alcuni amici. Lui era rimasto a casa per colpa di un’influenza. Aveva
trascorso quei giorni sdraiato sul divano a guardare le partite di
pallacanestro e vecchi film in televisione.
Dopo quella volta si erano ripromessi di tornare a Barcellona insieme, ma
il proposito era sfumato. E ora…
Il pensiero torna inevitabilmente alla sera precedente. Era rimasto in
ospedale un paio d’ore, seduto nella luce soffusa della stanza a osservare
sua moglie dormire un sonno agitato. Non si era mai svegliata. E lui, mentre
una fitta nevicata cadeva indisturbata sulla città deserta e addormentata
fuori dalla finestra, aveva pianto.
Anche adesso, dopo aver trascorso la maggior parte della notte a fissare il
buio e il soffitto della camera da letto, si sente triste e senza energie.
Allunga il braccio alla sua destra sperando di trovare qualcuno, illudendosi
che le ultime ore fossero state soltanto un vivido incubo. I polpastrelli
incontrano il lenzuolo. Vuoto.
Sospira. Scosta di lato il piumino, ricorda che lo avevano comprato
insieme solo poche settimane prima, e scende dal letto.
Quel momento passato arriva improvviso, un’onda anomala che costringe
il suo corpo a traballare come un pugile colpito alla mascella. Si regge alla
spalliera del letto per non cadere, le gambe sono come due torri di un
castello di carte pronte a sgretolarsi al primo fiato di vento.
In piedi, immobile, percepisce un profumo da donna nella stanza e lo
riconosce all’istante… non l’aveva notato quando si era coricato in piena
notte ed è proprio quell’odore improvviso che lo rinvigorisce quel tanto da
permettergli di avviarsi a piedi scalzi verso la cucina.
Percorre il corridoio al buio, le braccia in avanti come un fantasma
desideroso di spaventare ignari invasori. La casa è ancora avvolta nella
penombra, ma sente il rumore di stoviglie e lo scorrere dell’acqua.
Apre la porta della cucina circospetto.
«Maria, che ci fa lei qui?»
«Architetto, spero di non averla svegliata. Dopo quello che è successo
ieri, ho pensato avesse bisogno di qualcosa. Sono arrivata presto per
preparare la colazione e un po’ di pranzo.»
«Grazie, ma oggi è il suo giorno libero…»
«Non deve preoccuparsi, questa notte non sono riuscita a chiudere
occhio, ero preoccupata. Come sta la signora?»
Mirtillo, nel frattempo, si avvicina diffidente al nuovo arrivato ma,
deluso per non aver trovato la sua padrona, torna sotto il tavolo. Si sdraia,
appoggia il muso sulle zampine anteriori emettendo un guaito che pare un
sospiro di sconforto, le orecchie dritte e in ascolto, gli occhi vigili. Aspetta.
Come tutti quanti. Sarebbe stata vana quell’attesa?
È proprio questo il pensiero che tormenta Lorenzo mentre sorseggia il
caffè, prova a mangiucchiare una fetta di torta alle mele e ignora, di
proposito, la domanda di Maria.
Lorenzo ama trascorrere i pomeriggi girovagando nelle librerie. Legge
l’incipit delle nuove uscite, rapito dalle storie e dal profumo della carta
fresca di stampa. Sarebbe voluto diventare uno scrittore, ma la vita l’ha
condotto altrove.
Solitamente, mentre girovaga tra gli scaffali, è felice e in pace con se
stesso.
Quella mattina, però, nella consueta libreria del centro, quella con le
vetrine sempre addobbate con libri aperti e frasi celebri scritte su finte
pergamene, si sente un corpo estraneo. L’odore di carta è opprimente e
avverte un fastidioso ronzio nelle orecchie, come se in quel preciso
momento tutti i personaggi dei libri parlassero contemporaneamente e ad
alta voce.
È nervoso, vuole comprare un romanzo, ma da quando è entrato nel
negozio non è riuscito a scegliere nulla che fosse di suo gradimento, anche
con l’aiuto di un gentile commesso che si è prodigato e scervellato
inutilmente.
Alla fine esce dalla libreria corrucciato, senza salutare nessuno. Si
trascina fino a casa zigzagando lungo la strada pedonale per evitare i cumuli
di neve e le pozzanghere sulle quali fin dalla mattina era comparso un
sottile strato di ghiaccio.
La stanchezza di una notte senza sonno afferra i suoi muscoli stanchi non
appena varcato l’uscio. Si assopisce sul divano, ancora vestito di tutto
punto, le scarpe pesanti ai piedi, il piumino ancora abbottonato, e si sveglia
soltanto nel pomeriggio.
La casa è silenziosa, si alza nella penombra sentendo il suono di una voce
femminile intenta a canticchiare un motivetto allegro.
La riconosce all’istante.
Si blocca lì dov’è. Poi, titubante, la chiama per nome.
Nessuna risposta.
Vede che la luce del bagno è accesa. Si avvicina e sbircia all’interno.
Sua moglie si sta truccando. È giovane, come quando si sono sposati.
Lorenzo osserva in silenzio la punta nera di una matita percorrere il
bordo esterno dell’occhio.
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