La Bellezza nella Devastazione – Charmaine Pauls

SINTESI DEL LIBRO:
HAROLD DALTON BALZA da dietro la sua enorme scrivania così
velocemente che quasi inciampa sulla ruota della sedia altrettanto
sproporzionata. «Che cosa vuoi?»
Il vigliacco ha paura. Dovrebbe averne. Dopotutto, mi ha incastrato e
ha rubato la mia miniera di diamanti. È per colpa sua che ho passato sei
anni in prigione da innocente.
Il suo grasso mento trema. Non mi toglie gli occhi di dosso, mentre
attraverso il pavimento. Me la prendo comoda mentre ispeziono la stanza,
facendolo sudare freddo. L’ufficio di casa non è cambiato, a eccezione
delle tre teste di cervo che fissano miseramente dalla parete.
«Che cosa vuoi?» ripete, quando raggiungo la sua scrivania.
«Ah. Che cosa potrei mai volere?»
Gli tremano le dita, mentre le passa sul desktop. Il figlio di puttana è
così arrogante che o ha dimenticato che sono uscito ieri o credeva che
avessi lasciato la prigione da uomo sconfitto. Chiunque altro al posto di
questo bastardo supponente avrebbe messo una dozzina di guardie
davanti alla sua porta oggi. Ha commesso un errore.
Una mano piena di macchie scivola verso il cassetto, dove senza
dubbio tiene una pistola, ma io sono più veloce e più forte. La mia presa
sul suo polso lo fa gemere. Posso quasi sentire l’odore della paura nel
sudore che gli macchia le ascelle della camicia. Non sono più il
ventiduenne che ha varcato questa porta indossando una camicia logora.
Sono un uomo con un completo da ottantamila rand, un uomo con un
senso di rivalsa.
Sei anni sono lunghi, abbastanza da immergerti nei succhi della
vendetta, finché il tuo cuore non è avvolto da tutto quell’acido corrosivo.
Sei anni di crudeltà e torture trasformano gli uomini in bestie. Sei anni in
compagnia dei criminali più duri e anche dei criminali più famosi ti
portano ad avere i giusti collegamenti e una fortuna.
«Che cosa vuoi, Damian Hart?»
Questa volta, la domanda merita una risposta, di quelle che solo le
persone ricche possono ricevere. Tangenti.
Lasciandogli andare il polso, tiro fuori due pezzi di carta dalla tasca
interna della giacca e li faccio scivolare sulla scrivania. Apre il primo, la
prova di ciò che ha rubato, e impallidisce mentre legge. Il secondo è un
atto che il giudice corrotto ha firmato subito dopo avergli mozzato il dito.
I fogli tremano tra le sue mani. «Dimmi il tuo prezzo. La maggior
parte dei miei soldi è vincolato in investimenti, ma ho alcune proprietà . La
mia casa a Camps Bay vale novanta milioni. Posso firmare l’atto in meno
di ventiquattr’ore.»
Ridicolo. «Novanta milioni non sono sufficienti. Direi che
millequattrocentocinquantacinque giorni e una miniera di diamanti del
valore di miliardi meritano un po’ di più, non credi?»
«La miniera appartiene agli investitori. Solo il trenta percento è mio e
non posso cederlo facilmente. Il consiglio di amministrazione dovrebbe
votare un cambio di proprietà .»
Come se non lo sapessi. «Non m’interessa il tuo piccolo scambio,
Dalton. Voglio la tua più grande risorsa.»
Gli strati di pasta frolla sul suo viso si corrugano in un’espressione
accigliata.
Girando la cornice dorata della foto posta in modo strategico di fronte
alla sedia del visitatore, la spingo lentamente verso di lui.
Sgrana gli occhi, quando inizia a capire. Nemmeno la minaccia della
mia presenza è sufficiente per impedire alla rabbia di esplodere sui suoi
lineamenti.
«Stai scherzando, spero» sibila, accartocciando le prove incriminanti
nei pugni.
Angelina Dalton-Clarke.
Figlia di Harold Dalton. Vedova di Jack Clarke. Ha ereditato la
fortuna del suo defunto marito. Vale miliardi, è la vedova più ricca del
Paese e anche la più pazza. Le sue tendenze suicide e autolesioniste
avevano spinto Clarke a dichiararla incapace e mentalmente instabile,
prima di puntarsi una pistola alla testa e farsi esplodere il cervello. A Lina
Dalton-Clarke non è permesso toccare un centesimo delle sue ricchezze. Il
padre gestisce le sue finanze. Lui ha tutti i poteri di firma. Diventando suo
marito, quel compito ricadrà su di me.
«È malata di mente» farfuglia Dalton.
«Ho letto i rapporti.» Non è stato difficile per un compagno di cella
infiltrarsi nei file medici.
L’uomo sembra sul punto di avere un infarto. Aspetto che la sua faccia
sia viola, dandogli il tempo di vivere l’inizio della fine, prima di continuare
con le mie istruzioni.
«Mandala in biblioteca. Mi piacerebbe vedere la mia risorsa di
persona. Oh, e non una parola sulla nostra discussione. Mi piacerebbe
comunicarle personalmente la buona notizia.»
Resta immobile, fissandomi con qualunque emozione stia provando
nel petto marcio. È solo quando sono dall’altra parte della stanza che
riprende vita, girando intorno alla scrivania.
Sollevo una mano. «Sarò in biblioteca.» Con fare derisorio, aggiungo:
«Conosco la strada.»
La malcelata indignazione sul suo viso mentre chiudo la porta mi
riempie di gioia, più di quanto abbia mai sperimentato in tutti gli anni che
la sua famiglia mi ha rubato.
Provengo dai bassifondi, ma non sono un cittadino comune. Conosco
le regole della borghesia, ed è per questo che mi concedo un po’ di tempo,
prima di recarmi in biblioteca. Chissà in che stato si trova la signora
Dalton-Clarke. Potrebbe indossare abiti sciatti o prendere il sole nuda. I
suoi capelli potrebbero essere un disastro ed essere struccata in viso.
Potrebbe aver bisogno di qualche minuto per rendersi presentabile.
Immagino che la maggior parte delle donne, di fronte a un nemico, faccia
appello a tutto il potere possibile, anche se esso deriva da tacchi da
quindici centimetri e rossetto rosso. Qualsiasi cosa di meno dello
spettacolo che mette in scena per il mondo la porrebbe in uno svantaggio
ingiusto per la visita a sorpresa, e anche se non me ne frega un cazzo di
giocare equamente, credo nel trattare una donna come una signora,
quando è importante. Informarla che diventerà mia moglie è sicuramente
importante.
Al mio ordine, la Signora Benedict, la stessa vecchia governante di
sempre, mi serve a malincuore una tazza di Earl Grey sulla terrazza. Non è
una coincidenza che io stia vagando qui fuori. È il posto in cui ero seduto,
quando Angelina Dalton venne da me quella terribile notte che segnò il
mio destino. Come sarà affrontarla di nuovo? L’assalto di emozioni al
pensiero è un familiare cocktail di apprensione, eccitazione e un bisogno
assetato di giustizia. Mentirei se dicessi che la lussuria non si sta
sbizzarrendo sotto la superficie di tutto questo. Chi può biasimarmi? È
stata al centro delle mie fantasie, sia di tipo vendicativo che erotico, negli
ultimi sei anni.
Poco fa, nello studio di suo padre, guardavo a malapena la sua foto.
Non avevo bisogno di farlo. I suoi lineamenti sono impressi nella mia
mente, anche se ci siamo incontrati solo una volta: un viso angelico con gli
occhi azzurri come il cielo e una cascata di capelli dorati. La vedo nei miei
sogni e con gli occhi spalancati. Quando li chiudo, la vedo camminare
verso di me attraverso le porte finestre del patio, mostrando innocenza e
vulnerabilità . È una notte che non potrò mai dimenticare. È una notte in
cui si sono scontrati il momento migliore e peggiore della mia vita. Se
Dalton vince il primo premio per avermi fottuto, lei prende il trofeo per
avermi strappato il cuore in pochi secondi, solo per gettarmelo in faccia. È
la mia gioia e il mio dolore. Non aveva il diritto di essere carina e gentile
con me, se non aveva intenzione di innamorarsi tanto quanto mi ha fatto
innamorare di lei.
Il ricordo è sempre fresco, sempre nuovo. Povero in canna ma armato
di giovinezza e ambizione, avevo indossato la mia unica camicia con i
bottoncini e avevo cercato di incontrare suo padre non nel suo ufficio, ma
a casa sua. Era un’idea idiota. Qualunque uomo con una minima
esperienza dell’alta società avrebbe potuto dirmi che sarei stato fuori
luogo alla cena formale, dai coltelli allineati e le quattro forchette accanto
ai piatti cerchiati d’oro ai sigari arrotolati nella mano, che conclusero il
calvario durato cinque ore. Tra gli altri ospiti in smoking, mi distinsi come
un cane bastardo tra i cavalli da corsa. Uscii per prendere aria e mi sedetti
su questa stessa terrazza. Mi stavo congelando il culo senza una giacca a
metà giugno, quando lei uscì con quel grazioso vestito bianco, i ricci tirati
su con qualche fermacapelli, con un fottuto scialle verde che sfoggiava un
paio di buchi avvolto attorno alle spalle.
«Non hai freddo?» chiese con una voce che suonava squillante come il
loro sofisticato campanello per la cena.
L’ignoranza di una ragazza ricca. A che cazzo stava pensando? Stavo
battendo i denti e mi tremavano le ginocchia. Volevo tornare dentro dove
faceva caldo, ma avevo bisogno di un altro minuto per riprendermi. Non
avrei lasciato che gli uomini più anziani con i loro completi costosi e la
conoscenza delle posate m’intimidissero. Portavo il mio futuro in tasca,
una scoperta che mi avrebbe messo al centro dell’attenzione, ma dovevo
ancora parlare con Dalton, l’uomo che mi avrebbe aiutato a renderlo
possibile. Non ero altro che un povero bastardo, e non volevo risponderle,
non proprio, perché ammettere di avere freddo sarebbe equivalso ad
ammettere cose di cui non volevo che la splendida giovane donna fosse
messa a conoscenza.
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