Kora Key – Barbara Scudieri

SINTESI DEL LIBRO:
Nella misteriosa città di Moonlife, come in tutti i luoghi più arcani del
mondo, niente era come appariva. Neanche i sogni. Quella notte in
cui Evelyn Green fu risucchiata dall’incubo di un ricordo lontano, la
neve ricoprì interamente la piccola cittadina, così stretta tra le
imponenti montagne che la circondavano, che quasi scompariva,
donando agli angoli più remoti delle sue esigue viuzze una finta
quiete appesa al chiodo della cornice di un quadro d’ombre come
una piccola nuvola che, disperata, s’aggrappava al cielo più buio.
Sostenuta dai fili di quell’incubo, Evelyn Green scacciò via il giorno e
scivolò nella notte più oscura tra le ombre del passato. Sogno e
ricordo divennero un’unica cosa. Gli spiriti onirici la trascinarono
indietro nel tempo, ad una sera di novembre di dieci anni prima
quando il vento scuoteva Moonlife, battendo la sua furia sui vetri
delle finestre, facendo tremare le case, gli alberi e gli animi della
gente. Quella notte Evelyn sognò l’ombra di Lyle, di colui che negli
anni era divenuto il suo più grande amico.
L’uomo era dinanzi al camino spento, con il viso sconvolto e scavato
dalla magrezza, i capelli lunghi e disordinati, la mente raggrinzita dal
tormento, le mani congiunte, solcate dalle vene che si accavallavano
le une alle altre come onde spumeggianti di un mare in tempesta.
Quella sera in cui il buio attanagliava la casa e i pensieri, Lyle si
liberò del rimorso nascosto dietro la pallida maschera del suo volto
che, diviso a metà, brillava nella penombra. Quell’angoscia che si
portava dentro era qualcosa che gli corrodeva, come acido, lo spirito
e la mente.
“Non posso dimenticare la bambina…”, sussurrò l’uomo, prima di
scavare con le mani nella cenere del camino spento, come fosse alla
ricerca di qualcosa che non c’era. Poi si avvicinò ad Evelyn che era
scivolata all’indietro sul pavimento nel constatare la metamorfosi del
viso dell’uomo che era nettamente cambiato. Un uomo e una
bambina, poi di nuovo l’uomo e poi la bambina. Evelyn aveva
provato a urlare ma una mano invisibile aveva soffocato quel grido.
Mentre il tempo celava le sue mosse e lo spazio ne catturava gli
attimi, Evelyn si raccolse in un angolo del salotto e ascoltò l’uomo e
la bambina parlarle di un passato che aveva creduto di dimenticare
ma che stava tornando in vita attraverso il buio, aggrappandosi alla
notte per poi rinascere più forte di giorno.
“Ho ucciso la bambina… - sussurrò Lyle - La piccola Elly è morta per
colpa di quel gioco… quel maledetto gioco! Non avrei mai dovuto
raccontarlo alle bambine… Ero andato in quella casa per
sgomberare la cantina, di cui Brian mi aveva lasciato le chiavi. Le
bambine erano sole in giardino, c’era una luce bellissima, quasi
accecante. Ero seduto con loro sulle scale di pietra, accanto alla
fontana da cui sgorgava acqua non limpida, color rame liquido, su
cui si riflettevano a sprazzi schegge di sole. Ho raccontato a Mel e
ad Elly di quello stupido gioco con le pistole che facevo da piccolo
insieme a mio fratello. Lo chiamavamo ‘guardia e ladri’. Di solito
fingevo di essere un ladro che entrava in casa di nascosto con la
mia maledetta pistola ad acqua e mi mettevo in agguato dietro le
tende. Dopo aver raccontato alle bambine i minimi particolari di quel
gioco d’infanzia, andai a dare un’occhiata alla cantina. Era troppo
piena di oggetti e vecchi mobili, pensai così di ritornare l’indomani
con il furgone per sgomberarla. Uscii dalla cantina, le bambine non
erano più in giardino. Erano entrate in casa. Stavano cercando la
pistola… volevano giocare a ‘guardia e ladri’...”.
La lucidità di quel discorso s’interruppe all’improvviso, rotta
dall’impeto del sogno. Evelyn sprofondò in un foglio di carta
gigantesco su cui era raffigurato il disegno di una farfalla nera con
dei puntini bianchi, oltre la quale non riusciva a vedere nulla. Cercò
di strappare quel foglio ma i suoi gesti furono vani. Era lei, ora, la
farfalla, imprigionata in una tela, che si dibatteva inutilmente senza
trovare via d’uscita. Poi sentì la voce di Lyle che sembrò provenire
dalle viscere della terra e che continuava a ripetere: “Aveva solo
quattro anni… solo quattro anni”.
Evelyn si destò all’improvviso dal sogno. Ormai preda del suo incubo
ricorrente, continuava a vedere Lyle vittima dei suoi inconsolabili
sensi di colpa. L’uomo non faceva che parlare di Elly e della sorella
Mel, di soli otto anni, che l’aveva colpita mortalmente mentre giocava
con la pistola che la famiglia conservava nello studio, in un cassetto.
Ed Evelyn nei suoi sogni ricorrenti non faceva che domandarsi:
“Dov’erano le chiavi del cassetto? Perché quel cassetto era aperto?
Chi l’aveva aperto?”. Ma nel ricordo di Evelyn quelle domande
asfissianti non avevano più la sua voce, appartenevano a qualcun
altro. Ma allora di chi era quella voce?
Dal giorno della morte della piccola Elly, nessuno a Moonlife
dimenticò mai il tragico incidente avvenuto in quella casa del centro.
La vita della famiglia Klark fu sconvolta per sempre. I genitori
avevano lasciato le bambine in casa da sole e al loro ritorno ciò che
li
aveva attesi era stata la terribile scoperta della loro figlia più
piccola, Elly, trafitta e allontanata dalla vita da quel colpo di pistola
sparato per gioco dalla sorella Mel, di soli quattro anni più grande.
Unico indagato Lyle Thompson, un ragazzo di vent’anni, l’ultimo ad
avere visto la bambina ancora in vita.
L’uomo si era recato a casa dei Klark per sgomberare la cantina,
proprio quando le bambine avevano dato il via a quel gioco
maledetto. Mai prima di allora un evento così tragico si era verificato
a Moonlife, una cittadina tranquilla che si nascondeva dal resto del
mondo. Nessun caso, nessuna morte accidentale di bambini a
Moonlife, non prima della tragica fine di Elly. Un posto tranquillo, fin
troppo tranquillo. Quella morte lasciò sgomenta la comunità per
lungo tempo, nessuno avrebbe mai dimenticato. Da allora la mente
collettiva iniziò a interrogarsi su quanto fossero al sicuro i propri figli,
su quanto fosse assurdo aver lasciato quelle bambine a casa da
sole, senza nessuno che le custodisse o tutelasse in quegli istanti
tragici, in alcun modo. Dov’erano i genitori di Elly e Mel? Perché non
erano in casa quella mattina?”. Non trascorreva giorno senza che
Evelyn si ponesse quelle domande. Non trascorreva ora senza che i
sensi di colpa di Lyle non lo lacerassero.
Ogni incubo alla luce del mattino emette un urlo silenzioso che si
nasconde sotto le pieghe del cuscino e che nessuno può percepire.
Evelyn guardò fuori dalla finestra. Bianca, evanescente, pura. Una
coltre di neve si stendeva all’esterno, abbracciava ogni cosa,
emanando uno strano calore. Doveva aver nevicato tutta la notte.
Erano quasi le nove e mezza. Evelyn sospirò. Per un istante quella
strana quiete le sembrò insidiosa. Poi si mise in attesa. Le piaceva
restare così, sospesa, in un tempo indefinito, rinchiusa tra le pareti
della sua casa prigione, come se aspettasse che qualcosa potesse
cambiare da un momento all’altro. Solo così si sentiva al sicuro,
protetta. Dietro i vetri della sua finestra non poteva accaderle nulla.
Strinse tra le mani la sua tazza di caffè e attese il muoversi di una
foglia ad una folata di vento o un fiocco di neve solitario volteggiare
nell’aria gelida. Il destino esiste. Accadrà qualcosa, anche se
restiamo fermi. C’è sempre qualcosa in serbo per noi. Ogni volta
che si perdeva in quei pensieri, fino a smarrirsi completamente, in
realtà, provava rabbia nei confronti di sé stessa e delle ossessioni
che la perseguitavano. “Non accadrà un bel niente fino a quando
non ti deciderai ad affrontare le tue paure. Anzi. Andrà sempre
peggio, sprofonderai sempre di più nelle tue voragini…”. Se lo
ripeteva ogni giorno, fino allo sfinimento. C’era una lotta continua tra
la rassegnazione stagnante nella quale era piombata la sua vita e la
flebile speranza che un giorno, seppur lontano, sarebbe uscita da
quella casa, tornando ad essere finalmente una donna libera.
Ormai erano dieci anni che non usciva. Quella maledetta agorafobia
era iniziata quando aveva all’incirca trent’anni. Dopo la morte della
piccola Elly a Moonlife qualcosa era cambiato. Nessuno era più lo
stesso. Un’aria densa di terrore e di mistero si era propagata nella
cittadina come un veleno silenzioso. Quell’evento traumatico aveva
continuato a girare per dieci, lunghissimi anni nelle menti di Evelyn e
Lyle come un tormento.
Chiusa nella sua solitudine era ormai molto tempo che Evelyn
riceveva la spesa a domicilio da Lyle Thompson, l’unico al quale
affidava tutte le commissioni che le erano necessarie. Ogni giorno il
suo amico Lyle restava sulla veranda in attesa che lei, attraverso la
porta, gli spiegasse tutto quello che bisognava fare. Alle volte gli
scriveva una lista per non dimenticare nulla. Dopo la morte della
piccola Elly, di cui Lyle si riteneva l’unico responsabile, il ragazzo era
diventato ancora più strano, chiuso e silenzioso nei suoi pensieri al
punto da sembrare indifferente a tutto ciò che gli scorreva intorno.
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