In fondo alla palude – Joe R. Lansdale

SINTESI DEL LIBRO:
Credo che c'era anche allora gente coi soldi, ma non eravamo certo noi. Si
era in piena Depressione. E se anche fossimo stati una di quelle famiglie coi
soldi non ci sarebbe stato molto da comprare, a parte maiali, galline, verdura
e roba da mangiare, e dato che i primi tre li allevavamo, ci arrangiavamo col
baratto.
Papà coltivava un campo, e dove stavamo noi non era così male per farci
crescere della roba. Il vento aveva spazzato via tutta la parte nord-occidentale
del Texas, come del resto anche l'Oklahoma, ma in tutto il Texas orientale
abbondava il verde e il suolo era ricco e c'era abbastanza pioggia da far
crescere presto e bene un sacco di roba. Anche durante i periodi secchi il
terreno manteneva abbastanza umidità , e se anche il grano non era buono
come il solito, almeno cresceva. In effetti mentre il resto del Texas era
stremato e ridotto in polvere, la parte est andava soggetta a tremendi
temporali e inondazioni. Sarebbe stato più facile perdere un raccolto per le
piogge che per la siccità .
Papà portava avanti anche un negozio di barbiere, aperto tutti i giorni
tranne domenica e lunedì. Svolgeva anche le funzioni di agente di polizia
locale, ma solo perché nessun altro aveva accettato l'incarico. Per un certo
periodo era stato persino giudice di pace. Ma alla fine decise che per lui era
troppo, così fu rilevato da Jim Jack Formosa. Papà diceva sempre che per
sposare la gente o dichiararla ufficialmente morta non c'era nessuno al mondo
che poteva battere Jim Jack.
Noi abitavamo giù ai grandi boschi vicino al fiume Sabine in una casa di
tre stanze, bianca, che papà aveva costruito prima della nostra nascita.
Avevamo una perdita nel tetto, niente elettricità , una stufa a legna che faceva
fumo, un fienile che stava in piedi per miracolo, un portico piuttosto piccolo
con una zanzariera rappezzata e una baracca in legno preda dei serpenti che
era il gabinetto esterno.
Usavamo lampade a kerosene, acqua pompata dal pozzo e andavamo
sempre fuori a caccia e a pesca per rimpolpare la dispensa. Avevamo più o
meno quattro acri di terra strappati al bosco e altri venticinque di bosco fitto e
pini. Coltivavamo i quattro acri di quella terra sabbiosa con l'aiuto di una
mula chiamata Sally Redback. Avevamo anche un'auto, ma papà la usava più
che altro per svolgere le sue funzioni di agente e per la funzione domenicale.
Per il resto del tempo andavamo a piedi, oppure, specie io e mia sorella,
cavalcavamo Sally Redback.
I nostri boschi e quelle centinaia di acri che circondavano la nostra terra
erano il territorio dei nostri giochi, delle pulci penetranti e delle zecche. A
quei tempi nel Texas orientale i grandi boschi non erano ancora stati buttati
giù dall'industria e non avevamo bisogno di un corpo forestale per insegnarci
che le foreste avevano bisogno di aiuto per sopravvivere. Noi avevamo
sempre pensato che siccome erano sopravvissute per secoli senza il nostro
aiuto, probabilmente sarebbero andate avanti così. Non appartenevano a
nessuno, a quei tempi, anche se quella del legno era una grande industria e
andava crescendo di giorno in giorno.
Ma c'erano ancora alberi poderosi e luoghi dimenticati nei boschi e lungo
gli argini ombreggiati dei fiumi che non erano ancora stati toccati da nessuno,
a parte gli animali.
C'erano cinghiali, scoiattoli, conigli, procioni, opossum, qualche armadillo,
uccelli d'ogni genere e un mucchio di serpenti. A volte potevi vedere
mocassini acquatici nuotare in gruppo lungo il fiume, i foro occhietti cattivi
che sporgevano come nodi in un ciocco. E guai se qualcuno ci cadeva dentro,
e poveraccio quello che credeva di poterli fregare nuotando sott'acqua perché
aveva sentito dire che così non potevano mordere. Quelli non solo possono
farlo, ma lo fanno anche molto volentieri!
C'erano anche un sacco di cervi che popolavano i boschi. Forse meno
numerosi di oggi, poiché adesso la gente li alleva come il mais e poi li falcia
da una comoda postazione con un fucile ad alta precisione in battute di caccia
che durano tre giorni interi di bevute. Cacciano cervi che hanno nutrito a
granoturco e cresciuto come cagnolini da salotto, così da potergli sparare
senza difficoltà , e sono capaci anche di sentirsi come eroi di un safari. Gli
viene a costare di più sparare ai cervi, scarrozzare i loro cadaveri con il
pickup e fare un trofeo con la testa che andare al supermercato e comprare lo
stesso peso in bistecche. Poi ci sono quelli che dopo la mattanza amano
dipingersi la faccia con il sangue del cervo e scattare foto, come se tutto ciò
facesse di loro dei veri guerrieri. Verrebbe da credere che quei figli di puttana
di cervi siano delle bestie feroci e pericolose.
Stavo dicendo in che modo si viveva. E stavo parlando di tutti i nostri
giochi. E in aggiunta c'era anche l'Uomo-Capra. Metà capra e metà uomo, si
aggirava dalle parti di quello che chiamavano Swinging Bridge, il ponte che
balla. Prima del momento di cui vi sto parlando non l'avevo mai visto, ma
qualche volta, di notte, mentre eravamo fuori a caccia di opossum, mi
sembrava di sentirlo ululare e guaire vicino al ponte di cavi che stava
arditamente sospeso sul fiume e dondolava nel vento al chiaro di luna.
Dicevano che rapiva animali e bambini e nonostante non avessi mai saputo
di nessun bambino che fosse stato divorato, alcuni contadini sostenevano che
l'Uomo-Capra gli avesse rubato il bestiame e alcuni bambini che conoscevo
affermavano che i loro cugini erano stati rapiti dall'Uomo-Capra e che non
erano stati mai più rivisti.
Si diceva che non si spingeva mai fino alla strada principale perché i
predicatori battisti ci transitavano regolarmente a piedi o in auto durante i
loro giri, e così facendo la santificavano. La chiamavamo Preachers' Road, la
Strada dei predicatori.
Si diceva anche che l'Uomo-Capra non usciva mai dai boschi e dalle terre
basse che costituivano le paludi del fiume Sabine e che non poteva sopportare
le terre alte. Aveva bisogno di sentire quell'umida e spessa poltiglia sotto i
piedi, che in realtà erano degli zoccoli.
Papà invece sosteneva che non c'era nessun Uomo-Capra e che si trattava
solo di una leggenda proveniente dagli stati del sud. Quello che si sentiva lÃ
fuori erano solo acqua e rumori di animali, ma ve lo posso giurare, quei suoni
da accapponare la pelle facevano davvero pensare a una capra ferita. Cecil
Chambers, che lavorava con papà nel negozio di barbiere, diceva che si
trattava con ogni probabilità di un puma. Poteva capitare di vederne
qualcuno, di tanto in tanto, nel profondo dei boschi, ed erano in grado di
strillare come una donna, diceva.
Io e mia sorella Tom (in realtà si chiamava Tomasina, ma preferivamo
chiamarla Tom perché era più facile da ricordare) perlustravamo quei boschi
dalla mattina alla sera. Era una cosa normale per i bambini, a quei tempi.
Quei boschi erano come una seconda casa per noi.
Avevamo un cane che era metà hound e metà terrier. Come cane da caccia
Toby era un vero figlio di puttana. Ma nell'estate del '33, dalla quercia sulla
quale s'inerpicava per abbaiare a uno scoiattolo che aveva scovato, si staccò
un ramo e gli cadde proprio addosso, colpendolo talmente forte che non
riusciva più a muovere spalle, zampe e coda. Lo portai a casa in braccio. Lui
guaiva, Tom e io eravamo in lacrime.
Papà era nei campi ad arare con Sally Redback e cercava di rimuovere con
l'aratro un pezzo d'albero che era conficcato nel terreno. Ogni tanto urtava la
base con una lama e faceva schizzare una scheggia, ma quello non cedeva.
Interruppe il suo lavoro quando ci vide, si tolse le briglie dalle spalle, le
gettò a terra e lasciò Sally Redback nel campo legata all'aratro. S'incamminò
attraversando il campo e noi gli portammo Toby e lo adagiammo sul soffice
terreno appena rivoltato. Lui cominciò a esaminarlo.
Diversamente dalla maggior parte degli altri contadini, non indossava mai
la tuta. Vestiva sempre pantaloni kaki, camicia e scarpe da lavoro, cappello di
feltro marrone. La sua versione di vestito elegante era una camicia bianca
pulita con una sottile cravatta nera. Questa volta si tolse il cappello sul quale
il sudore aveva lasciato un anello scuro e s'accovacciò appoggiando il
cappello su un ginocchio. Aveva capelli castani e alla luce del sole si poteva
notare qualche capello grigio. Il viso era un po' affilato e gli occhi, d'un verde
ghiaccio nonostante l'espressione dolce, ti passavano da parte a parte.
Papà fece ruotare le zampe del cane e tentò di toccargli la schiena, ma
Toby ringhiò forte.
Dopo un momento, come passando in rassegna tutte le possibilità , disse a
me e a Tom di andare a prendere il fucile per portare il povero Toby nei
boschi e mettere fine alle sue sofferenze.
— Vorrei che non fosse necessario — disse. — Ma è l'unica cosa da fare.
— Sissignore — dissi, ma le parole mi si strascicarono fuori dalla gola a
pezzi come la schiena di Toby.
Al giorno d'oggi tutto ciò può sembrare crudele, ma allora non c'erano
molti veterinari, e anche se avessimo voluto non avevamo i soldi per portarci
un cane.
Un'altra cosa diversa a quei tempi era che imparavi a conoscere cose come
la morte quand'eri ancora molto giovane. Non c'era niente da fare. Si cresceva
ammazzando galline e maiali, cacciando e pescando, perciò te la trovavi
sempre davanti agli occhi, come in questo caso. E penso che noi avevamo più
rispetto verso la vita di quanto molta gente dimostri di averne oggi, e non
potevamo tollerare le sofferenze inutili.
In casi come questo toccava a noi stessi intervenire, non era lecito passare
la responsabilità a qualcun altro. Non era un codice scritto, ma era sottinteso
che, essendo Toby il nostro cane, doveva essere nostra anche la
responsabilità . Ed essendo io il maggiore, toccava a me e non a Tom.
Tom e io piangemmo un bel po', poi prendemmo una carriola e vi
caricammo Toby. Avevo già la mia calibro 22 per gli scoiattoli, ma per quello
che dovevo fare la cambiai con il fucile da caccia calibro 16 a colpo singolo
per evitare ogni errore. I ragazzi a quei tempi crescevano a contatto delle armi
e gli veniva insegnato a rispettarle e a usarle in modo corretto. Le armi erano
parte della vita di tutti i giorni come una zappa, un aratro o il bidone del
burro.
Che la responsabilità fosse nostra o no, io avevo circa dodici anni e Tom
solo nove. Il pensiero di sparare a Toby spargendogli il cervello tutto in giro
non era certo una cosa che non vedevo l'ora di fare. Dissi a Tom che poteva
restare a casa, ma lei rispose che sarebbe venuta con me. Sapeva che avevo
bisogno di qualcuno che mi aiutasse a essere forte. Devo ammettere che non
insistetti per farle cambiare idea.
Tom prese la pala per seppellire Toby e ci avviammo col vecchio Toby che
guaì per un po' nella carriola, ma presto smise. Si limitava a stare steso
mentre lo spingevamo con attenzione lungo il sentiero, con la schiena
leggermente ruotata e la testa alta ad annusare l'aria.
Ben presto cominciò ad annusare con più forza: certamente aveva avvertito
uno scoiattolo. Aveva sempre avuto un modo speciale di voltare lo sguardo
verso di me quando annusava uno scoiattolo, poi puntava la testa nella
direzione dove voleva andare e partiva di corsa abbaiando come un matto con
quel suo vocione. Papà diceva che era il suo modo per farci capire da dove
proveniva l'odore prima che sparisse dalla vista. Be', aveva la testa girata in
quel modo e io sapevo cos'avrei dovuto fare, ma decisi di rimandare
lasciandomi guidare da lui.
Ben presto ci trovammo su uno stretto sentiero ingombrato da aghi di pino.
Toby abbaiava che sembrava impazzito. Alla fine ci trovammo con la carriola
davanti a un albero di noce americano. In cima fra i rami più alti due
scoiattoli belli cicciottelli saltavano tutt'intorno come prendendosi gioco di
noi. Sparai a tutti e due e li gettai nella carriola accanto a Toby e, roba da non
crederci, lui cominciò a segnalare altri scoiattoli e ad abbaiare ancora.
Era dura spingere quella benedetta carriola su quel terreno accidentato, ma
lo facemmo, dimenticando tutto ciò che avremmo dovuto fare per Toby.
Quando la finì di trovare scoiattoli era quasi notte e noi eravamo nel profondo
dei boschi con sei scoiattoli ed eravamo stanchi morti.
Toby era là , sciancato, ma non l'avevo mai visto lavorarsi gli alberi in quel
modo. Era come se Toby sapesse che cosa stava per accadere e stesse
cercando di rimandare le cose rintracciando scoiattoli.
Ci sedemmo sotto un grande eucalipto e lasciammo Toby nella camola con
le nostre prede. Il sole stava cadendo dietro gli alberi come una grossa susina
matura che si sta spiaccicando. Le ombre si alzavano attorno a noi come
omoni scuri e minacciosi. Non avevamo luci da caccia. C'era solo la luna, e
non era ancora molto alta nel cielo.
— Harry — disse Tom. — Cosa dici di Toby?
— Non sembra avere nessun dolore — risposi. — E ha beccato sei
scoiattoli.
— Già . Ma la sua schiena è sempre rotta.
— Così pare.
— Forse possiamo nasconderlo qui e venire tutti i giorni a dargli da
mangiare e da bere di nascosto.
— Non credo che sia una buona idea. Pulci penetranti e zecche se lo
mangerebbero vivo. — Avevo pensato a quello perché sentivo punture su
tutto il corpo e sapevo che la notte avrei dovuto passare un sacco di tempo
con lampada e pinzette a tirarle fuori da tutte le parti, a bagnarmi col
kerosene e a risciacquarmi. Durante l'estate io e Tom andava a finire che lo
facevamo quasi tutte le sere. Le pulci erano così fitte che si radunavano in
cima alle erbacce aspettando la preda in certe pile che piegavano addirittura i
rami. C'era una marea di tafani nel bosco, specie se costeggiavi il fiume, e
inoltre era pieno di zecche affamate. A volte nel tardo pomeriggio le zanzare
s'alzavano in volo in una tale quantità che sembravano una nuvola nera.
Per respingere zecche e pulci ci legavamo alle caviglie degli stracci
imbevuti di kerosene, ma non posso dire che funzionassero granché, a parte
la zona immediatamente attorno agli stracci. Quelle bestie si facevano strada
fra gli abiti e il corpo e prima di notte s'erano annidate belle comode nelle
zone più intime e succhiavano il sangue.
— Sta diventando buio — disse Tom.
— Lo so.
Guardai Toby. Si poteva a malapena distinguere un rigonfiamento, dentro
la carriola avvolta dal buio. Mentre stavo guardando sollevò la testa e la sua
coda batté un paio di volte sul fondo di legno.
— Non credo proprio che potrò farlo — dissi. — Penso che dovremmo
riportarlo giù da papà e fargli vedere com'è migliorato. Avrà anche la schiena
rotta, ma riesce a muovere la testa e anche la coda, e questo significa che non
tutto il corpo è morto. Non siamo costretti a ucciderlo.
— Però papà potrebbe non essere d'accordo.
— Può darsi di no, ma io non posso sparargli senza dargli un'ultima
possibilità . Cazzo, ha preso sei scoiattoli! Lo portiamo indietro e basta.
Ci alzammo per metterci in marcia e fu in quel momento che ce ne
rendemmo conto. Ci eravamo persi. Eravamo così concentrati a cacciare
quegli scoiattoli sotto la guida di Toby che ci eravamo inoltrati troppo in
profondità nel bosco e non sapevamo più dov'eravamo. Non avevamo paura,
naturalmente, o perlomeno non troppo. Battevamo quei boschi in
continuazione, ma era diventato scuro e quel posto lì in particolare non c'era
familiare.
Ci mettemmo in cammino spingendo la carriola, urtando contro le radici, i
solchi del terreno e i rami caduti. Intorno a noi si sentivano i rumori della vita
selvatica e mi tornava in mente quello che aveva detto Cecil sui puma. Pensai
ai maiali selvatici e mi domandai se potevamo incrociarne uno in cerca di
ghiande. Poi mi venne in mente che Cecil aveva anche detto che questo era
un brutto anno per l'idrofobia e che c'erano in giro molti animali infetti, e il
pensiero di tutto ciò mi rendeva nervoso abbastanza da frugarmi in tasca per
contare le pallottole. Me ne erano rimaste tre.
Mentre camminavamo, il movimento nei cespugli intorno a noi aumentava
e dopo un po' compresi che qualunque cosa fosse ci stava seguendo. Quando
noi rallentavamo l'andatura, rallentava anche lui. Se aumentavamo, lui
aumentava. E non come farebbe un animale o un serpente. Questo era più
grande di un serpente. Stava seguendo le nostre tracce come un puma. O un
uomo.
Toby ringhiava mentre procedevamo, la testa alta, i peli sul retro del collo
irti.
Osservai Tom proprio nel momento in cui la luna spuntando dagli alberi
illuminava il suo viso mostrandomi quanto era spaventata. Volevo urlare a
qualunque cosa ci fosse tra i cespugli, ma temevo che potesse essere un
segnale per farci aggredire.
In precedenza avevo aperto il fucile per motivi di sicurezza, lo avevo
lasciato nella carriola e spingevo fucile, Toby, pala e scoiattoli tutti insieme.
In quel momento mi fermai, presi il fucile, controllai che ci fosse dentro la
pallottola, lo chiusi con uno strattone e misi l'indice sul grilletto.
Toby aveva cominciato a fare rumore, passando dai grugniti ai latrati.
Guardai Tom. Lei afferrò saldamente la carriola e cominciò a spingere. Mi
accorsi che faceva fatica sul terreno molle, ma io dovevo tenere ben teso il
fucile, e non potevamo neppure mollare Toby, dopo quello che avevamo
passato.
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