Il sapore della gloria – Yukio Mishima

SINTESI DEL LIBRO:
Dormi bene, caro.
La madre chiuse a chiave dal 'esterno la camera di Noboru.
Chi sa cosa pensava di fare nel caso fosse scoppiato un incendio.
Certo, si riprometteva di riaprirla subito. E se a causa del calore, il
legno si fosse ingrossato e la vernice fosse colata nel a toppa del a
serratura? Scappare dal a finestra? Ma il terreno sottostante era
lastricato e il secondo piano di quel a casa al ampanata era
disperatamente alto.
Era tutta colpa sua, di Noboru.
Era sgattaiolato fuori di notte, istigato dal capo, di cui non aveva
voluto rivelare il nome.
Quel a casa di Yokohama - il cui indirizzo preciso era: Nakaku,
Yamatemachi, Yatozakane
era stata costruita dal padre e poi rimodernata dal e forze
d'occupazione americane che l'avevano requisita: annesso ad ogni
camera del secondo piano aveva uno stanzino da bagno, sí che
essere rinchiuso in una di esse non era poi tanto scomodo.
Ma per un tredicenne, diventava un'umiliazione tremenda.
Fu una mattina, mentre era solo in casa che, indispettito, si era
messo ad esaminare da capo a fondo la stanza.
La parte attigua al a camera del a madre formava un grande
armadio a muro.
Ne spalancò tutti i cassetti e sparse in terra gli indumenti che
contenevano.
Quando ormai s'era sfogato, dal vano vuoto di un cassetto vide
filtrare un filo di luce.
Al ora vi infilò la testa per scoprire l'origine di quel a luce.
Erano i violenti raggi del sole di una giornata d'estate riflessi dal
mare, che riempivano la camera del a madre.
Il corpo raggomitolato di Noboru entrava tutto nel vano del 'armadio
a muro.
Appiattito, vi sarebbe entrato anche quel o di un adulto, almeno fino
al ventre.
Osservata da quel foro, la camera del a madre parve a Noboru un
luogo nuovo e sconosciuto.
A sinistra, due letti d'ottone lucente, di stile New Orleans, che il
padre aveva fatti venire dal 'America: stavano ancora come li aveva
lasciati lui.
Vi era ben distesa una sopraccoperta bianca su cui spiccava una
grande K di ciniglia
l'iniziale di Kuroda, il cognome di Noboru.
E sopra, c'era stato appoggiato un cappel ino da passeggio di paglia
blu guarnito d'un lungo nastro color acqua.
Sul comodino da notte, un ventilatore azzurro.
A destra, vicino al a finestra, un mobiletto a tre specchi ovali che,
socchiusi, lasciavano intravedere un po' di molatura che pareva di
ghiaccio.
E assiepata davanti una schiera di bottiglie: acqua di colonia,
spruzza-profumo, una boccetta di astringente al a lavanda e un
portacipria di vetro sfaccettato di Boemia... e guanti marroni di
merletto appal ottolati come un mazzetto di foglie secche di cedro.
Oltre al mobiletto del a toilette, un divano addossato al a finestra,
una lampada a stelo, due sedie e un elegante tavolinetto.
Sopra il divano, un telaietto con un ricamo non ancora finito.
Gerta roba non era piú di moda, ma al a madre quei lavori femminili
piacevano.
Il disegno non si distingueva bene: su un fondo color grigio-argento,
cominciava a delinearsi un uccel o sgargiante e chiassoso simile ad
un pappagal o, le cui ali erano ancora a metà.
Vicino, era stato gettato un paio di calze.
Quel nailon color carne, arruffato, sul divano di finto damasco
bastava a dare al a camera un'aria disordinata.
Con ogni probabilità, la madre doveva essersi accorta d'una
smagliatura proprio al momento d'uscire e se l'era dovute cambiare
in fretta.
Fuori del a finestra, solo un cielo abbagliante e alcune nuvole che
per i riflessi del mare apparivano d'una compatta lucentezza di
smalto.
Dal suo posto d'osservazione, a Noboru non sembrava affatto la
solita camera del a madre.
Gli parve di spiare in una stanza da cui fosse per poco uscita una
donna che neppure conosceva.
Ma era certamente la camera d'una donna.
Esalava da ogni angolo una inequivocabile femminilità.
Vi aleggiava una tenue traccia di profumo.
Improvvisamente, Noboru ebbe una strana idea.
Quel foro da cui spiava, era lí davvero per caso? Oppure - dopo la
guerra - quando ad abitare in quel a casa erano state
contemporaneamente diverse famiglie del e forze d'occupazione
americane...
Nel vano polveroso in cui se ne stava raggomitolato, Noboru ebbe
ad un tratto l'impressione che vi fosse già stato un peloso essere
biondo, certo costretto, per spiare, a rimpicciolirsi ben piú di lui.
Subito quel 'aria gli divenne insopportabile e provò un certo disgusto.
Indietreggiando carponi, s'affrettò a rientrare nel a camera attigua.
Noboru, poi, non riuscí piú a dimenticare la strana sensazione
provata quel giorno.
La camera in cui si precipitò e che gli era sembrata un po' misteriosa
attraverso il foro, tornò ad apparirgli la solita, banale camera da letto
del a madre.
Era quel a in cui al a sera, sospendendo il lavoro di ricamo, la
mamma gli dava spiegazioni sui compiti di scuola tra uno sbadiglio e
l'altro; quel a in cui essa brontolava, in cui lo sgridava con frasi
come: Mai che la tua cravatta sia dritta!; Non sei piú un bambino,
non è il caso di venire tanto spesso nel a camera di tua madre con la
scusa di guardare le navi!.
Era la camera dove - infine la madre se ne stava a lungo intenta ad
esaminare il registro degli incassi di bottega o i moduli del e tasse. ..
Noboru cercò il foro dal a camera del a madre.
Non riuscí a trovarlo facilmente.
In effetti, stava ben nascosto nel e pieghe del fregio a sbalzo che
correva tutt'intorno al a camera, al di sopra del 'alto zoccolo di legno
che correva lungo le pareti.
Tornò di corsa nel a propria stanza e ripiegò in gran fretta nel
'armadio gli indumenti lasciati in terra: mentre richiudeva i cassetti,
giurò in cuor suo di non far nul a che richiamasse l'attenzione degli
adulti su quel mobile.
Dopo quel a scoperta, soprattutto quando veniva rimproverato con
asprezza dal a madre o rinchiuso in camera, Noboru toglieva nel
massimo silenzio i cassetti dal mobile e non si stancava di guardare
la figura del a madre che si preparava per la notte.
Se ne asteneva quando la madre era gentile.
Noboru scoprí in tal modo che, sebbene non facesse tanto caldo, la
madre aveva l'abitudine di denudarsi completamente prima di
andare a letto.
La specchiera stava in un angolo poco visibile del a camera, e se la
madre, nuda, vi si avvicinava troppo, doveva faticare non poco per
scorgerla.
Il suo corpo - aveva solo trentatré anni - era snel o e delicato ma,
grazie al tennis che praticava ogni settimana, ancora armonico.
Aveva l'abitudine di coricarsi dopo essersi spruzzata di colonia, ma
talvolta si sedeva di traverso davanti al a toilette, volgendo al o
specchio occhi, che, sembravano febbricitanti e smarriti, e lasciando
immobili tra le cosce le dita cosparse del profumo, che giungeva
fortissimo fino al e narici di Noboru.
Al ora egli si sentiva raggelare, confondendo per sangue lo smalto
fresco sul e unghie del a madre.
Era la prima volta che Noboru vedeva cosí particolareggiatamente il
corpo di una donna.
Le spal e scendevano a destra e a sinistra in una morbida rotondità,
simile al a linea di un litorale; la nuca e le braccia erano leggermente
abbronzate, ma dal seno cominciava quel biancore caldo che
sembrava il uminato da una luce interna - la proprietà riservata e
intoccabile.
La dolce protuberanza di quei seni d'un tratto si faceva altezzosa e,
a stringerli con le mani, i due capezzoli color vino divergevano.
Vide il ventre che respirava sommesso, e le smagliature purperali.
Noboru l'aveva studiato sul a rossa enciclopedia medica che stava
nel o studio del padre, su uno scaffale dove le sue mani non
potevano arrivare, con il bordo del e pagine volto al 'esterno, infilato
tra La coltivazione dei fiori del e quattro stagioni e Il prontuario
amministrativo.
Poi Noboru scorse quel a nera zona segreta.
Ma non riuscí a vederla bene, e in seguito a tanti inutili sforzi, gli
occhi cominciarono a fargli male...
Pensò a tutte le parole audaci che conosceva, ma nessuna riuscí ad
aprirsi la strada in quel a piccola selva.
Secondo quanto dicevano i compagni, era una povera casa sfitta.
Che relazione aveva con il proprio mondo vuoto? A tredici anni,
Noboru era persuaso (e come lui i suoi compagni) d'essere un
genio; che il mondo era formato da semplici simboli; che dal a
nascita, gli uomini non fanno che innaffiare le radici rigogliose del a
morte; che la procreazione è una falsità e che di conseguenza lo è
pure la società; che genitori e maestri sono gravemente colpevoli per
il solo fatto d'esser tali, e cosí via.
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