Il sezionatore – Marc Raabe

SINTESI DEL LIBRO:
Berlino – 1° settembre, 23:04
Nella cantina priva di finestre, la fotografia sta sospesa come una
promessa malvagia. Fuori lo scrosciare della pioggia. Il vecchio tetto
della villa scricchiola sotto la valanga d’acqua. Sulla facciata
dell’edificio, proprio sopra la porta d’ingresso, una luce roteante color
rosso scuro illumina la villa a intervalli ravvicinati.
La lampadina tascabile guizza nel corridoio oscuro che conduce
alla cantina, simile a una lama di luce, andando a sfiorare il vestito
nero brillante appeso a una gruccia come una bambola squarciata.
Da lontano la fotografia, fissata al vestito con uno spillo, sembra un
frammento di tappezzeria. È sbiadita e il colore della stampante è
stato assorbito dalla carta, per questo i colori sono opachi e spenti.
Il vestito e la foto ondeggiano ancora, la gruccia è stata appesa
da pochissimo e l’effetto è quello delle campane a vento. Vivaci e
allo stesso tempo morte.
Nella foto c’è una giovane donna, molto snella, dalla bellezza
straziante. Ha un fisico slanciato e giovanile, il seno piccolo e poco
pronunciato, e il suo viso è immobile e inespressivo.
I capelli, molto lunghi e molto biondi, sembrano un lenzuolo giallo
spiegazzato e ammucchiato sotto la sua testa. Il vestito che ha
indosso è lo stesso al quale ora la fotografia è appesa con uno
spillo. Le si adatta come se fosse stato cucito apposta per lei, è
come lei: fluttuante, stravagante, inutile e costoso. Ed è aperto sul
davanti da un taglio che lo attraversa tutto, come se ci fosse una
cerniera lampo tirata giù.
Anche la pelle sotto il vestito è lacerata da un taglio profondo che
va dalle ginocchia al pube e poi su fino al seno. I lembi di pelle e
carne che ricoprono lo stomaco sono spalancati, il rosso vivo delle
interiora è coperto e nascosto dall’oscurità misericordiosa. Il corpo è
avvolto allo stesso modo dal vestito e dalla morte. Una simbologia
perfetta, nella quale rientra anche il luogo in cui il vestito nero è
appeso, in attesa di essere trovato da lui: al 107 di Kadettenweg.
Il fascio di luce della pila tascabile si sposta di nuovo sui massicci
cassoni accostati alla parete e sulla serratura aperta. La chiave era
entrata, ma si era lasciata girare solo con grande difficoltà, come se
avesse dovuto prima ricordare quale fosse il suo compito. All’interno
scintilla una fila irregolare di lampadine rosse, tre sono rotte. I
filamenti di tungsteno si sono corrosi nel corso degli anni. Ma non
importa, la lampadina riluce comunque.
Adesso il fascio di luce della pila torna rapidamente alla scala
della cantina e ne ripercorre i gradini verso l’alto. Il cono di luce
illumina delle impronte di piedi, ed è bene che siano lì. Quando lui
arriverà, quelle impronte lo guideranno giù per la scala fino al vestito
nero. E alla fotografia.
Di colpo ricorderà tutto. Gli si rizzeranno i capelli sulla nuca e dirà
a se stesso: è impossibile.
E poi: ma è così. Di questo sarà certo. Fosse anche solo per la
cantina, anche se non era proprio questa cantina. E nemmeno
questa donna. Naturalmente sarà un’altra donna. La sua donna.
E proprio nel giorno del suo compleanno. Che dettaglio grazioso!
Ma il particolare migliore è la perfetta chiusura del cerchio. Tutto
è cominciato in una cantina, ed è in una cantina che tutto finirà.
Le cantine sono l’atrio dell’inferno. E chi dovrebbe saperlo meglio
di qualcuno che brucia all’inferno da un’eternità.
Capitolo 2
Berlino – 1° settembre, 23:11
L’allarme è attivo già da nove minuti. Chiunque altro, andando
verso la macchina, avrebbe afferrato la propria arma, anche solo per
poco, soltanto per accertarsi che fosse lì dove doveva essere, pronta
per ogni evenienza: nella fondina appesa al fianco.
Ma Gabriel non lo fa; non porta armi addosso. Da quando ne ha
memoria, le pistole gli hanno sempre provocato un profondo disagio.
A prescindere dal fatto che nessuna autorità tedesca gli rilascerebbe
mai un porto d’armi.
L’acqua gli scivola giù nel colletto mentre raggiunge l’auto.
Gabriel disattiva la chiusura automatica con il telecomando e le luci
arancioni lampeggiano nell’oscurità. Si lancia sul sedile e sbatte la
portiera dietro di sé. La guarnizione di gomma dello sportello è
umida e degli schizzi d’acqua lo colpiscono in viso. La pioggia viene
giù come se il cielo dovesse spegnere un vasto incendio. Gabriel
guarda nello specchietto retrovisore e i suoi occhi appaiono come
sovrapposti al parabrezza.
Sa che dovrebbe accendere subito il motore, ma qualcosa dentro
di lui glielo impedisce; un formicolio d’avvertimento gli scorre sotto la
pelle come corrente elettrica. C’è qualcosa che non va. E non solo
oggi. Non solo adesso.
Una voce bisbiglia con insistenza nella sua testa: Fregatene,
Luke. Cosa stai aspettando? Non dirmi che è per lei?
Le avevo promesso che sarei arrivato poco dopo mezzanotte,
ripensa Gabriel.
Non l’hai promesso. È lei che ha capito così. Non è un tuo
problema se reagisce in maniera così capricciosa.
Merda, mormora lui.
Merda? E perché? Non vedi cosa ti sta facendo? Basta dare un
po’ di ragione a qualcuno e subito si diventa un debole. Come se tu
non sapessi quanto questo sia pericoloso! Preoccupati dell’allarme,
piuttosto.
Gabriel stringe i denti. Maledetto allarme. Lavorava per la Python
da vent’anni e senza dubbio dedicava la maggior parte del suo
tempo ai sistemi d’allarme o alla protezione personale dei clienti.
Fino a qualche mese prima aveva persino abitato nei terreni recintati
di proprietà dell’impresa di sicurezza, in due camere arredate in
modo spartano, vicino al cancello che dava sulla strada. Yuri, il suo
capo, lo aveva preso sotto la sua ala e gli aveva dato il suo
sostegno. Di mattina allenamento di tecniche di combattimento, il
liceo serale a partire dalle 18:00, e la Python in ogni restante minuto
libero. Il problema erano i weekend. Se aveva poco da fare, i ricordi
gli si abbattevano addosso. Finché non aveva scoperto nel garage di
Yuri l’auto incidentata, una vecchia Mercedes
.
Yuri gli aveva
affidato la cabrio danneggiata e Gabriel, che non aveva mai avuto a
che fare con le auto prima di allora, si era messo a ripararla, come
se in quel modo potesse restaurare anche la propria anima.
Quando aveva finito la Mercedes, Yuri gli aveva procurato una
Jaguar -Type e poi altri modelli classici degli anni Settanta, così da
non far restare mai vuoto il garage.
Yuri gli aveva sempre chiesto soltanto di fare il suo lavoro. E per
farlo Gabriel non aveva bisogno di incentivi, perché se c’è per lui
qualcosa di simile a una casa, quello è proprio il lavoro.
Gabriel fissa immobile lo specchietto retrovisore. La pioggia
scroscia sul cofano, illuminata dalle luci del cortile. I suoi occhi
luccicano privi di colore nell’oscurità e le piccole pieghe contorte tra
le sue sopracciglia assomigliano a tombe scavate in profondità.
Gira la chiave di accensione. Il rumore d’avvio del motore si
perde nello scrosciare della pioggia sul tetto dell’auto. Aziona il
tergicristallo, poi dà gas, e la Volkswagen Golf color antracite, con la
scritta in giallo Python Security, sfreccia attraverso il cortile,
oltrepassando gli altri veicoli del parco macchine, ed esce dal
cancello aperto sulla strada, dove il grigio scuro dell’auto si confonde
con il grigio scuro della notte di pioggia.
Il 107 di Kadettenweg.
Fino a pochi minuti prima non sapeva che quell’indirizzo fosse
coperto dalla Python. L’allarme era letteralmente venuto fuori dal
nulla. Bert Cogan, con i suoi occhi perennemente arrossati, si era
ritrovato a fissare il monitor della centrale come se vi si fosse
improvvisamente materializzata una casa fantasma. Cogan lavorava
per la Python da più di nove anni e i monitor erano il suo personale
universo parallelo; conosceva ogni pixel e ogni edificio seguito dalla
Python nel quartiere delle ville a Lichterfelde. «Guarda un po’
questo», aveva mormorato quasi con costernazione.
«Cosa?», aveva chiesto Gabriel.
«Questo qui!», aveva brontolato Cogan. Con il suo indice pallido
e screpolato aveva indicato sullo schermo un puntino rosso
lampeggiante. «Questo che edificio è? Me lo sai dire?».
Gabriel aveva fatto spallucce. «Non ne ho idea. E se non lo sai
tu, io non posso di certo saperlo».
«Pensavo solo…». Cogan si era messo a giocherellare con la
barba ispida che gli ricopriva il mento sfuggente.
«Cosa pensavi?»
«Be’», aveva bisbigliato, «visto che tu sei qui da circa mezzo
millennio…».
«Una cosa è che io lavori con Yuri da sempre», Gabriel aveva
indicato il monitor, «questa invece è tutta un’altra questione. L’avevi
mai vista prima d’ora nel registro?».
La risposta di Cogan era stata un grugnito. «Deve essermi
sfuggita. Conosco a memoria il registro di Lichterfelde e lì non c’è
niente. Proprio niente».
Con la fronte aggrottata, Gabriel aveva guardato meglio il puntino
rosso con il numero 107 che lampeggiava silenzioso, proprio
accanto alla sottile linea bianca con la scritta “Kadettenweg”.
Uno strano irrigidimento che partiva dalla nuca gli aveva
attraversato tutta la spina dorsale.
Che succede Luke?, aveva bisbigliato la voce nella sua testa. È
solo un puntino rosso come tanti altri. L’hai già visto accadere
migliaia di volte. Non fare tante storie!
«Bene. Bene», aveva mormorato tra sé senza accorgersene.
«Che hai detto?», gli aveva chiesto Cogan.
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