Il Nirvana Può Attendere – Emiliano Di Meo

SINTESI DEL LIBRO:
Avrei dovuto fare il medico anch’io, come metà della mia
famiglia. Avrei dovuto fare il medico e ammetto di averci pensato, poi
mi sono reso conto che, nonostante si tratti di una passione che
accomuna tutti i miei familiari, a me interessa fare altro, pur
rimanendo nello stesso ambito professionale, se vogliamo.
Sono un tecnico manutentore di apparecchi elettromedicali.
Quando affermo di condividere lo stesso ambito professionale
del resto della famiglia, mio fratello scuote la testa e, dall’alto della
sua laurea in chirurgia, storce il naso e mi ricorda che non è
propriamente così. Sapete come sono i professionisti, no? Tutti
concentrati a rivendicare il proprio bagaglio culturale, ma io non lo
dico per farlo innervosire o sminuire il suo percorso di studi. Lo dico
perché credo sia vero.
Sono figlio di un chirurgo tedesco e di una bella odontoiatra
svizzera. Mia madre è bella ancora oggi e, nonostante sia una
donna piena di qualità invidiabili, questa è la prima a venirmi in
mente quando parlo di lei. È colta, incredibilmente sensibile,
poliglotta, eppure, quando mi ritrovo a descriverla, la prima cosa che
mi viene da dire rimane che è incredibilmente bella. Lei lo sa e finge
di risentirsene, ma qualcosa, nel modo in cui si sforza di rimanere
seria, mi fa capire che non è davvero così.
Mio padre, invece, è un uomo dotato di un’intelligenza acuta e
credo sia una delle persone più curiose che io conosca. È, senza
ombra di dubbio, un uomo molto affascinante. Legge di tutto, ama la
natura e ci ha inculcato la passione per lo sport. Questo ha fatto di
mio fratello un provetto nuotatore e di me un tennista giunto a livelli
agonistici per un discreto periodo.
Siamo cresciuti in una casa enorme, piena di libri e animali, e
con un pianoforte in mezzo alla sala che mio fratello sapeva suonare
benissimo già all’età di 10 anni. Siamo sempre stati pieni di amici. I
miei amano organizzare cene a casa loro, l’hanno sempre fatto. Non
hanno mai avuto preconcetti nei confronti di nessuno e noi siamo
cresciuti a contatto con persone di ogni tipo. Sono talmente rilassati
nei confronti delle variabili della vita da sembrare quasi superficiali a
volte e, invece, io ho sempre pensato che siano dotati di una
saggezza innata. Non si fermano mai a giudicare l’apparenza, ma
amano arrivare al fulcro delle cose, captare l’essenza delle persone,
al di là di come esse scelgano di apparire.
Mio padre è sempre stato convinto che mio fratello fosse gay.
Fin da quando era adolescente, non ha fatto altro che attendere che
lui glielo rivelasse. D’altronde mio fratello è sempre stato un po’
ambiguo in alcune sue manifestazioni. Ama molto curare il proprio
aspetto, è costantemente a dieta, perché non sia mai che sfiguri in
costume da bagno, suona il pianoforte in maniera magistrale, non
ama gli sport di squadra né i lavori manuali. Non dice mai qualcosa
fuori posto, anzi, è uno che presta particolare attenzione al modo in
cui si esprime e a come si siede a tavola. Cura molto le proprie
mani, quasi quanto fa con i capelli. Involontariamente è riuscito a
inanellare una serie di luoghi comuni che avevano indotto in inganno
anche un uomo di larghe vedute come mio padre.
Mio fratello non solo non è gay, ma li ha resi nonni molto
prima di quello che si sarebbero mai aspettati.
Quando, già venticinquenne, mi sono deciso e ho detto a tutti
che, se c’era un omosessuale in casa, quello ero io, prima è sceso il
silenzio, poi sono scoppiati tutti a ridere. Ho aspettato che finissero,
dopodiché ho ribadito loro il concetto e hanno compreso che non
stavo scherzando.
Mio padre, a distanza di un anno, mi guarda ancora con
sospetto e mi fa notare che nulla nel mio modo di essere gli avrebbe
mai fatto supporre una cosa del genere. Non lo fa per rifiuto verso
ciò che sono, ma per uno stupore autentico. Sembra affascinato da
qualsiasi cosa riesca a stupirlo. Ancora oggi credo che pensi si tratti
solo di una fase dalla quale verrò fuori, un giorno o l’altro, ma io so
per certo che non è così.
Ne ho avuto la conferma la prima volta che ho fatto sesso con
la persona giusta, ma questa è una cosa che non ho mai raccontato
a nessuno di loro, per diversi motivi.
Ho ventisei anni e mi piacciono gli uomini. La cosa strana, se
così vogliamo definirla, è che mi piacciono gli uomini molto in là con
gli anni, almeno rispetto alla mia età.
Mi chiamo Patrick, sono gay, probabilmente gerontofilo, parlo
quattro lingue, e mi guadagno da vivere facendo il tecnico
manutentore di apparecchi elettromedicali.
Voi capite che quando ho scoperto l’esistenza di una casa di
riposo per soli uomini, fondata e gestita dalla comunità LGBT di
Ginevra, e che questa cercava proprio un tecnico con le mie
capacità, non potevo starmene con le mani in mano ed è cominciata
così una nuova fase della mia vita.
Forse la migliore.
2
A 18 anni iniziai a frequentare la scena gay svizzera e
tedesca.
Non mi sono mai piaciuti i locali estremi, come quelli in cui si
può addirittura fare sesso chiudendosi in un camerino, così mi sono
sempre limitato a discoteche e discobar. Ambienti, in prevalenza,
frequentati da giovanissimi.
Il fisico asciutto, la leggera abbronzatura di chi, soprattutto in
estate, è avvezzo agli sport all’aria aperta, gli occhi grigi e i capelli
biondo scuri portati, almeno all’epoca, sempre molto corti, quasi
rasati, rappresentavano un buon biglietto da visita e le frequentazioni
non mancavano. Entravo in un locale con la camicia aperta sul petto
per mettere in mostra i peli biondi e ricci, come i capelli che mi
ostinavo a rasare, e mi sentivo gli occhi addosso, poi mi bastava
scegliere. Il più delle volte, a quei tempi, era davvero così. Sceglievo
io.
In quegli anni, mi è capitato di fare sesso con diversi ragazzi.
Alcuni erano davvero molto belli, eppure io non perdevo mai
veramente il controllo. Sì, mi eccitavo. Sì, avevo voglia di farlo, ma la
temperatura, almeno per quanto mi riguardava, non arrivava mai a
farsi davvero bollente.
Loro erano molto presi da me, ma, al contempo, molto
concentrati nel contemplare la propria bellezza, e decisamente
curiosi di scoprire cosa nascondevo nelle mutande. Diciamo che
volevano scartare il pacco sorpresa il prima possibile. Io li lasciavo
liberi di godersi il loro regalo e, quantomeno all’inizio, non badavo
troppo al se fossero maschili o effeminati, longilinei o sportivi. Stavo
cercando anch’io di capire chi di loro potesse piacermi davvero.
Cercavo il mio tipo ideale e il sesso era un buon campo d’azione.
Andava molto bene, almeno così mi sembrava, ma, dopo
l’esperienza che ebbi appena ventitreenne, tutto quello che era
successo prima di allora mi sembrò semplice ginnastica. Il sesso con
tutti quei ragazzi non fu altro che l’allenamento per le olimpiadi che
avrei disputato nella camera da letto dell’ultima persona alla quale
mi sarebbe mai capitato di pensare.
Era già qualche anno che mi facevo ragazzi del mio stesso
sesso, ma a casa non avevo ancora detto nulla. A bloccarmi non era
il timore che non avrebbero compreso, ma la difficoltà nello spiegare
davvero chi fossi. Perché non avevo mai perso la testa per nessuno
dei ragazzi che mi era capitato di frequentare? Eppure tanti erano
davvero molto simpatici e altri addirittura più che attraenti. Non
riuscivo io stesso a capire cosa mancasse a tutti loro, ma lo feci in
seguito, quando incontrai colui che sembrava avere tutto quello che
a loro mancava.
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