Il peso – Liz Moore

SINTESI DEL LIBRO:
La prima cosa che devi sapere di me è che sono
enormemente grasso. Quando ci siamo conosciuti ero per
cosà dire rotondo ma ora non piú. Mangio quello che voglio
e tutte le volte che voglio. Per anni non ho praticamente
mai cercato di ridurre la quantità di cibo che consumo
perché non ne vedevo il motivo. Nonostante questo non
sono né immobilizzato né costretto a letto ma quando faccio
piú di sei o sette gradini mi manca il fiato e in effetti mi
sento molto timido e come imprigionato dentro una
custodia, come un violoncello o un fucile costoso.
Non ho modo di sapere esattamente quanto peso ma
credo di essere tra i duecentoventi e i duecentosettanta
chili. Sono passati anni dall'ultima volta che sono stato in
uno studio medico e allora ne pesavo duecentoquindici e
hanno dovuto mettermi su una bilancia speciale. Il dottore
mi ha guardato negli occhi e mi ha detto che ero
sicuramente destinato a una morte prematura.
Seconda cosa. Nelle lettere che ti ho scritto in questi
vent'anni ho peccato di omissione. Poco dopo che ci siamo
visti l'ultima volta una serie di circostanze mi hanno
impedito di continuare la carriera accademica. Su questo
argomento e su molti altri sono stato reticente. I miei
accenni a ex amici e colleghi sono solo ricordi. Non faccio il
professore da diciotto anni.
Ultima cosa e la piú importante: non esco piú di casa.
Fortunatamente è una casa molto bella e in buona parte
ne sono orgoglioso. Non l'ho comprata; mi è stata donata. È
larga circa otto metri. È parecchio per questo isolato. Una
volta era molto graziosa, dentro e fuori, e arredata bene.
Quand'ero molto piccolo, però. Ma ora temo di averla
lasciata diventare squallida e fatiscente. Della sua antica
bellezza restano solo alcune tracce: il pianoforte (lo
suonavo quand'ero piccolo); le librerie intorno al caminetto;
i mobili, che una volta si potevano definire di alta gamma,
ma che ormai stanno lentamente affondando nel pavimento
perché da quarant'anni sopportano il mio peso. Ai piani
superiori ci sono delle belle cose, credo, ma non le vedo da
una decina d'anni. Non c'è ragione che salga lassú. E se
anche ci provassi non ci riuscirei. La mia camera da letto e
tutto quello di cui ho bisogno sono al piano terra, nel mio
piccolo mondo, e fuori dalla finestra c'è l'unico panorama
che mi serve. Le condizioni della casa sono una delle cose
per cui provo piú vergogna, perché l'ho sempre amata, e a
volte quando sono di umore piú sentimentale ho
l'impressione che anche lei mi ami.
Visto che non esco piú, sono diventato molto bravo a
ordinare su internet tutto ciò che voglio. A volte la mia casa
sembra un centro spedizioni; ogni giorno, e anche due volte
al giorno, qualcuno mi porta qualcosa. Il corriere della
FedEx, il corriere dell'UPS. Come vedi, non sono proprio un
recluso visto che devo firmare le ricevute. E quello che esce
da casa mia è contenuto nei sacchi della spazzatura che
lancio sul marciapiede dal primo gradino, a notte fonda,
quando fuori è buio.
Adesso ci sono siti per tutto. Uno ti spedisce a domicilio
libri, giornali e riviste. Un altro ti fa arrivare dalla farmacia
tutto ciò di cui puoi avere bisogno. Ce n'è perfino uno dove
puoi fare la spesa on line, che poi ti viene consegnata a
domicilio. In un certo senso è un'idea d'altri tempi, ma
anche una magnifica innovazione. Una volta la settimana
scelgo le mie provviste sul sito. Hanno tutto, tutto quello
che ti può venire in mente. Cibi pronti e singoli ingredienti.
Dolci e cereali per la colazione e vino e carta igienica.
Formaggio e affettati e gelato e torte e
bagel
e Pop'ems, i
dolcetti lievitati prodotti dalla Entenmann e decorati a
seconda della stagione. Adesso è ottobre e i miei Pop'ems
sono neri e arancione.
Il martedà sera c'è uno che mi porta la spesa. Quando mi
sono iscritto al sito ho scelto l'opzione
dopo le diciassette
:
mi piace pensare che il fattorino creda che lavoro tutto il
giorno e che sono appena tornato a casa. In queste cose
sono davvero sciocco! Al telefono con il servizio clienti mi
lascio sfuggire riferimenti alla famiglia o al lavoro. Come
sta oggi, signor Opp? mi chiede l'impiegata della Bank of
America, e io con un sospiro rispondo, Infognato. È una
battuta. E poi mi piace tantissimo aprire la porta al corriere
con la cravatta allentata e un'aria esausta, distratta e
preoccupata. Lasci qui vicino alla porta, dico sempre, e poi
lo precedo in cucina, pronunciando frasette banali sul
tempo o sullo sport. E quando ho controllato tutte le
scatole, gli do la mancia con i contanti che tengo nascosti
in un cassetto del comodino, dentro un libro cavo. Mi hanno
regalato quel libro quand'ero piccolo (ci tenevo tantissimo,
un libro cavo!) e da allora si è rivelato molto utile. Tutto il
cibo che ordino lo pago con la carta di credito al telefono.
Le mance sono l'unica cosa per cui ho bisogno di contanti,
quindi per molto tempo ho attinto da una grossa riserva di
banconote che mi ero procurato anni fa in banca. Non so
cosa farò quando finiranno. Non ho mai pensato che
sarebbe successo.
L'ultimissima volta che sono uscito di casa è stato nel
settembre del 2001, quando davanti alle notizie della TV mi
sono sentito cosà solo che ho aperto la porta, ho sceso la
scala e mi sono seduto sull'ultimo gradino, la testa tra le
mani, per un'ora. Avrei voluto avere qualcuno con cui
parlare. Mi sembrava che il mondo stesse per finire. Mi
sono tornati in mente uno dopo l'altro alcuni bruttissimi
ricordi. Ho sentito l'urlo di una donna, o cosà mi è
sembrato, ma poi ho scoperto che erano i pavoni del
giardino di una chiesa vicino alla mia palazzina. Mi sono
alzato a fatica e sono arrivato fino in fondo all'isolato e poi
f
ino a quello dopo e a quello dopo e a quello dopo ancora.
Finalmente ho raggiunto l'angolo tra la Nona Strada e
l'Ottava Avenue, e là c'erano due gruppi di donne
visibilmente sconvolte riunite in capannelli fitti fitti. Una
donna giovane stringeva tra le braccia un bambino di due
anni dall'aria confusa e piangeva mentre un'amica la
consolava affettuosamente. Quando sono passato hanno
smesso di parlare e mi hanno guardato. Alle loro spalle in
fondo alla Nona Strada riuscivo a vedere il fiume e
l'orizzonte, e se socchiudevo gli occhi e mi giravo verso
destra scorgevo del fumo nero che si alzava verso il cielo,
anche se da cosà lontano
downtown
non si vedeva. Andavo
spesso a Manhattan e ovviamente era a Manhattan che
insegnavo e anche se non mi piaceva insegnare ho pensato
ai miei studenti e ai miei ex colleghi e ho pregato che
stessero bene e fossero al sicuro. Ho pensato a te e mi ha
fatto piacere che il tuo sogno di vivere a Manhattan non si
fosse realizzato. Sono stato travolto dal dolore e dalla
nostalgia, dalla pietà per me e per gli altri, sentimenti che,
nel mio caso, spesso coincidono. Sono rimasto là fino a
quando i piedi non hanno piú potuto sopportare la mia mole
e poi sono rientrato a passi pesanti, fermandomi sette volte
per riprendere fiato. Le donne se n'erano andate e le strade
erano vuote. In fondo alla scala di casa ho alzato lo sguardo
verso il primo di quei dodici gradini e ho giurato che non
sarei uscito mai piú, perché non avevo nessuno da
chiamare, e quel giorno non mi aveva chiamato nessuno, ed
è stato per questo che ho capito di non avere piú bisogno di
uscire.
Da allora sono diventato un recluso. Fin da ragazzo sono
stato naturalmente portato alla solitudine, ma per molti
anni ho avuto una famiglia e altre persone che mi hanno
impedito di chiudermi troppo. Per un po' ho avuto te e
persone come te. Ma ormai non sono piú in contatto con
amici o parenti. Volevo molto bene a mia madre ma è morta
giovane. Per parecchi motivi che ti racconterò se la cosa ti
interessa, non parlo piú con gli altri componenti della mia
famiglia. Tuttavia, loro hanno fatto in modo che io sia
f
inanziariamente autonomo per il resto della vita e che non
abbia bisogno di lavorare. Anche questo ha contribuito a
farmi diventare sempre piú grasso e mi ha permesso di
rimanere dentro questa casa che è un bozzolo.
Ora trascorro le giornate piú o meno allo stesso modo. La
mattina prelevo di nascosto il giornale dal primo gradino.
Ho pagato il fattorino per essere sicuro che lo metta
sempre nello stesso punto. Leggo tutti gli articoli. Leggo
tutti i giorni i necrologi, tutti quanti. Cucino o mi preparo
delle gran mangiate. Mi sveglio e organizzo i pasti della
giornata e quando ho in casa qualcosa di particolarmente
buono sono felice. Vago di stanza in stanza, come un
fantasma, un fantasma enorme dalla faccia rossa, e a volte
mi fermo e guardo un quadro appeso al muro, e poi, in un
angolo o in una stanza in particolare, mi torna in mente un
ricordo del passato, e mi fermo finché non se n'è andato,
f
inché non resto nuovamente solo. A volte ti scrivo. A volte
davanti a un mobile mi sento costretto a fermarmi e a
chiedermi da dove venga. È una sensazione di scollamento:
non lo so e non ho nessuno a cui chiederlo. Però in genere
la mia casa mi è cosà familiare che non mi succede spesso.
La sera di quello che la stampa ormai chiama il 9/11, ti
ho scritto una lettera per chiederti come stavi e nel giro di
una settimana tu mi hai risposto. Dicevi che tu e la tua
famiglia stavate bene. Forse non te ne sei resa conto ma sei
stata la mia à ncora in questo mondo. Tu e le tue lettere e la
tua pura e semplice esistenza mi hanno dato piú
consolazione di quanto riesca a spiegarti.
Queste sono le cose che devi sapere di me e queste sono
le mie scuse per tutti gli anni in cui ti ho mentito di
proposito o ti ho nascosto delle cose. Ogni tanto il lento
peggioramento della mia salute e l'aggravarsi della mia
solitudine mi hanno reso difficile trovare materiale adatto
per imbastire una corrispondenza ma la realtà è che non
riuscivo a sopportare il pensiero che la nostra potesse
finire.
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