Il Marchio dell’Anima – Tania Paxia

SINTESI DEL LIBRO:
Da qui la via che porta alle tartaree acque dell’Acheronte. Questo
gorgo ribolle in un abisso immenso, sporco di melma, e tutta nel
Cocito erutta questa sua miserabile fanghiglia.
Traghettatore orribile e custode di questo fiume, minaccioso e lercio,
è Caronte: dal mento gli discende una candida barba incolta e lunga,
sembrano gli occhi due carboni accesi, porta un mantello sudicio,
annodato sopra le spalle. »
(Eneide VI 295-301)
Questo è il mio verso preferito dell’Eneide. Perché? Perché parla di
me. O meglio: parla di quelli come me. I Traghettatori di Anime.
La descrizione fisica non mi rappresenta affatto, tranne che per il
particolare degli occhi di fiamma, ma coglie alla perfezione ciò che
sono. Charon, per l’appunto. Charon Tanxvilus Graham, una ragazza
come tante, con il fardello di essere nata con una particolare dote:
l’evanescenza. Tutta la famiglia da parte di mia madre, ha questa
capacità; e, come tutti i traghettatori di anime, abbiamo la facoltà di
dissolverci nel nulla.
Mio padre, Patrick James Graham, in arte Pat J. Graham, invece, è,
come dire, “normale”. Per quanto possa essere normale uno
scrittore di libri fantasy. Voglio dire, niente contro di loro, ma sono
sempre nel mondo dei sogni. E poi si ostina a farmi domande su
domande a proposito di quello che faccio. Come se già non ne
conoscesse tutti i dettagli, grazie ai racconti di mia madre, Margaret.
“Sono le avventure che vivi che mi interessano. Tu racconta”. Mi
diceva sempre, fissandomi con quegli occhi scuri da cerbiatto
indifeso, mentre prendeva appunti sul suo taccuino logoro e
ricolmo di annotazioni.
Però, il giorno in cui mia mia madre scomparve, qualcosa, in lui,
cambiò.
Per cominciare, decise di intraprendere una nuova vita trasferendosi
a Newport, nel Rhode Island, abbandonando la sua carriera di
scrittore di libri fantasy. Alcuni suoi contatti gli avevano procurato un
lavoro come giornalista presso un quotidiano locale, in modo da
sfruttare appieno la sua laurea in giornalismo.
Sperai fino all’ultimo che cambiasse idea, ma nulla sembrava poterlo
fermare. “Niente da fare. Ci trasferiamo”. Al solo sentir pronunciare
le due parole “Ci trasferiamo” mi erano venuti i brividi. Vivevamo, a
Ridgewood, nell’estremità occidentale di Long Island, in uno dei
quartieri storici del Queens, insieme alla mia nonna materna,
Magdalen Hudson, meglio conosciuta come Maude. Quando venne
a sapere del trasferimento a momenti le era venuto un infarto.
“Cosa?” aveva gridato contro mio padre. “Ma sei diventato matto?”
aveva continuato a inveire contro di lui. “Lo so cosa stai cercando di
fare, ma portandola via di qui non cambierà proprio niente. Le anime
continueranno a cercarla”.
Pensai che con quelle parole lo avesse convinto a lasciarmi
continuare a vivere con lei a Ridgewood, per permettermi di
frequentare l’ultimo anno del liceo alla Grover Cleveland High
School, ma era rimasto fermo nella sua convinzione: era certo che
un cambio di “ambiente”, fuori dalla portata della mia cerchia ristretta
di amici, traghettatori di anime anche loro, mi avrebbe fatto bene. E
poi, secondo il suo subdolo modo di pensare, mi avrebbe senz’altro
aiutato a dimenticare ciò che era successo. Come fosse la cosa più
semplice del mondo, reprimere quel ricordo. Non sapevo bene cosa
fosse avvenuto, ma mia madre era scomparsa durante uno dei suoi
consueti viaggi nell’oltretomba per traghettare un’anima. E da quel
momento non era più tornata. Si pensava fosse caduta nell’oblio o
che, nella peggiore delle ipotesi, si fosse avventurata oltre i Campi
Elisi, fuori dai confini conosciuti dell’Averno. E nessuna persona
vivente poteva addentrarsi in quelle terre per poi poterlo raccontare.
Fu terribile, soprattutto per mio padre. Non si era reso conto di cosa
significasse con esattezza. “Madge ritornerà, vero? Non è morta…”
aveva chiesto a Maude con gli occhi sgranati, velati dalle lacrime.
Maude, però, non aveva risposto. Aveva continuato a fissarlo con lo
sguardo vuoto senza la più pallida idea di cosa inventarsi per farlo
stare tranquillo. In effetti, una vera e propria risposta, non ce l’aveva
neanche lei. Non si era mai verificato un fatto del genere.
Ma io non mi sarei mai arresa fino a quando non l’avessi trovata.
Perché lei era viva. VIVA. Doveva esserlo.
Per quanto riguarda noi traghettatori, o Caronti, siamo divisi in vari
tipi di cerchie, ruoli e gerarchie.
Fin dalla mia infanzia, Maude e mia madre, mi avevano spiegato la
composizione del Mondo Sotterraneo e mi avevano descritto
l’aspetto delle creature immortali nei minimi particolari. Poi, quando
iniziai il mio percorso di Caronte, a undici anni, mi fu impartito
l’insegnamento dell’Ordine Gerarchico dei Caronti. In ordine
semplificativo, imparai che esistevano sette diversi gradi gerarchici,
quante erano le Terre conosciute che componevano il Sottosuolo: ai
Charun Senior, erano assegnate le anime destinate ai Campi Elisi e
al Prato degli Asfodeli, i due luoghi più lontani e meno punitivi. I
Charun Chunchules traghettavano le anime nelle cosiddette Isole
Fortunate, che però non erano affatto fortunate; venivano chiamate
così perché poco distanti dalle lande riservate all’Inferno vero e
proprio e chi vi approdava era risparmiato dalle più gravi torture. I
Charun Xaxe erano adibiti ai territori del Tartaro, fortificazione nella
quale venivano imprigionate le anime che commettevano gravi
misfatti. Ai Charun Huths erano affidati i Campi del Pianto, luogo nel
quale erano liberi di vagare le anime dei soldati con cuore impuro
morti in battaglia, che avessero ricevuto una giusta sepoltura, e i
morti suicidi. I Charun Achrum conducevano gli spiriti nell’Inferno; ai
Charun Caru era assegnato l’Antinferno, una sorta di lingua di terra
che divideva i territori del Tartaro da quelli dei Campi Elisi. I Charun
Lufe si occupavano, invece, delle anime imprigionate sulla Terra o
isolate fuori dall’Antinferno, all’interno della Selva di Palinuro: le
cosiddette anime insepolte. Poi, per ogni rango esistevano due
Vanths, una specie di apprendisti, che assistevano il Charun a loro
assegnato, fino a quando fossero stati in grado di diventare a loro
volta un Caronte di ruolo.
Naturalmente, esistono anche i traghettatori del Mondo Superiore.
Per quanto riguarda loro, scoprii che il sistema di suddivisione dei
ruoli adottato era molto simile al nostro, con qualche modifica: erano
suddivisi in Charun Senior, Aisna, Losna, Munchucha, Falatu e Lasa
e ad ognuno di loro era affidato un Antha. Anche per quanto
riguardava il Mondo Superiore, ad ogni specifico settore era
assegnato un grado, ma a noi del Sottosuolo era proibito conoscere
le Lande delle quali era composto, come a loro era proibito sapere
come erano organizzati gli Inferi.
Questo, almeno, è ciò che mi è stato insegnato fin da bambina. È ciò
che ho vissuto in prima persona durante la mia adolescenza.
Ma le cose, per me, cambiarono. Radicalmente.
Tutto ebbe inizio con la scomparsa di Madge. E, dopo il mio
trasferimento a Newport, la situazione non migliorò affatto. Si
susseguirono delle concatenazioni di eventi che portarono alla luce
questioni delle quali non avrei mai dovuto interessarmi, e soprattutto
alle quali non avrei MAI immaginato di poter far ricorso.
Ma lasciate che vi racconti.
1
Partimmo il primo giorno di settembre, una domenica pomeriggio,
poiché il martedì papà avrebbe incominciato il suo nuovo lavoro e io
sarei dovuta andare a scuola.
Il viaggio sarebbe stato più semplice e veloce, se Pat mi avesse dato
l’opportunità di traslocare alla mia maniera: utilizzando i miei poteri
evanescenti. Ma no. Si era puntato con la storia della nuova vita
normale e mi aveva imposto categoricamente il viaggio in auto, con
tutti i bagagli e le nostre cose stipate nel suo enorme SUV Mercedes
grigio scuro.
Prima di partire, Maude, mi aveva preso in disparte per ripetermi
ancora una volta: “Lui non saprà che ci vedremo tutti i giorni,
giusto?” poi, dopo avermi fatto l’occhiolino, era scomparsa nel nulla,
dissolvendosi nell’aria come un fantasma. “Giusto” avevo risposto io,
quasi per convincermi, quando ormai mia nonna non si trovava più in
camera mia. Pochi istanti più tardi, Pat aveva bussato alla porta:
“Andiamo o faremo tardi”. Era giunto il momento.
Per fortuna, quel giorno, nessuna anima bisognosa aveva richiesto il
mio aiuto, così il viaggio non si era trasformato nella solita caccia ai
fantasmi. A volte trascorrevano settimane, prima che io fossi attirata
dalla loro presenza nel sottosuolo; come poteva accadere che in un
giorno traghettassi più di un’anima.
Non c’erano regole ben precise in fatto di anime: poteva però
succedere che le anime separate dal corpo non si fossero del tutto
divise dalla vita che conducevano e avessero delle faccende in
sospeso o fossero intrappolate sulla Terra in seguito alla punizione
da scontare (come in una sorta di Purgatorio) prima di essere
indirizzate in uno specifico aldilà; oppure poteva accadere che
riuscissero a scappare e a nascondersi così bene da non attirare
l’attenzione dei traghettatori. Come mio nonno Tanxvilus, il marito di
Maude. Morì prima che io nascessi, ma delle voci dicevano che la
sua anima vagasse ancora, da qualche parte a Ridgewood. Io non
avevo avuto ancora il piacere di incontrare il suo spirito, ma Maude
era convinta di averlo intravisto in cucina mentre cercava di aprire il
frigorifero. Oppure, ancora, poteva capitare che i corpi dei defunti,
destinati al Mondo Sotterraneo, non fossero stati sepolti e le anime
corrispondenti, fossero costrette a vagare senza meta fuori
dall’Antinferno, fino a quando qualcuno sulla Terra non avesse
provveduto a dar loro una degna sepoltura.
“Ti piacerà, vedrai”. La voce calda e tranquilla di Pat mi riportò
alla realtà. Si era voltato per osservare la mia espressione,
senza però perdere di vista la strada. I suoi capelli scuri, mossi
e dal taglio giovanile e ribelle erano scompigliati dal vento che
proveniva dal piccolo spicchio di finestrino che aveva aperto per
far circolare l’aria condizionata che avevo acceso (sapevo
perfettamente che a lui l’aria condizionata dava fastidio, quindi
lo avevo fatto di proposito, per vendicarmi).
Stavamo percorrendo il Claiborne Pell Newport Bridge. E così
eravamo arrivati a Newport, dopo quasi quattro ore e mezzo di
viaggio.
Da lì la vista era spettacolare al tramonto, ma non bastò a farmi
rallegrare. Intravidi, in lontananza, il luccichio delle luci dei fari nelle
vicinanze del porto e non potei fare a meno di pensare che quello
che fino a quel momento era stato il peggiore anno della mia vita,
stava decisamente degenerando. Non c’erano limiti al peggio.
L’inverno lì sarebbe stato una vera e propria desolazione. Se papà
aveva intenzione di farmi dimenticare la mamma, non aveva scelto il
luogo adatto. La solitudine non avrebbe fatto altro che peggiorare la
situazione.
“Dai, non è così male!” esclamò dopo aver notato nella mia
espressione una nota di astio e disappunto. “Sono certo che
troverai qualcuno con cui fare amicizia”. Poi aggiunse
“Qualcuno normale”.
Alzai gli occhi al cielo e gli risposi seccata. “Non contarci troppo. Lo
sai che non faccio amicizia con gli altri” continuai. “Ti ricordo che
risulto essere un po’ strana”.
“Non dire sciocchezze. Sei” tamburellò le dita, martoriate dalle
pellicine e dalle unghie mangiucchiate a sangue, sul volante e
arricciò le labbra carnose e ben delineate, così simili alle mie, in
cerca di un aggettivo con il quale descrivermi “particolare, non
strana. E poi questo è un nuovo inizio. Un inizio normale per
due persone normali, giusto?” mi lanciò uno sguardo pieno di
aspettativa.
Accennai un sorriso, ma non gli risposi.
Non sono normale e non lo sarò mai. Pensai.
Avrei evitato qualsiasi contatto con gli altri, a meno che non fosse
stato strettamente necessario. E per strettamente necessario
intendevo un formale, superficiale e affrettato scambio di saluto,
come ero abituata a fare nella mia vecchia scuola.
Ma alla Grover Cleveland nessuno faceva caso al mio
comportamento e poi avevo il mio gruppo di amici speciali: Clare,
Elijah, Jenna, Orpheus e Tarquin. Mi sarebbero mancati, anche se
non è che andassi d’accordo proprio con tutti quanti. Avevamo quasi
tutti età diverse, ma erano gli unici con cui potessi essere me stessa.
Gli unici con i quali potessi parlare della mia vita, perché erano come
me, dei Charun del sottosuolo, tranne Tarquin che era un Falatu, un
traghettatore del Mondo Superiore.
Tarquin, Orpheus e Jenna si erano diplomati prima dell’estate e non
sarebbero stati a scuola, ma Elijah e Clare, ai quali tenevo in modo
particolare, erano all’ultimo anno come me. Poi c’erano i miei due
Vanths, Greg e Lizzy, che erano due anni più piccoli. Per loro ero
una sorta di modello, una persona da imitare. Un Maestro.
Li avrei comunque rivisti fuori dall’ambito scolastico, grazie ai poteri
evanescenti, ma a Newport non avevo nessuno con cui parlare.
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