Il mambo degli orsi – Joe R. Lansdale

SINTESI DEL LIBRO:
Quando arrivai da Leonard, la sera della vigilia di Natale, sullo
stereo di casa sua c'erano i Kentucky Headhunters a tutto volume
che cantavano The Ballad of Davy Crockett, e Leonard, come per
una sorta di celebrazione natalizia, stava appiccando il fuoco ancora
una volta alla casa accanto.
Mi auguravo che avesse smesso di farlo. La prima volta l'avevo
aiutato, la seconda volta l'aveva fatto per conto suo, e ora eccomi
presente alla terza, in macchina. Il tutto avrebbe avuto un'aria
dannatamente sospetta, quando fossero arrivati gli sbirri. Qualcuno
aveva già telefonato. Molto probabilmente erano stati gli stronzi da
dentro la casa. Lo sapevo perché potevo sentire le sirene in
lontananza.
Il
ragazzo di Leonard, Raul, era sulla veranda, con le mani
conficcate nelle tasche dell'impermeabile, a osservare l'incendio e il
pestaggio che avvenivano poco distante; era agitatissimo, come un
predicatore metodista in visita che si è appena reso conto che il
capofamiglia si è pappato l'ultima coscia di pollo fritto.
Infilai il furgoncino nel vialetto di Leonard, scesi, mi avvicinai e mi
fermai sulla veranda insieme a Raul. Faceva freddo, e il respiro ci si
condensava davanti alla bocca in sbuffi di vapore biancastro. —
Come è cominciata? — domandai.
— Oh, merda, Hap, non ne ho idea. Devi fermarlo prima che
portino lui e il suo culo nero in gattabuia.
— Per questo è già troppo tardi, l'hanno beccato. 'Ste sirene che
senti non stanno mica arrivando per quelli che passano col rosso.
— Merda, merda, merda, — disse Raul. — Non avrei mai dovuto
mettermi a convivere con un frocio macho. Avrei dovuto restarmene
a Houston.
Solitamente, Raul era un tipo di bell'aspetto, ma lì fuori nella notte,
con i riflessi arancione dell'incendio della casa accanto che gli
barbagliavano sulla faccia, sembrava quasi prosciugato, disseccato,
come la vittima di un ragno gigantesco. Ciondolava avanti e indietro,
senza rendersene conto, come un birillo che non è stato buttato giù
del tutto dalla palla del bowling, osservando Leonard che trascinava
fuori dalla casa in fiamme un nero grosso come un armadio e lo
strapazzava sulla veranda. La camicia e i pantaloni del tipo erano in
fiamme, e Leonard lo stava pigliando a calci, prima sulla veranda,
poi in giardino.
Riconobbi subito il tipo. Lo chiamavano il Mohicano per via del suo
taglio di capelli, anche se, dopo quella sera, avrebbero potuto
benissimo iniziare a chiamarlo Affumicato. Una volta, il Mohicano e
un suo amico erano saltati addosso a me e a Leonard e si erano
presi una bella ripassata. Me la risognavo ancora di tanto in tanto, la
notte, quando avevo bisogno di qualcosa che mi tirasse un po' su il
morale.
C'era altra gente che usciva dalla casa, passando dalle finestre e
dalla porta sul retro, caracollando freneticamente verso il bosco che
si stendeva oltre. Nessuno di loro sembrava seriamente in fiamme,
ma alcuni erano stati sfiorati dal fuoco. Una donna bassa e tozza
trottava davanti a tutti. Indossava soltanto un accappatoio marrone e
un paio di flosce ciabatte da casa e teneva una parrucca nella mano
destra. Le sue gambe corte baluginavano al buio mentre correva,
l'accappatoio si gonfiava e il respiro le usciva e le rientrava in gola in
sbuffi rapidi e bianchi. La parrucca bruciava leggermente.
Scomparve di corsa nel bosco con il suo fumante copricapo di
capelli finti e il suo accappatoio floscio, e gli altri le andarono dietro,
confondendosi insieme a lei tra lo scuro dei tronchi, lasciandosi alle
spalle una scia di fumo che serbava un vago odore di vestiti
bruciacchiati. Un istante più tardi erano svaniti, rapidi come una
covata di quaglie che vola al nido.
Il
camion dei pompieri arrivò con uno strillo di sirena e andò
dannatamente vicino a mettere sotto il Mohicano mentre Leonard,
dopo averlo steso con un'abile mossa del bacino, lo stava sbattendo
di qua e di là sull'asfalto. Il tizio rotolò su se stesso e colpì il
marciapiede dalla parte opposta della strada; l'autopompa sterzò e
salì sul prato della casa in fiamme, e Leonard dovette balzare per
non finirci sotto.
Una cosa positiva, però, era che tutto quel rotolare aveva spento
le fiamme sul corpo del Mohicano. Sapete come funziona, quel
vecchio consiglio che ti danno sempre i pompieri: «Fermati, lasciati
cadere e rotola»... e questo era proprio ciò che il Mohicano stava
facendo. Grazie a Leonard.
A vederla in positivo, si poteva anche dire che Leonard non stava
facendo altro che salvare la vita inutile del Mohicano.
Alquanto ovviamente, ora, Leonard era tornato dentro la casa e,
d'un tratto, un nero basso e con i capelli in fiamme ne uscì appeso
all'estremità del piede del mio amico e, quando sbatté sul giardino
antistante, si alzò di scatto e cominciò a scappare verso casa di
Leonard, con lui che gli gridava dietro: — Corri, piccolo negro fottuto.
Vi dirò, Leonard in piedi sulla veranda, con il fumo che gli ribolliva
alle spalle, il fuoco che lingueggiava dalle finestre, il tetto sormontato
da un cappuccio di fiamme... il tutto faceva sembrare la faccia di
Leonard come fosse scolpita nell'ossidiana. Era simile a una
versione silvestre e terrificante del Diavolo — un negro con un
pessimo carattere e il potere di comandare il fuoco. Adesso che ci
penso, in effetti, i neri che stavano in quella casa probabilmente lo
vedevano in modo altrettanto demoniaco. Leonard può essere
irritante praticamente per chiunque, quando vuole.
Lasciai Raul sulla veranda press'a poco nel momento in cui il
tappetto uscì di casa attaccato al piede di Leonard, raggiunsi il prato
su cui il mio amico stava praticando con tanto successo le arti della
piromania e della rissa, allungai la gamba e feci lo sgambetto al
piccoletto che stava passando di lì.
Lui si alzò e io lo ributtai giù con un manrovescio, gli misi il piede
sulla nuca, mi abbassai, raccolsi un po' di terriccio dal vialetto e
glielo buttai in cima al cranio.
La terra spense il fuoco, fatta eccezione per la chiazza di capelli
che gli rosseggiava sulla nuca come una scintilla nel caminetto. Il
resto del suo cranio stava fumando come un cavolo secco con
dentro della brace. Il suo corpo emanava un bel po' di calore, e il tipo
si contorceva come se lo stessero cuocendo vivo. Stava emettendo
una specie di suono fastidioso, tanto acuto da farmi arrampicare le
chiappe su per la schiena.
— Sto bruciando, — diceva. — Sto bruciando.
— E tutto a posto, — risposi. — Non rimangono molti capelli.
A quel punto, arrivarono gli sbirri. Un paio di volanti e il sergente
Charlie Blank nella sua auto senza contrassegni. Charlie (con
indosso il meglio che si può trovare al K-mart, incluse un paio di
luccicanti, genuine scarpe di plastica che brillavano alla luce
dell'incendio) uscì dalla macchina lentamente, come se avesse
paura che gli si strappassero i pantaloni.
Si fermò abbastanza a lungo per osservare uno degli sbirri in
uniforme afferrare il Mohicano, ammanettarlo e ficcarlo sul sedile
posteriore della volante dopo avergli «accidentalmente» fatto
picchiare la testa contro la portiera mentre lo «aiutava» a entrare.
Charlie mi si avvicinò, mi rivolse un'occhiata triste, sospirò, prese
una sigaretta, si chinò, la accese sulla testa ancora rosseggiante del
tipo e disse: — Sono fottutamente stanco di tutto questo, Hap.
Leonard mi sta facendo venire i capelli grigi prima del tempo. Con il
Grande Capo in combutta con i cattivi e il tenente Hanson che si
comporta come se avesse un peso perennemente attaccato
all'uccello, non riesco a ragionare come si deve. Togli il piede dalla
nuca di quello stronzo.
Lo feci, e il tappetto, che non l'aveva ancora piantata di
piagnucolare, si sollevò sulle ginocchia e, con uno strillo, si diede
una manata sulla nuca. Il fuoco si era già spento, arrendendosi alla
sigaretta di Charlie, ma credo che la scena della manata lo facesse
sentire meglio.
Charlie lo guardò e disse: — Sta' giù, bello, e non ti muovere.
Il tipo si rimise giù. Ora la sua testa fumava molto meno.
— Sai che devo portare dentro Leonard, vero? — mi disse Charlie.
— Lo so. Credevo che non fumassi.
— Ho iniziato. Inizio a fumare due o tre volte all'anno. Mi piace
smettere, così non me la godo fino in fondo, quando ricomincio.
Devo portare dentro anche te.
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