Il dono oscuro – John M. Hull

SINTESI DEL LIBRO:
Da quanto tempo bisogna essere ciechi prima che i sogni
comincino a perdere i colori? Si continua per sempre a
sognare per immagini?
Sono ufficialmente cieco da quasi tre anni. Negli ultimi
mesi ho smesso del tutto di percepire la luce. Ora non vedo
davvero più niente. Non distinguo il giorno dalla notte.
Posso guardare fisso il sole senza avvertire il minimo
bagliore.
In sogno però vedo ancora delle figure. Non solo: i sogni
sono diventati un grande piacere per la colorata libertà che
mi regalano. Significa dunque che la cecità ha avuto un
impatto sui miei sogni?
Sei mesi fa ho sognato che la vista migliorava. Riuscivo a
vedere Thomas, mio figlio. Era lì, seduto su un mio
ginocchio, un bambino di due anni e mezzo allegro e
vivace, con l’aria da birbante.
La mia ultima operazione agli occhi risale al 1° agosto
dell’estate scorsa. Thomas è nato il 22 agosto. Quando non
riesco a ricordarmi da quanto sono cieco, penso alla sua
età .
Essere presente alla sua nascita è stata un’esperienza
meravigliosa e insieme terrificante. Hanno acceso il
microfono dell’apparecchio che monitorava il battito del
cuore. Si sentiva benissimo da dov’ero, seduto accanto al
letto. Io e Marilyn eravamo sposati da poco meno di un
anno. Il battito del bambino era incredibilmente rapido,
arrivava
a
piccole
ondate,
che
acceleravano in
corrispondenza delle contrazioni. Perlopiù non capivo cosa
stava succedendo. Marilyn gridava. Il letto sembrava
circondato da una folla di ostetriche e dottori. Poi alcuni
attimi di silenzio, infine il pianto di un neonato.
Per circa un anno e mezzo ho conservato una qualche
percezione visiva di Thomas. A meno di un metro sapevo
dire dov’era e di che colore erano i suoi vestiti. Distinguevo
grossomodo i lineamenti, riuscivo a capire se stava
sbadigliando o muovendo le manine. Ma ogni dettaglio era
perduto: le impercettibili espressioni intorno agli occhi, le
sfumature emotive di quelle prime fasi. Durante l’estate del
1981, su una spiaggia del Galles, gli legavo un pezzo di
corda alla caviglia per ritrovarlo in caso gattonasse fin dove
non potevo vederlo. Quando ha imparato a camminare,
giocavamo sui gradini della biblioteca, all’università . Lì
potevo risparmiargli il guinzaglio, perché anche quando
spariva sentivo il rumore delle scarpe sul lastricato di
pietra in quei tranquilli sabati mattina d’inverno, quando il
campus era quasi deserto. A volte lo rincorrevo in preda al
panico, terrorizzato all’idea che cadesse o finisse in
qualche punto pericoloso prima che potessi prenderlo. Man
mano che lui diventava più autonomo e la mia vista
peggiorava, queste uscite si sono fatte sempre più difficili.
3 giugno
Una settimana fa ho sognato che tornavo in treno in una
cittadina della Normandia. Avevo appuntamento con
Marilyn in un ristorante dove eravamo stati durante un
viaggio fatto l’anno prima di sposarci. Uscivo dalla stazione
e mentre studiavo la mia posizione sulla mappa mi rendevo
conto di aver lasciato il mio bastone bianco sul treno. Non
mi preoccupava tanto il pensiero di come sarei riuscito a
muovermi, ma il fatto di aver perso qualcosa che mi
apparteneva. Poi mi sono ritrovato con in mano un lungo
tubo di metallo, di quelli che sostengono i fili del bucato. Lo
usavo per sondare il terreno, e notavo che la gente nei
pressi della stazione mi guardava incuriosita.
È la prima volta che sono cieco anche in sogno, e la
faccenda presenta diverse contraddizioni. Sarebbe
impossibile infatti per una persona cieca dimenticarsi il
bastone da cui dipende. Volevo essere indipendente, e la
libertà di movimento che mi avrebbe permesso di arrivare
all’appuntamento con Marilyn al ristorante, ma la cecità me
lo avrebbe impedito. Per questo avevo il bastone bianco:
eppure non ce l’avevo più. Non potevo muovermi senza
qualcosa che lo sostituisse, ma al tempo stesso vedevo le
reazioni delle persone intorno a me. Avevo perso quello di
cui avrei avuto bisogno per incontrare Marilyn. La perdita
del bastone non significava solo la mia incapacità di
trovarla, ma anche la perdita di qualcosa di più profondo: la
mia virilità , e la capacità di amarla.
Ho iniziato a usare un bastone bianco e corto all’inizio del
1980, soprattutto per segnalare la mia presenza mentre
attraversavo la strada. Quando la vista è peggiorata ho
comprato un bastone più lungo, e poi un altro più lungo
ancora. Infine, ho comprato quello da un metro e mezzo, la
lunghezza massima, con l’impugnatura ricurva. Non ho mai
voluto trovare il tempo di fare un corso per migliorare la
mobilità , ma a volte mi chiedevo se non stessi contraendo
cattive abitudini, che avrei potuto facilmente evitare con
qualche lezione.
Nel complesso ho imparato che qualsiasi cattiva abitudine
causi inconvenienti o inefficienza nel movimento si può
correggere in modo spontaneo, se ci si sforza di muoversi
più liberamente. In altre parole, è la cecità stessa a imporre
la sua legge ferrea a chi usa il bastone bianco. Pali della
luce, cordoli e scale sono gli insegnanti migliori.
5 giugno
A volte se saluto qualcuno dicendo «Che bella giornata!»
ricevo in risposta silenzio o sorpresa. L’idea di bella
giornata è associata principalmente alla vista. È una bella
giornata se il cielo è azzurro e terso, se il sole splende e c’è
un gradevole tepore, ma anche una limpida giornata
d’inverno può essere definita «una bella giornata, sebbene
un po’ pungente». Se il cielo è coperto, invece, una persona
vedente non la definirebbe mai una bella giornata,
f
iguriamoci bellissima.
Per me il vento ha preso il posto del sole: è una bella
giornata se tira una brezza leggera, che accende i suoni
intorno a me. Si sente il fruscio delle foglie, le cartacce si
sollevano dal marciapiede, i muri e gli angoli degli edifici
più grandi si stagliano contro il vento, che sento nei capelli,
sul viso, nei vestiti. Una giornata calda può essere bella,
certo, ma i tuoni la rendono molto più entusiasmante,
perché danno improvvisamente un senso dello spazio e
della distanza. Un tuono mi mette un tetto sopra la testa,
un soffitto a volta, altissimo, fatto del suo rombo. Sento di
trovarmi in un luogo ampio, dove prima non c’era niente.
Chi vede ha sempre un tetto sopra la testa, nella forma di
un cielo azzurro, nuvoloso o stellato. Lo stesso vale per una
persona cieca con il suono del vento tra gli alberi. Il vento
gli alberi li crea: dove prima non c’era niente, ci si ritrova
circondati.
L’incomprensione tra me e i vedenti nasce quando la
giornata è tiepida, magari anche calda, con una brezza
leggera, ma il cielo coperto. Per loro, questa non potrebbe
mai essere una bella giornata, perché il cielo non è azzurro.
Devo sforzarmi di rendere i miei commenti sul tempo più
precisi, e ricordarmi di specificare che oggi è una giornata
bella e tiepida, o che la brezza è molto piacevole.
8 giugno
La notte scorsa ho fatto un sogno bellissimo, rigenerante:
camminavo nella valle di un fiume, c’erano delle belle case,
e delle villette a schiera costruite lungo le due rive. Era una
vacanza a piedi. Facevo degli esperimenti: spostavo lo
sguardo di qua e di là , per capire se il mio campo visivo era
abbastanza ampio da includere tutta la valle e il paesaggio.
Anche se non era perfetto, riuscivo a farmi un’idea del
posto abbastanza attendibile da muovermi liberamente e
godermi il panorama. Mi dicevo: «Ecco, puoi vedere! Con
una buona luce e in queste condizioni te la cavi ancora
piuttosto bene».
Nel 1976 e nel ’77 riuscivo ancora a vedere abbastanza
da fare lunghe passeggiate solitarie nella campagna del
Worcestershire e dello Shropshire. La camminata sulla
Severn Valley era una delle mie preferite. Ci andavo in
autobus o in treno. Salire sull’autobus era un problema.
Potevo andare alla stazione degli autobus in centro e
trovare il marciapiede di quello che volevo, oppure
aspettare alla fermata vicino a casa mia e fermare ogni
autobus che passava, chiedendo all’autista se andava nella
mia direzione. Cercavo di decifrare il numero degli autobus
usando un piccolo telescopio, ma spesso l’autobus arrivava
prima che potessi identificarlo. Riuscivo ancora a leggere le
mappe usando una lente d’ingrandimento. Mi piaceva
camminare lungo il fiume, perché era praticamente
impossibile perdersi, anche se bisognava stare molto
attenti al terreno. Mi ripetevo spesso: «Se la situazione non
peggiora, posso ancora farcela».
Ho avuto quel pensiero per almeno dieci anni. Potevo
ancora farcela, a patto che la situazione non peggiorasse.
Anche dopo essere stato dichiarato cieco, riuscivo a trovare
la strada di casa dall’ufficio seguendo la doppia linea gialla
dei parcheggi lungo il bordo delle strade dell’università .
In ogni caso sarei stato bene, se le cose fossero rimaste
così. Quando la situazione è peggiorata, riuscivo comunque
a tornare a casa di notte seguendo i lampioni uno per uno.
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