I morti di maggio – Nele Neuhaus

SINTESI DEL LIBRO:
Appoggiò la schiena al tronco scorticato del grande salice piangente,
i cui rami sfioravano l’acqua del lago, e assaporò il piacere così raro
della solitudine. Quello era il suo angolo preferito. Lì i suoi pensieri
vagavano liberi e indisturbati. Dietro la cortina verde delle foglie si
sentiva prote o e al sicuro, perché sapeva che nessuno l’avrebbe
seguito fin là. I più piccoli non si allontanavano mai troppo dalla
casa per paura delle punizioni, che erano garantite se ti beccavano in
giro. I più grandi erano troppo pigri per camminare così tanto,
specie in un giorno caldo come quello. Preferivano ciondolare lì
intorno, fumare di nascosto, ascoltare musica, strapazzare i piccoli e
punzecchiarsi tra loro finché qualcuno, in genere una delle
ragazzine, non piangeva. Li odiava. Tu i. Ma sopra u o odiava LUI.
Quando non tornava per tempo, LUI lo castigava. A volte, se era di
buonumore, si limitava a dargli un fracco di legnate. Ma se LUI era di
ca ivo umore, la punizione era anche peggio. Molto peggio. Aveva
la bocca secca e si costrinse a pensare ad altro. Meglio concentrarsi
sulla mamma, la sua bella mamma che era così lontana. Lei sapeva
di buono. E quando lo abbracciava, quando lo chiamava «mio
piccolo principe» e lo portava allo zoo o in qualche elegante caffè di
Francoforte, lui era felice. Un tempo aveva creduto alle sue
promesse, a quello che gli diceva quando andava a trovarlo. Che
presto, molto presto, sarebbe tornata a prenderlo e avrebbero vissuto
insieme come una vera famiglia. Ogni volta che le cose si me evano
davvero male, provava a immaginare come sarebbe stato vivere con
la mamma. Non aveva mai capito perché dovesse stare lì, ma il
pensiero che fosse solo per un po’ e che un giorno lei l’avrebbe
portato via lo consolava, gli faceva sopportare tu o. Gli era capitato
di temere che la mamma lo avesse dimenticato, ma poi lei appariva
di nuovo e tu o andava bene. Almeno per un paio d’ore. Quando
era più piccolo, a ogni addio piangeva e si aggrappava ai suoi vestiti
perché non voleva che partisse senza di lui. Ma adesso non lo faceva
più, in fondo aveva già tredici anni e, a una certa età, non piangi più
come un moccioso.
In segreto sperava ancora che, prima o poi, lei avrebbe mantenuto
la sua promessa. Almeno lui una mamma l’aveva. Gli altri no. Se solo
l’avesse tenuto per sé! E che stupido era stato a raccontarlo proprio a
LUI! Da quel momento non aveva più smesso di deriderlo e dirgli
ca iverie sulla sua mamma. «Sei solo un povero bastardello» aveva
bu ato lì una volta. «Sei davvero così scemo? Quella si è liberata di
te perché non ti vuole. Non verrà mai a prenderti, chiaro? Lo vuoi
capire o no, razza d’imbecille?»
Strinse gli occhi per non piangere. Ma faceva terribilmente male.
L’ultima volta che la mamma era andata a trovarlo, si era armato di
tu o il suo coraggio e glielo aveva chiesto. Le aveva chiesto se non lo
voleva perché era un povero bastardello. Lei allora aveva smesso di
sorridere e lo aveva guardato in maniera strana. «Non credere a una
cosa simile, mai e poi mai, mio piccolo principe» gli aveva sussurrato
mentre lo stringeva forte tra le braccia. Era la festa della mamma di
due anni prima. L’anno dopo non si era fa a vedere. E ormai anche
quel giorno sapeva che non sarebbe andata a prenderlo.
Ingoiò le lacrime, inspirò a fondo l’odore che emanava la terra.
Molto in alto, nel cielo azzurro e senza nuvole, una poiana volava in
cerchio. Di tanto in tanto eme eva un grido che assomigliava un po’
al miagolio di un ga o. Intorno a lui, gli inse i ronzavano operosi.
Nel so obosco lì vicino sentì frusciare qualcosa, forse un topo.
S’immaginò il suo piccolo cuore di roditore che ba eva all’impazzata
perché aveva sentito la poiana e non sapeva se e quando sarebbe
scesa in picchiata, veloce come una freccia, senza fare rumore;
perché quando la sua ombra si fosse stagliata sopra di lui, sarebbe
stato troppo tardi per scappare… “Proprio come me” pensò. “Come
tu i noi quando sentiamo la SUA voce e non sappiamo cosa sta per
succedere.”
Riaprì gli occhi e il suo sguardo vagò sul lago, che se ne stava lì
placido, liscio come una lastra di vetro. Due libellule s’inseguivano
sopra il canneto. Una tringa zampe ava sull’acqua, che
d’improvviso s’increspò. Alzò la testa e tese le orecchie, voci in
lontananza, poi uno sciabordio e rumore di remi. La vecchia barca,
ormeggiata sull’altra sponda, era così marcia che avevano il divieto
assoluto di utilizzarla. Si avvicinò alla riva ga onando e sbirciò tra le
canne. Il cuore iniziò a ba ere più forte e un brivido di gioioso
trionfo gli percorse tu o il corpo. Quei due non sospe avano che lui
dopo la messa avesse interce ato il loro breve scambio di ba ute.
«Alle due, allo stagno delle rane?» aveva bisbigliato LUI, senza
guardarla.
«Meglio alle tre» aveva risposto lei so o voce. «A quell’ora i miei
saranno usciti.»
Aveva visto le loro mani sfiorarsi, come per caso, nella calca della
gente che si ammassava nella navata centrale della chiesa in a esa di
uscire. Essere invisibile aveva decisamente i suoi vantaggi. A volte
era umiliante, ma più spesso gli piaceva. E adesso sentiva la voce di
Nora, la sua risata squillante echeggiava nel silenzio del pomeriggio.
Se ne stava distesa a prua, puntellata sui gomiti, le gambe brune
accavallate con disinvoltura. I lunghi capelli biondi le ricadevano
ondulati sulle spalle, un braccio era immerso nell’acqua. Non
riusciva a sentire i loro discorsi, ma LUI d’un tra o lasciò scivolare
un remo in acqua, si mise in piedi e fece oscillare la barca.
«Ehi, sme ila con le stronzate!» Nora si tirò su.
«Solo se mi dai un bacio» riba é LUI.
«Te lo sogni!» disse lei altezzosa. «Avanti, continua a remare! Se
fai il cretino, la prossima volta chiedo a qualcun altro.»
Era fantastico sentirli litigare. Il modo in cui Nora lo offendeva
con meschinità acuminate, che si infilzavano nell’anima. Sapeva
benissimo quanto faceva male.
Nora. La odiava. E l’amava. Era la creatura più bella che avesse
mai visto. E allo stesso tempo la più crudele.
LUI faceva dondolare la barca sempre più forte, finché si ribaltò.
Mentre cadeva in acqua, la ragazza strillò; poi seguì una valanga di
insulti indignati all’indirizzo del rematore, ma LUI non le dava più
re a. In poche bracciate raggiunse la riva e scomparve tra gli alberi.
Adesso era rimasto solo con Nora. Per un breve istante, appena
realizzò la situazione, ebbe le vertigini. Nora. Era ancora in acqua,
ferma nello stesso punto. La vecchia barca capovolta era
semiaffondata.
«Aiuto!» gridava. «Aiuto! Sono rimasta impigliata!»
Per la prima volta quello che le usciva di bocca suonava sincero. Si
sfilò i sandali, si levò la maglie a e i pantaloncini e si aprì un varco
a raverso il canneto. Il fondo so o i suoi piedi era freddo e
melmoso, doveva stare a ento a non ferirsi con i gambi affilati delle
canne. Quando emerse dal canneto e iniziò a nuotare verso di lei,
Nora invocava ancora aiuto. Agitava freneticamente le braccia, il
panico negli occhi. Ancora un paio di bracciate e la raggiunse. Mai le
era stato così vicino.
«Ho un piede incastrato» disse la ragazza annaspando, e cercò di
afferrargli il braccio.
Lui nuotava sul posto. Persino adesso, bagnata fradicia e piena di
paura, gli sembrava bellissima. In un angolo ben nascosto dentro di
lui si destò qualcosa che aspe ava di essere risvegliato da molto
tempo. Le sue mani le cinsero il collo. Nora voleva gridare di nuovo,
ma lui la spinse so o la superficie dell’acqua. Non fu facile tenerla
giù ferma, e probabilmente non ci sarebbe riuscito se il piede di lei
non si fosse impigliato nelle alghe. Sentì il sangue circolare più in
fre a mentre le avvinghiava il corpo con le braccia e le gambe. Tanto
più disperata era la difesa della ragazza, quanto più delizioso
risultava il suo senso di onnipotenza. Lei si diba eva e lo ava, ma
lui era più forte.
Ora la teneva so o il filo dell’acqua con le ginocchia, senza
nemmeno troppo sforzo. La contemplava affascinato mentre moriva,
nei suoi occhi sbarrati intravide la paura della fine tramutarsi in
incredulità. Poi il suo sguardo si incrinò, divenne spento e vuoto
come quello delle bambole. Sentì la vita che l’abbandonava. Quando
il suo corpo si afflosciò, lui lo lasciò andare. I capelli di Nora
f
lu uarono nell’acqua come un ventaglio dorato. Dalla bocca e dal
naso salirono le ultime bollicine d’aria. L’eburnea bellezza di Nora
Bartels era svanita per sempre. Perché lui ha voluto così.
Rimase a guardare come affondava, assaporò ancora per qualche
istante la meravigliosa sensazione di potere, estasi e dominio, poi
nuotò verso riva, si rivestì e iniziò a correre, corse così in fre a che i
suoi polmoni bruciavano. Raggiunse la grande casa senza imba ersi
in nessuno. Quando nel tardo pomeriggio arrivò la notizia che
qualcuno era affogato nello stagno delle rane, tu i ricordarono
soltanto di aver visto un ragazzo con i vestiti bagnati ma nessuno
pensò a lui. A volte essere invisibile aveva davvero i suoi vantaggi.
La no e, nel suo le o, gli fu chiaro che quel giorno aveva
imparato una lezione fondamentale, e cioè quanto fosse singolare ed
eccitante il momento in cui la vita si tramutava in morte. Non
avrebbe mai dimenticato quella sensazione di onnipotenza.
Con cautela tirò fuori dal suo nascondiglio segreto, tra il
materasso e le doghe del le o, le ciocche di capelli strappate a Nora
nella concitazione della lo a, le annusò e se le preme e contro la
guancia. Da quel giorno, lo sapeva, non sarebbe più stato lui la
preda. Da quel giorno, era un cacciatore.
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