I maestri oscuri – Karen Maitland

SINTESI DEL LIBRO:
Stanotte ho creduto di udire un uomo morente nella grande
foresta, ora però non ne sono più cosi sicura; forse era un
cadavere che sorgeva dalla tomba. Gridava come un ossesso,
ma non implorava pietà. Sfidava la morte, chiedendo di
soffrire come se volesse che i demoni lo torturassero e lo
trascinassero nelle profondità dell'inferno. Se era un uomo,
doveva essere pazzo. Fissare la luna può far uscire di senno,
lo sapevate? E stanotte la luna era tonda come il ventre di una
donna gravida. È proprio quando è così che gli uomini
dovrebbero temerla di più.
Non posso raccontare alle altre ciò che ho visto, nemmeno
a Pega. Come potrei spiegare loro cosa facevo da sola nella
foresta a mezzanotte? Non sono pazza come quell'uomo, se
ve lo state chiedendo. Non sono andata nella foresta per
farmi uccidere, sebbene sia perfettamente consapevole dei
pericoli che nasconde. Dio solo sa quante creature micidiali si
annidano fra quegli alberi. Serpenti velenosi, cinghiali
inferociti, lupi famelici, persino un cervo in calore potrebbe
ucciderti. Senza contare i banditi e i tagliaborse pronti ad
assalire chiunque si avventuri nel loro regno.
Nemmeno Pega, che pure è più alta di qualsiasi uomo,
metterebbe mai piede nella foresta dopo il tramonto. Nessuna
delle donne del villaggio lo farebbe. Dicono che i fantasmi
affamati, che aleggiano come nebbia fra gli alberi, ti divorano
se hai la sfortuna di capitare nel punto in cui morì qualcuno.
E, nel corso dei secoli, centinaia di persone devono essere
morte nella foresta senza lasciare traccia.
Credete davvero che non avessi paura di andare in quei
boschi di notte? Vi assicuro che ho dovuto fare appello a tutto
il mio coraggio, ma cos'altro potevo fare? Il gigaro va raccolto
con la luna piena, perché solo allora ha il potere di restituire a
una donna la fertilità. Non ho osato chiedere un po' di
quell'erba alla Marta infermiera. Siamo caste, è la regola.
Quindi perché una donna casta dovrebbe desiderare di
riacquistare la capacità di avere figli? Io, però, devo.
Trasalivo a ogni grido e a ogni fruscio, costringendomi a
addentrarmi fra gli alberi. Non potevo tornare indietro a
mani vuote. Il gigaro è difficile da trovare, sia alla luce del
sole sia al chiaro di luna. Il membro del diavolo, così lo
chiama Pega. Ama i luoghi bui e umidi fra le radici degli
alberi e le sue foglie screziate si mimetizzano facilmente.
Quando udii il rombo dell'acqua sopra le rocce, capii di
essere nei pressi del fiume e tornai sui miei passi, sapendo
che l'erba non cresce vicino all'acqua e preferisce l'ombra
della foresta. D'un tratto, la vidi. Mi inginocchiai sulla terra
umida e feci per prendere il coltello quando udii un suono
diverso dagli altri. Non era il verso di un animale: era la voce
di un uomo.
Col cuore in gola balzai in piedi, cercando di non fare
rumore. Mi nascosi dietro un albero e, stringendo il coltello,
cercai di capire da dove provenisse quella voce, ma non vidi
nulla. I fantasmi affamati parlavano prima di assalire le loro
vittime?
In punta di piedi, mi incamminai nella direzione opposta
al suono. Trattenni il fiato e tesi l'orecchio, ma non udii passi
alle mie spalle. Forse quella voce era frutto della mia
immaginazione. Continuai a camminare, pregando di non
inciampare e di non spezzare alcun ramoscello, rivelando la
mia presenza.
Giunsi così ai margini di una radura. Ai miei piedi
sembrava stendersi un lago d'argento vivo, al centro del
quale svettava un'enorme quercia cava. Il tronco era così
largo che ci sarebbe voluta una mezza dozzina di uomini per
circondarlo.
D'un tratto, udii di nuovo la voce. Proveniva da un punto
indefinito davanti a me. Invece di fuggire dal pericolo, gli ero
andata incontro.
A Yandil, signore dell'oltretomba, offro il sangue del cervo
bianco.
Che sia come il mio sangue. Bevi.
La voce risuonava a pochi passi, ma la radura era deserta.
Malgrado il freddo pungente della notte, avevo le mani
sudate e il cuore prese a battermi così forte che credetti mi
stesse balzando fuori dal petto. Avrei voluto mettermi a
correre, ma avevo troppa paura di essere scoperta.
A Taranis, signore della foresta, offro la carne del cervo
bianco.
Che sia come la mia carne. Mangia.
Mi aggrappai al tronco di un albero e rimasi lì, tremante,
sapendo che, se avessi lasciato la presa, le gambe non mi
avrebbero sorretta. Poi vidi qualcosa muoversi: un'ombra
nera attraversò la radura e si diresse verso di me. Non era
una creatura umana: aveva un muso lungo e stretto e un paio
di corna ramificate. Chiusi gli occhi, cercando di non urlare.
A Rantipole, signore dell'aria, offro lo spirito del cervo
bianco.
Che sia come il mio spirito. Divoralo.
Aprii gli occhi, ma non osai muovermi. La creatura era
davanti all'albero cavo. Quando la luce della luna la illuminò
da dietro, capii che cos'era. Non era un mostro. Era un uomo
alto e possente. Portava sulle spalle la pelle di un cervo con la
testa ancora attaccata. La bestia era stata uccisa da poco e la
pelle emanava un vapore caldo che si dissolveva nell'aria
fredda della notte. Vidi il sangue ancora fresco scintillare al
chiaro di luna. Ne sentii l'odore.
Sono qui, alle porte dei tre regni. Lasciami entrare! Ka!
L'uomo si tolse il cappuccio e lo gettò via. Poi sollevò la
testa del cervo e se la mise sul capo, lasciando che il sangue
gli colasse sui capelli e sulla pelle.
«Oh, Taranis, signore della distruzione, un grande torto è
stato fatto a te e a noi, tuoi servitori. Un tempo a governare
questi luoghi era una tua creatura, nata dalle tenebre e dalla
disperazione. Questa vallata porta il suo nome. Il tuo demone
ha recato, a chiunque osasse sfidarti, la morte in questo
mondo e l'eterno supplizio nell'oltretomba. Tutti hanno
imparato a temerlo, rivolgendosi a te e a noi, tuoi servitori.
Ma un secolo fa, la vigilia di Samhain, le donne si sono
radunate qui, alle soglie del tuo regno. Non sono riuscite a
uccidere il tuo demone, ma lo hanno relegato in un luogo
d'ombra, in cui i giorni e gli anni scorrono gli uni uguali agli
altri.
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