Grida di pietra – Gilbert Sinoué

SINTESI DEL LIBRO:
«Ascolta, Hisham!» esclamò Taymur Lutfi, brandendo il giornale France
Observateur. «Ascolta, figlio mio. L’articolo è firmato da un certo Claude
Bourder.
“Tutto va bene, vero, signor presidente del Consiglio1? Il regime del
colonnello Nasser è più solido che mai. I sentimenti degli egiziani e degli altri
popoli arabi nei confronti della Francia, che ieri, alla peggio, avremmo potuto
definire ambigui, si sono tramutati in odio. In tutto il Medio Oriente non
esisterà più una sola istituzione culturale francese, né una scuola francese,
non si acquisterà più un solo prodotto francese, e non uno dei nostri tecnici
troverà lavoro. Ora gli insorti algerini possono aspettarsi aiuto da tutti i paesi
arabi.
I francesi d’Egitto ne subiranno le conseguenze: stupide, ingiuste, ma
inevitabili. Le loro vite saranno spezzate, sconteranno danni e distruzioni
provocati da altri. Tutto va bene. Gli Stati Uniti sono determinati a mettere la
Francia in ginocchio, e ne hanno i mezzi. Il sogno di indipendenza,
accarezzato per un istante da M. Pineau 2, è svanito. Perfino i russi
preferiscono aver a che fare con Eisenhower piuttosto che con un
irresponsabile piccolo Bonaparte di Arras. Tutto va bene”».
Hisham sollevò leggermente le mani, poi le lasciò ricadere sui braccioli
della poltrona.
«È triste, triste per la Francia e triste per la sua immagine nei paesi arabi.
Ma che diavolo è saltato in mente a questo Mollet per farsi trascinare in
un’impresa del genere? Passi ancora per l’Inghilterra, conosciamo le furberie
di quei gentlemen. Ma la Francia?»
Taymur si tolse gli occhiali, passandosi a più riprese la mano sulla guancia
rugosa. Un gesto che da qualche tempo gli era divenuto quasi abituale, come
se cercasse in quel modo di cancellare i segni del tempo.
Poi si decise a rispondere: «Non hanno digerito la decisione da parte di
Gamal di nazionalizzare il canale di Suez, e si sono lasciati condizionare da
quell’idiota di Anthony Eden3».
«La nazionalizzazione del canale, sì, bella faccenda!» ribatté Hisham.
«Bisognerebbe tener conto di un piccolo dettaglio, che il contratto che legava
la Francia e l’Egitto era quasi giunto a scadenza4. E allora? Valeva la pena di
scatenare una guerra nel vecchio spirito coloniale del XIX secolo? Peggio
ancora: valeva la pena di allearsi segretamente con Israele per farla?»
Hisham prese dalla tasca un pacchetto di Lucky Strike e ne offrì una al
padre, che rifiutò.
«Tu fumi troppo, ragazzo mio».
«Ragazzo mio? Ma papà, ho appena compiuto trent’anni!»
«E sei anche appena stato promosso tenente colonnello, lo so».
«Promosso da Nasser in persona» sottolineò Hisham con un sorriso.
Accese il fiammifero.
«Comunque sia, questo giornalista francese dà prova di grande lucidità.
Ieri mattina ho saputo che le autorità hanno disposto la chiusura delle scuole
straniere, e più di qualcuno sta chiedendo la cacciata delle famiglie ebree e
cristiane. Migliaia di greci e di italiani, nati qui e qui residenti da generazioni,
sarebbero sul punto di fare le valigie».
Una luce cupa passò nello sguardo di Taymur Lutfi.
«È logico: temono di dover essere loro a pagare il prezzo dell’incoscienza
anglo-franco-israeliana. Se questo esilio si verificasse davvero, sarebbe una
vera catastrofe, l’undicesima piaga d’Egitto, una cosa che nemmeno Mosè
avrebbe potuto immaginare».
Con una smorfia dubbiosa Hisham chiese: «Baba5, non credi di
esagerare?»
«No, figlio mio, anzi, sono fin troppo cauto. Da secoli quelle comunità
contribuiscono alla prosperità del nostro paese, e ne fanno intimamente parte.
Ricorda che quelle minoranze si sono rifugiate in Egitto alla metà del XIX
secolo, fuggendo i massacri scatenati dai turchi, e sono venute qui,
nell’Egitto in cui allora regnava un clima di tolleranza e di armonia fra le tre
religioni del Libro. Non appena si furono sistemate si trovarono di fronte a un
dilemma: restare filo-occidentali e cristiane o convertirsi all’Islam. Ebbene,
alla fine scelsero una terza via: quella del nazionalismo arabo».
«Stai parlando sul serio? I cristiani promotori del nazionalismo arabo?»
«Certo, mio caro! Perché hanno scelto di integrarsi, di esser tutt’uno con il
loro paese d’adozione, di partecipare attivamente al suo sviluppo, senza mai
separarsi dalla loro identità religiosa. Sono gli stessi emigrati che troviamo
all’origine della Nahda, il movimento di rinascita culturale e politica. Giorno
dopo giorno, questi cristiani del Levante hanno partorito idee innovatrici, alle
quali oggi attingono quasi tutti i leader nazionalisti arabi».
«Immagino che tra quei cristiani tu conti anche Michel Aflak, il siriano che
una decina di anni fa ha fondato il partito Baas6 e che oggi è ministro degli
Affari Esteri in Siria».
«Aflak, esattamente».
«Però non è molto obiettivo. Da qualche parte ho letto che, nonostante sia
cristiano, ha dichiarato che l’Islam ha dotato gli arabi della lingua più nobile
che esista, e della letteratura più fulgida. Dice anche che né gli americani né
gli ebrei raggiungeranno mai lo stesso livello di spiritualità di noi musulmani.
Questo non significa certo essere imparziali».
«Dimentichi di precisare che, nonostante la sua ammirazione per la nostra
religione, ha sempre combattuto l’idea che potesse servire da pretesto o come
arma nel confronto che sempre più ci oppone all’Occidente. Ha sempre difeso
l’idea di uno Stato laico. Del resto…»
«Il pranzo è servito!»
Taymur alzò gli occhi verso la moglie Nur, e un lampo di nostalgia gli
attraversò lo sguardo. Sembrava ieri quando gli era apparsa nella villa di
Giza, accompagnata dal fratello, Ahmed Zulficar, il miglior amico di
Taymur7. Allora aveva ventiquattro o venticinque anni. Bruna, capelli neri,
bella come un fiore. Oggi, una trentina d’anni dopo, la sua bellezza rimaneva
miracolosamente intatta, ma Nur rifiutava di crederci. Quando capitava che il
marito ne accennasse, si metteva a ridere, e gli rispondeva sempre con il
solito proverbio arabo: «Agli occhi della madre, la scimmia sembra una
gazzella».
«Mio fratello è arrivato?» chiese Hisham alzandosi dalla poltrona.
«Ha telefonato un quarto d’ora fa per avvertire che tardava un po’».
Hisham guardò il padre con una punta d’amarezza.
«Bisognerà che tu gli parli, papà, non credi?»
Taymur eluse la domanda, dirigendosi verso la sala da pranzo.
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