Dolce e letale – Willow Winters

SINTESI DEL LIBRO:
Il mio pugno sbatte contro il sacco. Immagino la faccia di mio zio. Poi,
tiro un gancio sinistro. Continuo a colpire, più e più volte, finché i muscoli
non mi bruciano per lo sforzo. E allora mi spingo oltre. Sento le dita
schioccare sotto il peso dei colpi. Tuttavia, il suono dei pugni che si
scontrano con il sacco pesante non riesce ad alleviare la tensione. Voglio
sentire lo scricchiolio della sua mascella. Fottuto traditore! Quel codardo
ha distrutto la mia famiglia, e rovinato la mia vita. E non posso fare un
cazzo. Non posso tornare indietro nel tempo.
Colpisco il sacco ancora e ancora, provando a scacciare questo peso che
mi opprime il petto. Sento la voce di mio padre, lo stridore delle gomme. I
colpi di pistola. Afferro il sacco e faccio rallentare il cuore che batte
all’impazzata. Prendo un respiro profondo per riempire i polmoni, ma
alimento ancora di più la mia rabbia. Ci hanno scovati a causa di quel
fottuto traditore di mio zio. E non posso fare niente per cambiare le cose.
«Kane!» urla Marco; la sua voce riecheggia nella stanza vuota. Sento la
porta chiudersi e il rumore dei suoi stivali che battono sul pavimento di
cemento del capannone. Mi asciugo il sudore dalla faccia.
Avevo bisogno di sfogare una certa aggressività, ma devo essere
presentabile per l’incontro, così prendo un asciugamano dalla pila di casse lì
vicino e mi do una sistemata veloce. Sento Marco avvicinarsi mentre
raccolgo e infilo la camicia. L’abbottono, concentrandomi per tenere a bada
la rabbia: non sarebbe una cosa buona in questo momento. Non quando
sono da solo, in netta minoranza, e in procinto di incontrare il nuovo boss
del cartello di Marzano.
Abram Petrov. È diventato famoso per aver preso il controllo del settore
in poco tempo, e con le maniere forti. Di recente ha acquisito il principale
cartello in Messico nonché pezzi grossi in Francia e in Russia, luogo da cui
proviene. È una nuova potenza che non ha paura di giocare sporco, e ora si
trova alla mia porta.
«Sono pronto!» urlo da sopra la spalla, dirigendomi nella sua direzione.
È ora di conoscere la nuova famiglia, o Bratva come continuano a chiamarla
quegli stronzi dei russi. O come cazzo lui chiami la sua banda. Devo
provare a guadagnami un posto in un gruppo di criminali che è disposto ad
accogliere il nipote di un infame. Deglutisco con difficoltà. Ho atteso
questo incontro per diverse settimane, rimanendo al magazzino e
mantenendo un basso profilo a causa del bersaglio che ho sulla schiena.
Questo posto era una casa sicura della mia famiglia, ma ora è una merce di
scambio per ottenere l’attenzione di Petrov.
I suoi scagnozzi sono venuti qui ieri per organizzare tutto, ma ho
mantenuto le distanze. Sanno che è casa mia e che vengono solo per fare
affari, il che è un bene, ma non faccio parte della loro banda. Preferirei dar
loro lo spazio di cui hanno bisogno e un caloroso benvenuto senza essere
coinvolto nelle loro cose. Non posso mandare tutto a puttane.
«Andrà tutto alla grande. Me lo sento.» Marco sogghigna per poi darmi
delle pacche sulla schiena. Deve allungare il braccio verso l’alto per
colpirmi sulle spalle. Sono alto un metro e novantacinque e tutto muscoli.
Vicino a Marco sembro un cazzo di bestione. Ero la maggior fonte di
profitto all’interno della famiglia per una ragione. Sono un terribile
bastardo da affrontare. La gente preferisce pagare piuttosto che farmi
incazzare. Ma nonostante tutti i soldi che procuravo, hanno provato a farmi
fuori. Hanno tentato, ma hanno fallito.
«Hai già fatto colpo sul capo per quello che hai combinato a quelle
femminucce.» Mi si contorce lo stomaco e il petto si stringe per il dolore.
Dovevano pensarci bene prima di venirmi a cercare. Il casino provocato da
mio zio non aveva niente a che fare con me. O con mio padre. E di certo,
cazzo, sapevano che mia sorella e mia madre non c’entravano niente con
tutto questo. Tuttavia, sono venuti ugualmente a cercarci. Avrebbero
dovuto assicurarsi che fossimo tutti morti. Invece quei coglioni mi hanno
lasciato vivo. E ne hanno pagato il prezzo. Nonostante fossero le uniche
persone che mi erano rimaste al mondo.
Gli faccio un sorrisetto compiaciuto. Devo piacere al boss. Ho bisogno di
un posto dove andare, di essere qualcuno. Sono cresciuto in questa vita. E
tutti quelli che conoscevo mi hanno voltato le spalle. Se non fossi stato così
incasinato, avrei potuto iniziare da solo un’attività. Ho i contatti e di alcuni
mi fido ancora. Ho preso questa decisione troppo presto, ora devo andare
fino in fondo.
Faccio un respiro profondo e mi dirigo lungo il corridoio per raggiungere
il capannone. L’appuntamento è lì. Sono pronto per questo incontro. Non è
un’imboscata, ma potrebbero uccidermi a occhi chiusi. Sono da solo contro
tutti loro. Non sono venuti per questo. Nessuno mi toccherà dopo quello
che ho fatto. La vendetta può rendere pazzo un uomo. Intoccabile. Ma mi
ha anche lasciato solo. Sono pronto ad andare avanti e a tornare al lavoro.
Ci sono alcuni piccoli aerei nel capannone. Cumuli di panetti di cocaina
avvolti nella plastica sono sistemati su un tavolo pieghevole. Non è quello di
cui mi occupavo prima. Sono più un tipo da “minaccia il politico”. Ma
suppongo che si inizi con il trasporto e la vendita. Si ricomincia da zero, con
miglioramenti futuri, o stronzate del genere. Dimostrerò quello che valgo.
Quattro uomini vestiti di grigio e nero circondano il tavolo, tenendo
d’occhio due operai che pesano e imbustano il prodotto. Appena sentono i
nostri passi, si voltano verso di noi. Il boss, Abram, mi viene incontro. Il suo
braccio destro gli cammina vicino, uno o due passi più indietro. Gli altri
due uomini sono chiaramente le sue guardie del corpo, a giudicare dalle
spalle larghe. Uno dei due ha una cicatrice che gli attraversa il viso. Sembra
provocata da uno squarcio che avrebbe potuto strappargli un occhio.
L’altro ha un tatuaggio che gli avvolge il collo. Entrambi danno
l’impressione di essere molto pericolosi, nulla in confronto ad Abram. I loro
occhi scuri mi fissano di rimando mentre posizionano le braccia dietro la
schiena e raddrizzano le spalle, in attesa di ordini. Marco gira attorno a loro
per dirigersi al tavolo. È solo un tirapiedi e gli va benone. È un coglione.
«Kane» saluta Abram, mentre mi porge la mano. È un uomo alto e snello,
dai capelli neri pettinati all’indietro con il gel. Gli stringo la mano con
fermezza e lo fisso negli occhi; sono talmente scuri da sembrare neri.
Abram è un capo letale. Ho sentito di ciò che ha fatto al cartello in
Mazatlán. Sono tutt’altro che compiaciuto, considerato che ha tagliato i
rapporti prettamente per motivi d’affari. E per tagliare i rapporti intendo
dire che ha ordinato di distruggere le loro attività e, per impadronirsi di
tutto ciò che avevano, li ha fatti uccidere. Definirlo spietato sarebbe
superficiale, ma questo è quanto, perciò prendere o lasciare. So di avere un
bersaglio sulla schiena. Devo trovare un posto dove stare e tenere un basso
profilo. E, al momento, questa è l’unica possibilità di scelta che ho. Quindi,
sto facendo un patto col diavolo.
«Abram, o devo chiamarti capo?» chiedo, accennando un sorriso.
Mi sorride apertamente. «Capo, credo.» Sentirlo mi fa tornare a
respirare, ma nascondo il mio sollievo. Si gira e mi circonda le spalle con il
braccio, guidandomi verso il gruppo di uomini. È una stretta scomoda e
impacciata, perché sono molto più alto di lui, ma glielo permetto. «Grazie
ancora, per aver reso questa transizione più facile per noi. Apprezzo il
gesto.»
«Nessun problema.» Faccio un cenno con la testa e do un’occhiata ai
prodotti allineati sul tavolo. C’è un mucchio di cocaina. Non c’è dubbio che
per loro sia più conveniente usare il mio hangar. È un atto di fiducia il fatto
che abbiano accettato la mia offerta.
«Voglio presentarti Vadik, il mio braccio destro» dice Abram. Allungo la
mano e questi l’afferra subito con un sorriso. Un altro buon segno. Vadik è
più vecchio. Sembra avere più o meno l’età di mio padre, mentre Abram
sarà sui trentacinque anni. Il viso di Abram ha un accenno di rughe attorno
agli occhi. Quest’uomo, invece, ha raggiunto l’anzianità: capelli grigi tirati
all’indietro allo stesso modo di Abram e rughe profonde sul viso. Gli occhi
sono azzurro chiaro come il ghiaccio, freddi. È un uomo letale. Abram
potrebbe facilmente ingannarti e farti credere di essere meno pericoloso di
Vadik, inducendoti a provare un falso senso di sicurezza e, stando a quanto
ho sentito su di lui, è riuscito a farlo più volte in passato con vecchi rivali.
Ma quest’uomo, Vadik, ha proprio l’aspetto di un killer.
«Piacere di conoscerti.» Mentre gli stringo la mano, lui mette l’altra sulla
mia.
«Lo è davvero, Kane. Ero ansioso di conoscere l’uomo che ha eliminato
l’intera famiglia Armeno in una sola notte.» Sorride con cattiveria mentre
aggiunge: «Hai fatto davvero colpo.»
«Sono felice di saperlo.» Pronuncio queste parole, ma non sono
contento. Ho fatto quello andava fatto. Non volevo. Ho dovuto.
«Ho considerato la tua proposta di unirti a me» comincia Abram, mentre
tiene lo sguardo fisso nel mio. Sento che sta per arrivare un “ma”, e non mi
piace. Mantengo un’espressione imperturbabile mentre continua: «Mi
piace. Mi piace molto. Credo che lavoreremo bene insieme.» Sollevo le
sopracciglia per la sorpresa e lui registra la mia reazione. «Avremo qualche
ospite in più tra poco» continua, facendo segno con la mano e guidandomi
verso l’uscita dell’hangar. Le porte sono aperte, e si vede splendere il sole. È
una bellissima giornata luminosa. C’è una brezza fresca e leggera. È un vero
peccato che abbia così tanta adrenalina che mi pompa nelle vene da riuscire
a malapena a respirare.
«Altri ospiti?» chiedo, con un po’ di curiosità nella voce. Ma non sono
curioso… sono incazzato. Gli ho offerto casa mia affinché possa usarla per
l’ingresso negli Stati Uniti e non perché la utilizzi come base per le sue
operazioni. E di certo non invitare altre persone. Ma di sicuro non glielo
vado a dire. Non ora, comunque. Posso anche essere spinto dalla rabbia,
ma non sono una testa calda.
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