Attenti ai lupi – Le sette storie più spaventose dei fratelli Grimm – Pierdomenico Baccalario

SINTESI DEL LIBRO:
Le fiabe sono roba da bambini.
È questo che pensate, vero?
E poi le fiabe, voi, le conoscete già: sapete tutto di cosa accadde a
Cappuccetto Rosso nella casa nel bosco, e siete esperti di regine,
principi e principesse.
Magari le fiabe vi ricordano quando eravate piccoli, e la sera
stavate nei lettini, al sicuro, e i vostri genitori leggevano qualche
storia per farvi addormentare.
Le chiamavano fiabe della buona notte.
Giusto?
Sbagliato!
Che gigantesca assurdità!
Ci dispiace dirvelo, amiche e amici, ma vi hanno sempre
imbrogliato.
Nessuna persona sana di mente leggerebbe mai una fiaba prima
di andare a dormire. Perché di sicuro, poi, non riuscirebbe a
chiudere occhio per tutta la notte. Oppure sarebbe perseguitata dagli
incubi più terribili, per svegliarsi al mattino sudata e tremante.
Eh sì, carini. Le fiabe, quelle vere, fanno paura. Di più: mettono
addosso un autentico terrore. E riempiono la testa di domande. Che
non hanno una risposta. O, se ce l’hanno, è quella che non vorreste
sapere mai.
Le fiabe hanno i denti. Morsicano.
Prendiamo Cenerentola: facile che questo nome vi faccia venire in
mente una simpatica fata madrina, e una zucca che si trasforma in
carrozza allo scoccare della mezzanotte. Giusto? Ah! Sbagliato
anche questa volta! Nella storia autentica di Cenerentola non c’è
nessuna zucca e nessuna fata, ma persone morte, sangue, e
quando le sorellastre provano a infilarsi quella dannata scarpina...
Oh, no, meglio non pensarci, è una cosa che fa venire i brividi.
Speriamo a questo punto di avervi messo in guardia, e che perciò
poserete questo libro per non toccarlo mai più, nemmeno per errore.
Purtroppo, invece, alcuni di voi potrebbero sentirsi incuriositi: «Ma
saranno davvero così terribili queste fiabe? Faranno davvero tanta
paura?» Quindi magari potreste pensare che dopotutto questo libro
fa per voi e che vorreste leggerlo tanto per vedere cosa succede.
Be', non fatelo.
Non ci provate nemmeno.
La foresta è grande, spaventosa, ci vivono esseri malvagi che non
devono essere disturbati.
Ci sono misteri che è meglio non scoprire mai, e segreti che è
meglio restino segreti.
E se voleste tentare lo stesso... Va bene, arrangiatevi.
Poi non dite che non vi avevamo avvertiti.
Perché vi perderete.
Sarete soli.
Se chiamate aiuto, non ci sarà nessuno ad ascoltarvi.
E non ci saranno briciole a indicarvi la strada di casa.
A questo punto, c’è solo un consiglio che possiamo darvi.
State attenti.
E state molto attenti ai lupi.
«Ci sono tre regole, bambina mia» annunciò il borgomastro, e
non fu affatto piacevole. «Primo: non fermarti. Secondo: non lasciare
il sentiero. Terzo: non aprire mai il tuo cestino.»
I suoi denti erano gialli e rotti, il fiato pesante.
«Non vorrai che si freddino le focaccine, vero?»
Mi tirai indietro sperando che non se ne accorgesse. Conoscevo
già le regole: le aveva sussurrate mia mamma, prima che le altre
donne me le ripetessero per tutto l’inverno, ogni notte, davanti al
fuoco, mentre mi cucivano il cappuccio. E ora il momento era
arrivato: avevo una treccia tutta mia, stavo per uscire dal cerchio
delle case. Questo significava diventare grande.
«Bene bene!» esclamò il borgomastro dandomi un’ultima occhiata.
«Era molto tempo che una ragazzina non andava a portare vino e
focaccia alla nonna. Davvero molto, molto tempo! Dobbiamo
esserne contenti, amici cari.»
Intorno a noi si era radunato mezzo paese: il calzolaio, la
mugnaia, l’armaiolo. I bambini e le signore rinsecchite che si erano
prese cura di me dopo che ero stata scelta e la mamma si era
ammalata.
Avevo sperato di vederla almeno una volta, prima di lasciare il
villaggio, ma il borgomastro aveva detto che non era possibile. Stava
ancora troppo male. Forse dopo, più tardi, quando sarei tornata
indietro.
Mi sentivo come in partenza per un lungo viaggio anche se in
realtà era una passeggiata di poche ore: dovevo andare fino alla
casa nel bosco e tornare indietro.
Ma una volta la vecchia Gertrud mi aveva avvertito: «Se seguirai
le regole sarai qui prima del tramonto» aveva bisbigliato mentre
cuciva. «Altrimenti, chissà... La nonna abita lontano, possono
accadere cose terribili.»
Si era messa a ridere, e per i sussulti si era punta la mano con
l’ago lungo.
Piccole stille di sangue avevano cominciato a sgocciolare sulla
stoffa. Ma lei non ci aveva fatto caso.
Io invece pensavo a cosa potessero essere, le cose terribili.
Il borgomastro mi accompagnò fino alle case più esterne e gli altri
ci vennero dietro. Sentivo i loro passi alle spalle, il ticchettio degli
zoccoli contro le pietre del selciato, ma nessuno parlava o quasi. Era
un corteo silenzioso e solenne.
Ci fermammo davanti alla casa di Ernst il contadino e le oche
vennero a curiosare infilando la testa fuori dal recinto.
«Bene bene» ripeté il borgomastro.
La vecchia Gertrud avanzò, pallida e tirata come un panno
lucidato d’olio, tanto che le si potevano contare le vene azzurre sotto
la pelle.
Mi afferrò un po’ troppo bruscamente, facendomi quasi
inciampare. Poi le sue mani si mossero veloci intorno a me per
sistemarmi la treccia, mettermi il mantello e stringere il laccio del
cappuccio.
«Dov’è il cestino?» domandò il borgomastro.
Carl, il panettiere, glielo consegnò. A sua volta il borgomastro lo
passò a me. Era grande, di vimini, con il coperchio chiuso da
fermagli.
Era anche molto pesante, non sarebbe stato facile trascinarmelo
dietro per tutto il giorno. Per fortuna, durante l’inverno, mi ero
allenata.
«Le regole. Ripetile un’ultima volta.»
«Prima regola: non fermarmi» dissi. «Seconda: non lasciare il
sentiero. Terza: non aprire mai il cestino.»
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