Astrofisica per chi va di fretta – Neil deGrasse Tyson

SINTESI DEL LIBRO:
Quando tutto ebbe inizio, circa quattordici miliardi di anni fa, tutto
lo spazio, tutta la materia e tutta l’energia dell’Universo conosciuto
erano contenuti in un volume inferiore a un milionesimo di
milionesimo di quello occupato dal punto che conclude questa frase.
Le condizioni erano talmente estreme che le forze fondamentali
della natura, con cui descriviamo l’Universo, erano unificate. Anche
se non sappiamo ancora nulla sulla sua origine, questo cosmo più
piccolo di una punta di spillo poteva solo espandersi. Rapidamente.
In ciò che oggi chiamiamo Big Bang.
La teoria della relatività generale di Einstein, secondo cui la
presenza di materia ed energia incurva la struttura dello spazio
tempo, è del 1916 ed è alla base della nostra moderna
comprensione della gravità. La meccanica quantistica, scoperta negli
anni Venti del Novecento, ci permette di comprendere tutto ciò che è
piccolo: molecole, atomi e particelle subatomiche. Ma queste due
descrizioni dei fenomeni naturali sono formalmente incompatibili, e
tra i fisici è partita la corsa a combinare la teoria del piccolo e la
teoria del grande in un’unica e coerente teoria di gravità quantistica.
Sebbene il traguardo non sia ancora stato raggiunto, sappiamo
esattamente dove sono gli ostacoli più alti. Uno di questi si trova
nella cosiddetta “era di Planck” dell’Universo primordiale. Si tratta
dell’intervallo di tempo da t = 0 a t = 10–43 secondi (un
decimilionesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di
miliardesimo di secondo), prima che l’Universo raggiungesse i 10–35
metri (un centomilionesimo di miliardesimo di miliardesimo di
miliardesimo di metro) di estensione. Il fisico tedesco Max Planck,
dal quale prendono il nome queste quantità incredibilmente piccole,
introdusse il concetto di quanto di energia nel 1900 ed è
generalmente riconosciuto come il padre della meccanica
quantistica.
Il
conflitto tra la gravità e la meccanica quantistica non pone
particolari problemi per l’Universo contemporaneo. Gli astrofisici
applicano i principi e gli strumenti della relatività generale e della
meccanica quantistica a problemi molto diversi tra loro. Ma all’inizio,
durante l’era di Planck, il grande era piccolo e sospettiamo che ci sia
stato una specie di “matrimonio riparatore” tra le due teorie.
Purtroppo i voti scambiati durante quella cerimonia continuano a
sfuggirci e nessuna legge (nota) della fisica è in grado di descrivere
con certezza il comportamento dell’Universo in quel lasso di tempo.
In ogni caso ci aspettiamo che alla fine dell’era di Planck la gravità
si sia divincolata dall’abbraccio delle altre forze, ancora unificate,
guadagnando una propria identità ben descritta dalle nostre attuali
teorie. Raggiunta l’età di 10–35 secondi l’Universo continuò a
espandersi, diluendo tutte le concentrazioni di energia, e le residue
forze unificate si separarono nella forza “elettrodebole” e nella forza
“nucleare forte”. In seguito, la forza elettrodebole si separò nella
forza elettromagnetica e nella forza “nucleare debole”, mettendo a
nudo le quattro distinte forze che abbiamo imparato a conoscere e
amare: la forza debole responsabile del decadimento radioattivo, la
forza forte che tiene insieme il nucleo atomico, la forza
elettromagnetica che tiene insieme le molecole, e la gravità che
tiene insieme le grandi masse.
*
È trascorso un millesimo di miliardesimo di secondo dall’inizio.
*
Nel frattempo l’interazione tra la materia, sotto forma di particelle
subatomiche, e l’energia, sotto forma di fotoni (trasportatori senza
massa di energia luminosa, al contempo onde e particelle), era
incessante. L’Universo era caldo abbastanza perché i fotoni si
convertissero spontaneamente in coppie particella-antiparticella, che
immediatamente si annichilavano e riconvertivano la loro energia in
fotoni. Sì, l’antimateria esiste davvero. E l’abbiamo scoperta noi, non
gli
scrittori
di
fantascienza.
Queste trasformazioni sono
perfettamente descritte dalla più famosa tra le equazioni di Einstein:
E = mc2, una formula “a doppio senso” che indica la materia
equivalente a una certa quantità di energia e l’energia equivalente a
una certa quantità di materia. c2 indica il quadrato della velocità della
luce, un numero enorme che, moltiplicato per la massa, ci dice
quanta energia otteniamo in questo esercizio.
Poco prima, durante e dopo la separazione delle forze
elettrodebole e forte, l’Universo era una zuppa calda di quark e
leptoni (con le loro rispettive antiparticelle), e anche delle particelle
che consentono loro di interagire, i bosoni. Nonostante ne esistano
diverse specie, si pensa che nessuna delle particelle appartenenti a
queste famiglie sia scomponibile in qualcosa di più piccolo o
fondamentale. Il fotone è un membro della famiglia dei bosoni. I
leptoni più noti ai non-fisici sono l’elettrone e forse il neutrino: mentre
i quark più familiari sono… be’, i quark non sono così noti. A ognuna
delle loro sei diverse specie è stato assegnato un nome con nessun
altro scopo filologico, filosofico o pedagogico che non fosse quello di
distinguerle: up e down, strange e charm, top e bottom.
I bosoni prendono il nome dallo scienziato indiano Satyendra Nath
Bose. Il termine “leptone” deriva dal greco leptos, che significa
“leggero” o “piccolo”. Il termine “quark”, invece, ha origini letterarie e
molto più fantasiose. Il fisico Murray Gell-Mann, che nel 1964
avanzò l’ipotesi che i quark fossero i costituenti interni di neutroni e
protoni, e all’epoca pensava che la famiglia dei quark fosse formata
solo da tre membri, prese il termine da una frase tipicamente elusiva
del Finnegans Wake di James Joyce: “Three quarks for Muster
Mark!”. Ma i quark hanno un vantaggio: i loro nomi sono semplici.
Una semplicità che i chimici, i biologi e in particolar modo i geologi
non riescono a raggiungere quando battezzano gli oggetti dei loro
studi.
I quark sono creature bizzarre. A differenza dei protoni, con carica
elettrica +1, e degli elettroni, con carica elettrica –1, i quark hanno
carica frazionaria (1/3, 2/3). E non è possibile catturare un quark
solitario: si aggrapperà sempre ad altri quark nei paraggi. In realtà la
forza che ne tiene insieme due (o più) cresce quanto più si cerca di
allontanarli, come se fossero collegati da una specie di elastico
subnucleare. Allontanando abbastanza i quark, l’elastico si rompe e
l’energia immagazzinata invoca la formula E = mc2 per creare un
nuovo quark a ciascuna delle due nuove estremità, facendoci
tornare al punto di partenza.
Durante l’era quark-leptoni, l’Universo era così denso che la
distanza media tra quark liberi era equivalente alla distanza media
tra quark legati. In queste condizioni, non era possibile garantire in
modo inequivocabile la fedeltà di legame tra quark adiacenti:
vagavano liberi, pur essendo globalmente legati l’uno all’altro. La
scoperta di questo stato della materia, una sorta di calderone di
quark, è stata annunciata nel 2002 da un team di fisici dei
Brookhaven National Laboratories di Long Island, nello Stato di New
York.
In base a convincenti argomenti teorici, si ritiene che un episodio
accaduto durante i primi istanti di vita dell’Universo, probabilmente
durante una delle separazioni tra le forze, abbia causato una lieve
ma decisiva asimmetria tra il numero di particelle di materia e il
numero di particelle di antimateria: all’incirca una parte su un
miliardo. Questa piccola discrepanza passava quasi inosservata in
mezzo alla continua produzione, annichilazione e riproduzione di
quark e antiquark, elettroni e antielettroni (meglio noti come
positroni), neutrini e antineutrini. L’intruso avrebbe avuto moltissime
opportunità di annichilarsi, così come tutti gli altri.
Ma non per molto. Continuando a espandersi e raffreddarsi, il
cosmo era diventato più grande del nostro sistema solare e la
temperatura era scesa al di sotto dei 1000 miliardi di gradi Kelvin.
*
È trascorso un milionesimo di secondo dall’inizio.
*
Questo Universo tiepido non era più abbastanza denso e caldo
per poter continuare a cuocere la zuppa: i quark dunque scelsero dei
compagni di danza, formando una nuova famiglia di particelle
pesanti chiamate adroni (dal greco adros, che significa duro, forte).
La transizione da quark a adroni diede origine a protoni, neutroni e
anche ad altre particelle pesanti meno familiari, tutte composte da
varie combinazioni di quark. In Svizzera (tornando qui sulla Terra) il
CERN
1utilizza un grande acceleratore per far collidere fasci di adroni
nel tentativo di ricreare tali condizioni estreme. Questa macchina, tra
le più grandi al mondo, è giustamente chiamata Large Hadron
Collider (grande collisore di adroni).
La lieve asimmetria materia-antimateria presente nella zuppa di
quark e leptoni si è ora trasferita agli adroni, ma con conseguenze
straordinarie.
Con il progressivo raffreddamento dell’Universo, l’energia
disponibile per la creazione spontanea di coppie di particelle diminuì.
Durante l’era adronica i fotoni non potevano più invocare la formula
E = mc2 per creare coppie quark-antiquark. E non solo. I fotoni che
emergevano da tutte le restanti annichilazioni cedevano energia
all’Universo in continua espansione, scendendo sotto la soglia
necessaria a produrre coppie adrone-antiadrone. Per ogni miliardo di
annichilazioni, che lasciavano in eredità un miliardo di fotoni,
sopravviveva un singolo adrone. Questi lupi solitari si presero tutto il
divertimento, fornendo la materia di base per galassie, stelle, pianeti
e petunie.
Senza la discrepanza al livello di uno su un miliardo tra materia e
antimateria, tutta la massa nell’Universo si sarebbe autoannichilata,
dando origine a un cosmo fatto di fotoni e nient’altro: decisamente
uno scenario da “E luce fu.
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