Angeli all’inferno – Josh Lanyon

SINTESI DEL LIBRO:
Che cosa terribile» disse Jonesy per la terza volta.
Matt annuì. Era una cosa terribile. Distolse lo sguardo dal
gruppetto di giornalisti che fumavano e parlavano accanto a delle
statue in pietra di tigri ringhianti dai denti a sciabola, e ritornò sul
cadavere attaccaticcio e sporco di fango che in quel momento
fissava il fotografo della polizia.
Chiunque avesse abbandonato il morto aveva confidato nel fatto
che il corpo sarebbe affondato nella melma nera dei Brea Pits, e
quando in estate la canicola surriscaldava e ammorbidiva il bitume,
poteva succedere. Ma era dicembre, mancava poco più di una
settimana a Natale, e aveva piovuto senza sosta per due giorni. Non
c'era speranza. Il corpo era rimasto in posizione prona nell'acqua
piovana, che nascondeva lo strato infido di bitume sottostante,
finché i paleontologi del museo che eseguivano degli scavi per la
ricerca di fossili avevano fatto il macabro ritrovamento nelle prime
ore del mattino.
«Sembra piuttosto familiare» affermò Jonesy in tono cupo,
mentre i capelli impiastricciati e gli occhi intrisi di acqua della vittima
venivano illuminati dal chiarore dei flash per un istante.
Matt represse una risata. «Ah, sì? Dev'essere perché è morto.»
Jonesy gli lanciò un'occhiata di rimprovero: anche se dopo
trentatré anni nella Squadra Omicidi aveva avuto la sua bella fetta di
cadaveri, Matt aveva visto più morti violente e distruzione nel corso
dei sette mesi trascorsi nel Pacifico di quanti ne avesse visti lui negli
undici anni di servizio.
«Non è stato ancora identificato?»
«No. Hanno tagliato via persino l'etichetta della giacca. Non c'è
traccia né del cappello, né delle scarpe.»
Matt rifletté. Rimanere in ammollo in acqua e bitume non aveva
giovato agli abiti di N.N., e si poteva sperare di ottenere qualcosa da
una perizia solo quando fossero stati asciutti. Era difficile stimare
quanto avrebbero ricavato, ma quel completo non sembrava
vecchio, e neppure consunto, e aveva quel tipo di taglio che ne
rendeva evidente il valore persino nelle peggiori condizioni, come
quelle.
Dal cerchio di statue dove i giornalisti e qualche fotografo
attendevano con impazienza si levarono delle risate. Matt li
conosceva quasi tutti: Williams del Daily News, Mackey del Times,
Cohen del Mirror e Tara Renee dell'Examiner. Non riconobbe solo
l'uomo di corporatura snella che stava accendendo a Tara una
sigaretta. La mano scura e sottile proteggeva la fiamma
dell'accendino dalla brezza umida, e il volto magro e abbronzato si
aprì in un sorriso, mentre Tara flirtava con lui. Tara flirtava con tutti,
ma era un ottimo segugio.
«Chi è quello?» chiese Matt a Jonesy, che si distrasse dai
disegni meticolosi della scena del crimine per seguire lo sguardo di
Matt.
«È Doyle dell'Herald. Ho sentito che era con l'Ottava Armata in
Nordafrica finché non ha subito un avvelenamento da piombo.»
Jonesy esibì il solito sorrisino sghembo: «Colpito da una
mitragliatrice in Tunisia».
«Sì, be', di quelli ne capitano tanti.» Ma Matt ne era suo
malgrado attratto. «Quindi è inglese?»
«Ma no, è di queste parti.»
«Il medico è arrivato, tenente» avvertì uno degli agenti in
uniforme, mentre l'ambulanza della polizia si fermava con un
sobbalzo sul ciglio erboso.
Matt rispose con un cenno e fece poi segno anche ai fotografi:
«Di' loro che voglio vedere la signorina Renee e...». Si soffermò a
pensare. «Doyle.»
Si
rivolse di nuovo a Jonesy, che lo guardava con
disapprovazione.
«E quello per cosa sarebbe?» Conosceva Jonesy da molto
tempo: era stato il collega di suo padre, a quel tempo un uomo alto e
ossuto, con una massa di capelli rossi e la faccia piena di lentiggini,
mentre ora i capelli erano grigi, e le lentiggini erano sfumate in un
colorito brunastro, anche se rimaneva uno dei migliori detective in
attività. Talvolta Matt temeva che Jonesy fosse un detective fin
troppo bravo.
«Quella signora è un vulcano. Non capisco perché una donna
vorrebbe andare in pattuglia.»
«Magari è stufa delle feste in giardino e della moda femminile.»
Osservò l'unità che si avvicinava ai giornalisti. Sentì le proteste
degli uomini del Daily News, del Times e del Mirror. Vide
l'espressione sorpresa di Doyle per la convocazione: questi colse
dietro l'agente lo sguardo di Matt, che lo tenne fisso per un momento
per poi tornare ad annotare altri dettagli della scena del crimine sul
taccuino. Dalle tracce degli pneumatici sembrava che chi aveva
abbandonato N.N. nel pantano avesse guidato il più vicino possibile
al bordo dell'acqua, mantenendo un margine di sicurezza. Il che
poteva avere un senso, oppure no.
Con la coda dell'occhio Matt vide Tara e Doyle giungere verso di
lui attraverso l'erba fradicia. I tacchi di Tara affondavano nel fango, e
Doyle le appoggiò con cavalleria una mano sotto il gomito, mentre
Matt sogghignava beffardo. O Tara aveva delle mire su Doyle,
oppure credeva di poter ottenere qualcosa da lui. Chiunque altro si
sarebbe ritrovato con il braccio azzannato.
«Non sembra che sia annegato» stava dicendo Jonesy.
«Non è annegato» rispose Matt.
L'ambulanza della polizia si fermò e parcheggiò nelle erbacce e
nel fango. Al di là del campo e in mezzo agli alberi Matt scorgeva le
torri di trivellazione del petrolio che con lentezza si abbassavano e
rialzavano verso il cielo plumbeo.
Matt udì Tara esclamare: «Che puzza!» e l'altro giornalista,
Doyle, replicare: «Bitume». Aveva la voce bassa, e Matt carpì la
risposta solo perché era intento ad ascoltare.
«Salve, tenente» disse Tara, e Matt si voltò a guardarla. «A cosa
dobbiamo questo onore?» Tara era una ragazza molto carina, con i
capelli neri, lucenti, e gli occhi scuri e luminosi, le guance rosee e la
lingua un po' troppo lunga e mordace. Ma chissà perché a Matt non
piaceva zittirla, forse gli ricordava vagamente Rachel.
«Signorina Renee» esordì in tono solenne. Dette un'occhiata al
suo collega. «Lei è Doyle dell'Herald Tribune?»
«Esatto.» Doyle era smilzo, di altezza media, e indossava un
impermeabile color kaki. Da quello che Matt riusciva a vedere sotto il
berretto di lana, i capelli erano biondissimi, schiariti dal sole. Aveva
quel residuo di abbronzatura tipico di chi trascorre molto tempo sotto
il sole cocente, ma la carnagione era olivastra; gli occhi erano di un
colore chiaro indefinito tra l'azzurro e il grigio, e brillavano in maniera
incredibile. Studiava Matt con curiosità.
«Abbiamo un piccolo problema» annunciò Matt a Tara. «Pensavo
che potessi essere di aiuto.» Lei lo guardò con aria impertinente e
interrogativa, e Matt si scansò in modo che riuscissero a vedere N.N.
«Uno di voi lo riconosce?»
Stava osservando Doyle. Non perché si aspettasse che questi
riconoscesse il morto – riteneva che fosse tornato in città da troppo
poco tempo per essere utile in questo frangente – era solo curioso.
Doyle guardò il cadavere con la stanca indifferenza di un uomo che
ha visto troppe morti, e improvvisamente si irrigidì. Restò immobile,
con gli occhi sbarrati, all'apparenza dimentico di respirare.
Accanto a lui, Tara sussultò, e Matt si voltò d'istinto a guardarla,
colto dal pensiero che la vista di un uomo annegato subito dopo
colazione fosse troppo anche per lei. «Phil Arlen» mormorò la
donna. Alzò gli occhi scuri. «Quello è Philip Arlen.»
Jonesy fischiò sottovoce.
Matt chiese: «Il figlio di Benedict Arlen?».
«Ne sono certa.»
Matt udì l'eco di quelle parole diffondersi nel mormorio dei
presenti. Benedict Arlen apparteneva a una dinastia di petrolieri.
Si voltò a guardare Doyle, che nel frattempo si era ripreso.
Rispose al suo sguardo e concordò in tono piatto: «È Arlen».
«Lo conosceva?»
«Andavo a scuola con Bob, suo fratello. Robert Arlen.»
«Vecchi compagni di scuola» replicò Matt, asciutto. «Alle
superiori o al college?»
«Loyola High School e Loyola University.»
Cattolico, pensò Matt. Formato dai gesuiti. Non che la cosa gli
importasse. Si era sempre disinteressato della religione, anche
prima della guerra, ed era fermamente convinto che a quel punto il
mondo dovesse avere imparato qualcosa sull'odio.
Il
medico legale si unì al quartetto. Doc Mason era uno
spilungone avvolto in un impermeabile nero. Come al solito, fumava
la pipa, il profumo piacevole e familiare che veniva trasportato dalla
brezza carica di pioggia e che mascherava altri odori, meno
gradevoli. «Va bene se mi metto al lavoro, tenente?»
«È tutto suo» disse Matt. «La scena del crimine è stata
contaminata nel momento in cui i professori lo hanno tirato fuori dalla
brodaglia.»
Doyle lo stava osservando con quel suo sguardo luminoso e
vigile.
«Che colpo!» gridò Tara. «E io che credevo che fosse una
settimana scarsa, per le notizie.»
«Quando ha visto Phil Arlen per l'ultima volta?» domandò Matt a
Doyle.
Quest'ultimo scrollò le spalle. «È passato un po' di tempo.»
«Nathan è a casa solo da un paio di settimane» gli venne in aiuto
Tara. «Era corrispondente di guerra in Nordafrica ed è rimasto ferito
a Médenine.» Pronunciò la frase come se Doyle fosse una specie di
eroe. Sì, le interessava proprio.
Al tempo stesso Matt percepiva l'imbarazzo del giornalista e la
sua volontà di zittirla. Poteva avvisarlo di risparmiarsi la fatica.
«Deve averne viste parecchie, laggiù» gli chiese con empatia.
«Così sembra» rispose lui laconico.
«Il tenente Spain era a Guadalcanal» aggiunse Tara con
ostinazione. «Si è preso due pallottole nella gamba.»
«Ora prevedo pioggia.» Matt protese una mano, mentre un
gocciolone gli cadeva sul naso, e Doyle rise. Aveva una risata
serena e piuttosto virile. Matt si ritrovò a sorridergli, anche se non
aveva dimenticato la violenta emozione che il corpo di Phil Arlen gli
aveva provocato. Poteva ovviamente essere stato il colpo dovuto al
fatto che un N.N. si fosse rivelato una persona a lui nota. Ma se lo
aveva riconosciuto all'istante, impregnato di acqua e macchiato di
fango e bitume, doveva averlo visto abbastanza di recente.
«Ha trovato dei bossoli?» chiese Doyle, mentre osservava il
medico legale. Anche Tara si avvicinò al corpo.
«Lei ha un'ottima vista» commentò Matt. E ora Doyle aveva
attirato anche l'attenzione di Jonesy.
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