Esodo. Storia del nuovo millennio  – Domenico Quirico

SINTESI DEL LIBRO:

Parti intere del mondo si svuotano, di uomini, di rumori, di vita. Percorro
squarci sterminati di Africa e di Medio Oriente e scorgo soltanto deserti e
sterpaglie. La sabbia che ricopre le strade e ne cancella il ricordo. La foresta
che vince la battaglia con le pieghe dei campi (perché coltivare ancora una
terra che non dà nulla, sfinita dalle siccità, dalla mancanza di concimi, dalla
esiguità delle sementi?), e inghiotte lentamente edifici e capanne.
Il villaggio di A... è vuoto. Tutti sono partiti, i pochi rimasti, i vecchi,
qualche donna, chi ha avuto paura, si raggruppano, si rannicchiano in rari
luoghi. Non li senti più gridare. Unici rumori, quelli della guerra: camion
carichi di soldati bambini o gendarmi, jihadisti sui pick-up con le loro
lugubri bandiere.
Quando giro per le strade silenziose ed entro nelle case, le cui porte
aperte non respingono né invitano alcuno, non sono solo. Nelle stanze l’aria
è ancora piena del calore della gente che vi ha abitato, anche gli oggetti non
si sono ancora staccati dai loro possessori: le maniglie serbano l’impronta
delle mani, gli sguardi delle donne aderiscono ancora alle stoviglie, gli
armadi custodiscono abiti e masserizie, l’odore delle ore volgari e di quelle
solenni. Le cose si staccano dalle persone più difficilmente che le persone da
loro; e quando una persona è già morta da un pezzo le rimangono a lungo
aggrappate.
Qui, soltanto gli esseri umani sono usciti dalle case, la guerra li ha
scacciati, hanno potuto prendere con loro soltanto quello che erano in grado
di portare a braccia, e ogni camera narra lo strazio della scelta. Una balla di
biancheria lasciata lì. Vestiti tolti dall’armadio e poi ributtati dentro.
Intanto altri luoghi del mondo, febbrilmente, si riempiono: file di uomini
sbarcano da navi che sono già relitti o cercano di sfondare muri
improvvisati, camminano, scalano montagne, hanno mappe che sono
messaggi di parenti o amici che già vivono nel paradiso.
È la Grande Migrazione. Forse cambierà il mondo, ma quando ce ne
accorgeremo sarà già in noi. Sarà già in noi il popolo nuovo.
Nella storia pigra, avariata, nauseabonda del nostro tempo, inconcepibile
ormai senza di loro, i migranti hanno introdotto una cadenza accelerata, un
ansimare sostenuto, un respiro superbo, come anche un veleno profetico la
cui virulenza non ha smesso di sconcertarci. Chi può di fronte a loro
rimanere neutrale?
Ciascuno di loro è un caso, non una massa come ci ostiniamo a
convertirli. E se per certi aspetti ormai li conosciamo, ci resta da fare ancora
un lungo cammino per giungere all’interno dei loro enigmi.
Abbiamo passato vent’anni a fantasticare di come sarebbe stato il terzo
millennio: le invenzioni, i robot, le malattie sconfitte, Marte colonizzato
come se fosse un’isoletta esotica, la democrazia planetaria, la fine della
Storia, l’arte... con una sorta di infatuazione infantile, come quando i ragazzi
fanno progetti per il tempo in cui saranno grandi. Ed eccolo, invece, il terzo
millennio, è arrivato come forse mai nessun secolo arrivò così pieno di
avvenire.
All’inizio, c’erano uomini angustiati che non accadesse più nulla, che
tutto fosse compiuto. Ora colonne di esseri umani attraversano a piedi
l’Europa, guadano fiumi, fanno crollare reticolati e muri. Flotte di
imbarcazioni fradicie, zeppe di uomini attraversano il Mediterraneo: nella
leggenda antica Genserico, re dei vandali, signore delle terre di quello che
oggi è il Maghreb, consegnò al mare, lo stesso mare, su vecchie barche
«senza remi e senza vele», i cristiani che gli disobbedivano. Per punizione.
La stessa storia, le stesse acque, lo stesso dolore.
Come accade tutto questo? Guardiamo l’uomo che si orienta in queste
tragedie, guardiamo noi stessi e capiremo.
Ho raccontato molte storie nel mio lavoro di cronista. Ma non avevo mai
raccontato storie di migranti. Di profughi sì, e quanti! Li conosco bene i
profughi poiché conosco, purtroppo, le guerre grandi e piccole,
asimmetriche e molto simmetriche. Poi li ho incontrati, i migranti, la specie
nuova, all’inizio del millennio, di colpo, improvvisamente.
Quando si scrive di loro, è impossibile ignorarne stato civile, mestiere,
geografia. La Grande Migrazione comporta un mutamento obbligatorio di
vita per il cronista, ma anche per il narratore, il sociologo o l’analista, che
devono avventurarsi non più solo con la testa, ma con il corpo. Il mio
incontro con i migranti è avvenuto quando l’esodo non era ancora
ufficialmente iniziato, quando i migranti non erano neppure a parole tali,
poiché sfuggivano alla nostra sensibilità di distratti.

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