Wolf Ranch -Brutale – Renee Rose & Vanessa Vale

SINTESI DEL LIBRO:
I MIEI PENSIERI erano rivolti a una scopata.
La maggior parte dei ragazzi aveva la testa concentrata sulla cavalcata
imminente, sugli otto secondi che dovevano affrontare tenendo il culo in
groppa a un toro infuriato. Io? Io non pensavo con quella testa.
Ero carico e avevo voglia di sfogare quell’energia in eccesso dentro
una figa calda e stretta. E c’erano un sacco di opzioni in giro per l’arena.
«Ehi, campione. Non vedo l’ora di vederti cavalcare,» tubò una delle
groupie mentre mi superava ancheggiando.
«Grazie, stupenda.» Tutto ciò che avrei dovuto fare sarebbe stato
rivolgere un occhiolino a Sherry o Cindy… qualunque fosse il suo nome e
avrei potuto farmi una cavalcata con lei. Con quella minigonna di jeans
che non era altro – sia ringraziato Gesù Cristo – che un cerotto in denim
avvolto attorno alla sua vita e una canottierina bianca che le nascondeva a
malapena le tette sode, sapevo che era disponibile. Quella cavalcata
sarebbe potuta durare più di otto secondi – sarei potuto andare avanti
tutta la notte – ma una volta sceso, come con un toro, non indugiavo. Le
signore sapevano come funzionava. Arrivavo all’orgasmo – ne concedevo
uno o due anche a loro dal momento che ero un gentiluomo – e loro
potevano vantarsi del fatto che si fossero fatte il campione del rodeo. Tutti
se ne uscivano soddisfatti.
Soddisfatti, decisamente. Felici? Non più così tanto. Certo,
Sherry/Cindy era stupenda, ma una scopata con la bellezza di turno non
mi appagava più così tanto.
O meglio, non appagava più il mio lupo. Una sveltina non era ciò che
desideravamo. Magari era l’inizio del delirio da luna piena a parlare, ma la
cosa mi stava dando sui nervi. Il mio cazzo si era fatto… selettivo. Era ciò
che succedeva ai mutanti pronti per l’accoppiamento. Il loro lupo
interiore era alla ricerca di una compagna vera e nessun’altra femmina
sarebbe andata bene. Quello era un bel problema per un ragazzo come me
che pensava solamente a scopare… tutto il tempo.
Il rumore della folla sugli spalti era attutito al livello inferiore
dell’arena. L’odore di popcorn e birra rovesciata non riusciva a coprire il
puzzo degli animali. Il pavimento di cemento era coperto da ciuffi sparsi
di fieno che mi rimanevano attaccati agli stivali robusti, ma non ero diretto
verso le rampe. Non ancora. Essendo in corso il torneo di steer roping,
avevo tempo di fare una visita al mio amico, Abe, prima del mio turno di
bull riding. Svoltai in uno stretto corridoio e mi intrufolai nell’infermeria.
«Coglione, ti sei fatto male alla mano prima ancora di entrare nel ring?
Cosa stavi facendo, una sega?» domandai, togliendomi il cappello mentre
varcavo la soglia.
Dopodichè mi immobilizzai. Mi raggelai. Porca puttana.
Il mio lupo drizzò le orecchie. Annusò l’aria.
Già, Abe era seduto su un tavolo visite con i suoi jeans impolverati e
una camicia coi bottoni a scatto, ma io non stavo guardando lui. Diamine,
avrebbe potuto indossare un completo da danza hawaiana e non me ne
sarei accorto. Fu la donna che gli stava tenendo la mano, sistemandogli il
dito in una specie di tutore di metallo, che mi misi a fissare.
Minuta, formosa e con il culo più seducente che avessi mai visto,
avrebbe potuto farla fare sotto… o far venire un uomo nei pantaloni come
un quindicenne. Il mio lupo si alzò e si lisciò il pelo. Lei mi guardò con
occhi spalancati dietro gli occhiali. Cazzo, non avevo avuto idea di avere
un debole per gli occhiali. Le donne che mi facevo di solito erano alte e
sinuose, con tette sode che mi strabordavano dalle mani. Magari era stato
quello il mio problema, era da lì che era nata la mia selettività. Nessuna di
loro erano state lei.
Ciò, però, non aveva senso. Non ebbi bisogno di inspirare per cogliere
il suo odore. In quella piccola stanza, il dolce aroma di pesche mature mi
travolse come un toro impazzito.
Delizioso. Ma non era l’odore di una lupa.
Lei era umana. Un’umana bellissima e formosa.
Il mio lupo praticamente si mise ad ululare nel vederla. Lunghi capelli
che le ricadevano sulla schiena come una cascata scura. Aveva un viso
rotondo con la pelle pallida come il latte. Le sue labbra piene sarebbero
state incredibili attorno al mio cazzo. E quelle curve. Oh cazzo, sì. Tette
che mi avrebbero riempito le mani alla perfezione, fianchi larghi che
sarebbero stati stupendi da afferrare mentre me la scopavo da dietro. E
quel culo? Già, non potevo non notare quelle meravigliose curve dal
momento che era girata verso Abe, ma mi stava scrutando da sopra una
spalla. Quel culo avrebbe ammortizzato le mie spinte mentre me la
scopavo con forza. Sarebbe stato anche maledettamente stupendo con le
impronte rosee della mia mano sopra.
Il cazzo mi premette contro i jeans dalla voglia di arrivare a lei. Di
entrarle dentro.
«Che diavolo, Boyd?» borbottò Abe. «Mi sono rotto il cazzo di
scusi, signora – dito aiutando Burt ad aggangiare il rimorchio.» Sollevò lo
sguardo sulla donna, mortificato per aver pronunciato un’imprecazione. E
signora? Ma che diavolo? Si stava comportando come un timido scolaretto
alla sua prima cotta.
Oh cazzo, no. Abe non le avrebbe messo le mani addosso. Lui era
umano e un tipo a posto, ma in ogni caso, proprio no, cazzo.
«La dottoressa, qui, me lo sta fasciando così che possa gareggiare.»
Dottoressa? Era una dottoressa? Forse mi ero aspettato un tizio con
un camice bianco e dei pantaloni stirati color cachi, non un bel pezzo di
donna come lei. Un bel pezzo di donna intelligente. Probabilmente era
più furba lei di quanto non lo sarei mai stato io. Tutto ciò che sapevo era
che era mia.
Lei avvolse con destrezza un qualche bendaggio bianco attorno al dito
nel tutore di Abe e a quello accanto, assicurandoli assieme, poi tagliò la
striscia. Aveva avuto fortuna a non ferirsi la mano che usava per tenere la
corda, così da poter gareggiare.
«Cosa farà più tardi? Pensa che potrei offrirle una tazza di caffè in
segno di ringraziamento?» Con Abe seduto sul tavolo per le visite, si
trovavano alla stessa altezza. Tutto ciò che avrebbe dovuto fare era
sporgersi e sarebbe stato in grado di baciarla. Lei lo scrutò ed io provai
l’istinto di ringhiare per poi staccargli la testa a morsi.
«Non sarò in grado di concentrarmi senza conoscere la sua risposta.»
«Concentrati meno su di me e più su quel toro che devi cavalcare.»
Abe sogghignò, quel sorriso un’arma risaputamente letale per le
mutandine delle donne.
Io mi lanciai in avanti, mi tolsi il cappello e allungai una mano. «Ciao,
mi chiamo Boyd.»
Lei mi lanciò un’occhiata, poi tornò al proprio lavoro. Le sue mani
guantate avvolsero un’ultima fascia attorno alle dita di Abe. «Ciao, Boyd.
Scusami – ho le mani occupate.»
Azzurri. I suoi occhi erano azzurri dietro quegli occhiali da secchiona
che dicevano “scopami”.
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