Vertigo – Monica Lombardi

SINTESI DEL LIBRO:
Maceiò non era Rio de Janeiro, non era neanche San Paolo. Era la capitale
dello stato dell’Alagoas, dove la gente viveva di agricoltura o lavorando coi
pochi turisti che arrivavano. Era considerata una città tranquilla, rispetto a
quelle grandi metropoli.
Per lei, tuttavia, era la fogna del mondo.
Anche a Maceiò i poveri abitavano nelle favelas, più piccole di quelle di
Rio che aveva visto in televisione ma forse per questo ancora più squallide,
ancora più senza speranza.
Così era stata la sua vita dopo la morte di suo padre, cinque anni prima:
senza speranza. Per sua madre era stato uno shock trovarsi a mantenere due
figli da sola; aveva presto deciso che appoggiarsi ad altri uomini era più
facile di trovarsi un lavoro che sembrava introvabile. Si erano avvicendati
in tanti nel suo letto, presenze quasi impalpabili, fantasmi nella notte.
Finché lui non aveva preso con prepotenza un posto che non gli spettava, in
mezzo a quel che restava della loro famiglia.
Lui si chiamava Benito Juárez: alto, grosso, manesco, puzzava di sudore e
di alcool. Ad Alejandra venivano i conati di vomito al solo passargli vicino,
davvero non sapeva immaginarsi come sua madre tollerasse di dividere il
letto con lui dopo aver trascorso anni con un uomo gentile come suo padre.
All’inizio c’era stato solo lo schifo, la repulsione per quella presenza
indesiderata nella catapecchia che chiamavano casa. Poi erano cominciati i
problemi. Sua madre era spesso fuori, passava ore via da casa per tornare
poi con qualche spicciolo e qualcosa da mangiare. Alejandra aveva avuto
paura per sé, temeva che lui potesse mostrare interesse nei suoi confronti: a
quindici anni non era più una bambina, sapeva che cosa gli uomini
volevano dalle donne e coglieva gli sguardi lascivi che lui lanciava al suo
seno acerbo. Ma Benito si teneva alla larga da lei, quasi i suoi occhi
avessero il potere di trafiggerlo come, con il pensiero, desiderava fare.
Era suo fratello Xavier che aveva avuto la peggio, in quella convivenza
che non avevano voluto. Xavier aveva sei anni ed era l’unico raggio di sole
che riuscisse a oltrepassare le grevi nubi del suo cielo. Era argento vivo:
parlava sempre, a voce più alta del necessario, e quando non parlava
correva, giocava, saltava, urtava i mobili riciclati e rovesciava le poche
suppellettili nelle due misere stanze in cui vivevano. Benito non lo
sopportava. Erano arrivati al punto che calci e manrovesci volavano senza
motivo, anche solo quando se lo vedeva passare davanti. Xavier piangeva in
silenzio, riusciva a stare buono per un paio d’ore, poi la sua natura
esuberante tornava ad avere la meglio e tutto ricominciava da capo.
Quando sua madre tornava a casa, non chiedeva mai il motivo dei lividi,
sembrava non vederli neppure. Forse aveva cominciato a bere anche lei, per
sopportare il lento sprofondare nel baratro ormai inarrestabile.
Di notte, sul giaciglio che dividevano in cucina, Alejandra cullava il suo
piccolo ometto, gli raccontava storie e gli cantava canzoni, a voce bassa in
modo che solo lui potesse sentire. Erano i loro momenti di pace, i momenti
in cui potevano cercare di dimenticare che, nell’altra stanza, c’erano due
adulti che Ale avrebbe preferito veder scomparire dalla faccia della terra,
anche se uno dei due era sua madre.
«Mi puoi fare da mamma un po’ anche tu, vero Ale?»
Le si stringeva il cuore quando Xavier parlava così ma ne era anche
orgogliosa. Riuscivano a darsi tutto l’amore di cui avevano bisogno, loro
due. Con quel corpicino innocente tra le braccia, Alejandra poteva illudersi
di essere felice e sognare di potere, un giorno, fuggire altrove.
L’avrebbe fatto, con Xavier, non appena avesse racimolato denaro
sufficiente a pagarsi un autobus che li portasse lontano da quella città.
Non ne ebbe il tempo.
***
Quel giorno Alejandra era andata al porto, dove aveva comprato per pochi
Real l’ultimo pescato invenduto. Aveva lasciato Xavier a giocare a calcio
con gli altri bambini, nello spiazzo sterrato in mezzo alle case. Quando
rientrando non vide nessuno non si allarmò, a volte mollavano il pallone per
mettersi a giocare a nascondino, e il labirinto di stradine della favela
diventava un immenso parco giochi a loro completa disposizione.
Poi la vicina le venne incontro con passo affrettato e la sua espressione
angosciata le rivelò che era successo qualcosa di brutto.
La sua vita si schiantò in poche frasi.
Un lamento straziante le risuonò nelle orecchie, solo il bruciore in gola le
rivelò che si levava, irriconoscibile, da lei. Cadde in ginocchio sul nudo
terreno, poi sempre più giù, stringendosi le ginocchia con le braccia, un
bozzolo umano che anelava un abbraccio che non ci sarebbe più stato e
trovava solo se stessa da stringere. Vuoto, vuoto, un enorme vuoto dentro,
senza respiro come se qualcuno le avesse strappato i polmoni. Delle mani
cercarono di sciogliere la posizione fetale in cui si era aggrovigliata ma lei
fece resistenza, le dita affondate nella carne come artigli. Dolore.
Lasciatemi! avrebbe voluto gridare. Forse lo gridò davvero.
Xavier non c’era più, il suo mondo non c’era più. Finito. Sola sul terreno
duro, accompagnata dai suoni con i quali cercava di annebbiare un dolore
che sembrava strapparle il corpo a pezzi. Morte, morte anche per lei. Non
voleva rimanere da sola qui.
«Alejandra!»
La voce di sua madre. Solo quella poteva riuscire a oltrepassare il muro
della sua desolazione. Desiderò con tutta se stessa di potersi aggrappare a
quella voce ma, quando aprì gli occhi, la trovò in piedi accanto alla sagoma
alta dell’assassino di suo fratello. L’illusione di avere qualcuno con cui
poter piangere la straziante perdita svanì e sua madre tornò a essere una
nemica.
«È stato un terribile incidente.» Lo disse con gli occhi rigati di pianto.
Anche la vicina aveva detto lo stesso ma Alejandra sapeva bene
com’erano andate le cose. Troppo volte aveva visto Xavier sbattuto a terra o
contro i mobili dalle mani violente di quell’essere che non meritava di
essere chiamato uomo.
Avrebbe voluto sputare sulle lacrime della madre ma trovò a malapena la
forza di alzarsi. Quando sua madre fece un passo nella sua direzione
indietreggiò. Era complice anche lei di quel delitto: non aveva visto, non
aveva voluto vedere, e ora il suo Xavier, il suo piccolo grande tesoro non
c’era più.
Alejandra si voltò e prese ad allontanarsi da loro, facendosi largo tra i
vicini che erano accorsi numerosi quando li avevano visti tornare. Il suo
nome venne ripetuto più e più volte ma lei lo ignorò continuando a
camminare, sempre più svelta. Non avrebbe più potuto guardare in faccia
sua madre e non avrebbe più potuto trovarsi di fronte quella bestia che le
stava accanto senza cercare di ucciderlo.
Ma non poteva farlo a mani nude.
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