Una stanza piena di sogni – Ruta Sepetys

SINTESI DEL LIBRO:
Mia madre è una prostituta. Non una di quelle volgari, che battono il
marciapiede. In realtà lei è piuttosto carina, abbastanza raffinata e ha dei bei
vestiti. Ma va a letto con gli uomini in cambio di soldi o regali e, stando a
quel che dice il vocabolario, ciò fa di lei una prostituta.
Cominciò a lavorare nel 1940, quando io avevo otto anni e ci
trasferimmo da Detroit a New Orleans. Prendemmo un taxi e andammo dritti
dalla stazione a un albergo di lusso in St Charles Avenue. Mia madre
conobbe un tizio di Tuscaloosa nella hall, mentre beveva un drink. Mi
presentò come sua nipote e gli raccontò che mi stava portando da sua sorella.
Continuava a farmi l'occhiolino e mi sussurrò che mi avrebbe comprato una
bambola se le avessi retto il gioco e l'avessi aspettata. Quella notte dormii da
sola nella hall, sognando la mia bambola nuova. La mattina seguente mia
madre prese una bella stanza tutta per noi, con finestre grandi e piccole
saponette rotonde che profumavano di limone. Dall'uomo di Tuscaloosa
ricevette una scatoletta di velluto verde con dentro un filo di perle.
«Josie, questa città ci tratterà proprio bene», disse mia madre mentre, a
seno nudo davanti allo specchio, ammirava le sue perle nuove.
Il giorno seguente arrivò all'hotel un autista dalla pelle scura che si
chiamava Cokie. Mia madre aveva ricevuto un invito per fare visita a una
persona importante nel Quartiere Francese. Mi fece fare un bagno e insistette
che indossassi un bel vestito. Mi sistemò persino un nastro fra i capelli.
Sembravo sciocca, ma non le dissi niente. Mi limitai a sorridere e ad annuire.
«Ascolta, Josie, tu non devi aprire bocca. Speravo tanto che Willie mi
invitasse, e non è proprio il caso che tu rovini tutto con la tua cocciutaggine.
Non parlare, a meno che non ti rivolgano la parola. E, per l'amor del cielo,
non cominciare a canticchiare come al solito. Mi vengono i brividi quando fai
così. Se farai la brava, ti comprerò qualcosa di veramente speciale.»
«Come una bambola?» dissi, sperando di rinfrescarle la memoria.
«Certo, tesoro, ti piacerebbe una bambola?» mi chiese mentre finiva di
passarsi il rossetto e lanciava un bacio nell'aria davanti allo specchio.
Io e Cokie andammo subito d'accordo. Lui guidava un vecchio taxi
verniciato di grigio fumo. Se lo si guardava da vicino, si vedeva ancora
l'ombra della scritta TAXI sulla portiera. Mi diede un paio di caramelle al
burro di arachidi Mary Jane e mi fece l'occhiolino, come a dire: “Tieni duro,
ragazzina”. Mentre ci accompagnava da Willie sul suo taxi, Cokie
fischiettava dalle fessure tra i denti. Io lo accompagnavo canticchiando,
sperando che la melassa della Mary Jane mi cavasse fuori un dente. Era la
seconda sera che passavamo a New Orleans.
Ci fermammo in Conti Street. «Cos'è questo posto?» chiesi allungando il
collo per guardare l'edificio giallino con i balconi in ferro battuto nero.
«Qui è dove abita lei», rispose Cokie. «Willie Woodley.»
«Lei? Ma Willie è un nome da uomo», ribattei.
«Smettila, Josie. Willie è un nome di donna. Adesso taci!» intervenne
mia madre dandomi uno schiaffo sulla coscia. Si lisciò il vestito e giocherellò
con una ciocca di capelli. «Non pensavo che sarei stata così nervosa»,
borbottò.
«Perché sei nervosa?» le chiesi.
Mi prese per una mano e mi strattonò su per il vialetto. Cokie mi salutò
toccandosi il cappello. Gli sorrisi e agitai la mano in risposta. Le tendine della
finestra si mossero e dietro si intravide una sagoma in ombra illuminata dal
chiarore ambrato della stanza. Prima ancora che arrivassimo alla porta, questa
si aprì.
«E tu devi essere Louise», disse una donna a mia madre.
Una brunetta con un abito da sera di velluto si appoggiò alla porta.
Aveva dei bei capelli, ma le unghie delle mani erano mordicchiate e
consumate. Solo le donne volgari hanno le unghie rovinate. Lo avevo
imparato a Detroit.
«Lei ti sta aspettando in salotto, Louise», aggiunse la brunetta.
Un lungo tappeto rosso correva dalla porta d'ingresso a una ripida
scalinata, arrampicandosi poi su ogni gradino. Era una casa opulenta e
pacchiana, con broccati verde scuro e lampade dai cristalli neri appesi a
paralumi fiocamente illuminati. Quadri di donne nude dai capezzoli rosa
decoravano le pareti dell'ingresso. Il fumo di sigaretta si mescolava all'odore
stantio di acqua di rose. Passammo in mezzo a un gruppetto di ragazze che mi
accarezzarono la testa chiamandomi «dolcezza» e «bambolina». Mi ricordo di
aver pensato che avevano le labbra colorate come se qualcuno ci avesse
spalmato sopra del sangue. Entrammo nel salotto.
Per prima vidi la sua mano, pallida e con le vene in rilievo, appoggiata
sul bracciolo di una poltrona imbottita. Le sue unghie, di un rosso brillante
come semi di melagrana, sarebbero riuscite a far scoppiare un palloncino con
un rapido guizzo. Grappoli d'oro e di diamanti ornavano quasi ogni dito. Mia
madre trattenne il fiato.
Mi avvicinai alla mano, fissandola, e girai intorno allo schienale della
poltrona dirigendomi alla finestra. Tacchi neri spuntavano da una gonna di
stoffa rigida dal taglio elegante. Sentii che il nastro nei capelli mi scivolava
da un lato.
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