Una donna normale – Roberto Costantini

SINTESI DEL LIBRO:
Il giovane arabo sullo schermo del PC era visibilmente agitato. La
voce femminile invece era calmissima. Gli parlava nella sua stessa
lingua, per metterlo più a suo agio.
«Allora, Kebab, hai portato a Tripoli qualcosa per conto di Omar?»
Kebab non era il suo vero nome, ovviamente. Durante quelle
comunicazioni, che erano intercettabili nonostante la linea criptata, si
usavano sempre nomi in codice.
«Sì, signora. Una busta. Dovevo portarla sul volo da Roma via
Tunisi.»
«L’hai aperta?»
«Non ho potuto, signora. Era sigillata.»
Kebab fece una pausa, come se attendesse un rimprovero. Ma lei
non disse nulla.
«Ho dovuto fare così, signora.»
«Certo, capisco. Continua, Kebab.»
«Omar me l’ha data all’aeroporto appena prima dei controlli. Mi ha
detto di andare alla toilette appena salivo in aereo, lasciarla lì e
sedermi subito al mio posto.»
«Quindi non sai cosa c’era dentro.»
«No. Ma ho provato un po’ a tastarla. Era leggera ma non si
piegava del tutto, come se non contenesse solo dei fogli. Forse
anche un piccolo quaderno.»
Ci fu una breve pausa, urla giocose di adolescenti. Per fortuna le
regole di sicurezza proteggevano la sua privacy: lei vedeva Kebab,
ma lui non poteva vederla. Il che le consentiva anche la tuta sudata
dopo il tapis roulant e la crocchia dei capelli tenuta su col mollettone.
La donna pose la domanda successiva con tono leggero.
«Hai visto chi ha preso il pacchetto sull’aereo?»
«No. La toilette era vicina alle prime file, il mio posto era in fondo.
Ma cosa sono queste risate?»
Menti solo se è indispensabile. Le bugie portano guai, meglio le
omissioni.
«Ragazzini che giocano.»
«È in un parco, signora? Non piove, lì da lei?»
Quando non puoi o non vuoi dire la verità, cambia discorso.
«Kebab, mi avevi già parlato di Omar e della busta nel nostro
ultimo colloquio prima di Natale. Perché non hai aspettato
l’appuntamento di fine gennaio ma hai voluto parlarmi oggi?»
Il volto del giovane arabo si rabbuiò.
«Due giorni fa, in moschea, ho incontrato di nuovo Omar. Mi ha
ringraziato per aver consegnato la busta. Poi ha detto che voleva
vedere le armi. Sa, quelle che gli avevo detto di aver rubato con il
furto all’armeria, quelle che mi avete...»
Lei lo bloccò subito.
Non parlare mai di cose pericolose se già le conosci.
«Perché voleva vederle?»
Lui capì di aver sbagliato. «Mi scusi, signora. Sono un po’
agitato.»
«Tranquillo, Kebab. Continua.»
«Siamo andati a casa mia. Gli ho mostrato le tre pistole e il mitra
e Omar mi ha chiesto se sono capace di usarle. Gli ho raccontato
che ho combattuto contro Gheddafi, gli ho fatto vedere le foto a
Misurata.»
«Bravo. Poi?»
«Abbiamo fumato la shisha, io ci ho aggiunto l’hashish come lei
mi ha suggerito...»
«Basta che lo usi solo per lavoro, Kebab. Fa male al cervello.»
«Certo, signora, solo per farlo sciogliere, io non ho neanche
aspirato. Dopo un bel po’ di fumo, Omar ha detto che le mie armi e
la mia esperienza potevano servire. Vuole presentarmi i suoi amici,
che di armi ne hanno già parecchie. Dice che possiamo fare una
cosa insieme.»
A quel punto il giovane arabo si azzittì. Si portò alle labbra una
sigaretta e la accese. La donna che lo osservava sullo schermo a
centinaia di chilometri di distanza notò che gli tremava la mano.
Lei invece aveva fretta, come sempre. Era domenica e aveva
incombenze personali e familiari. Doveva ancora farsi la doccia, un
salto al supermercato, preparare il pranzo per il marito e i figli. Non
poteva cucinare per loro negli altri giorni e nemmeno la sera, a
causa del lavoro, ma aveva difeso quel rito domenicale con tutta sé
stessa. E si rifiutava di agire come alcune sue conoscenti, che
compravano teglie di lasagne e arrosti per poi spacciarli come propri.
Si trattenne dall’incalzare il giovane arabo, sarebbe stato poco
razionale. Era stato lui a chiedere l’incontro urgente: si trattava
solamente di attendere. Infatti, dopo due o tre boccate di sigaretta,
lui riprese spontaneamente il racconto.
«Forse Omar voleva stupirmi con un grande segreto. Era strafatto
e mi ha detto che c’è un ragazzino che sta per arrivare da Tripoli e
che...»
Lei avvertì immediatamente la piccola accelerazione del proprio
cuore e lo interruppe. «Ha detto walad saghir?»
Di nuovo si udirono risate in sottofondo, ma questa volta il
giovane arabo le ignorò.
«No, signora. Ha detto little boy, in inglese.»
Lei trattenne il fiato e fu enormemente sollevata dal fatto che
Kebab non potesse vederla. Quando parlò, per la prima volta la
propria voce le suonò un po’ troppo impaziente.
«Kebab, sei sicuro che abbia detto proprio così?»
L’arabo aggrottò la fronte. Ormai faceva quel lavoro da qualche
anno e conosceva bene quella donna. Non l’aveva mai sentita
apprensiva, era sempre calmissima.
«Sì, sono sicuro. Ha detto che il little boy partirà su uno dei
barconi e arriverà in Sicilia, poi raggiungerà gli amici al Nord per fare
un colpo grosso.»
«Colpo grosso?»
«Anche quello lo ha detto in inglese: big bang.»
Kebab spense la sigaretta e subito se ne accese un’altra.
«Per questo ho pensato di avvertirla subito, altrimenti non avrei
mai disturbato di domenica.»
La donna fece un altro respiro profondo per eliminare l’ansia dalla
voce.
Non devi mai spaventare chi ha già motivo di esserlo, impara dai
bravi medici.
«Hai fatto benissimo, Kebab. Forse Omar è solo uno sbruffone.
Quando partirebbe questo little boy secondo il tuo amico?»
«Ha detto che partirà non prima di domenica prossima, ma che
noi dobbiamo organizzarci per accoglierlo e fargli trovare ciò che
serve per il big bang.»
«Come sei rimasto con Omar?»
«Vuole che domattina io prenda il treno che arriva alle nove a
Piacenza. Mi aspetterà nel parcheggio dietro la stazione. E dovrei
portare con me la borsa con le armi.»
«E poi?»
«Poi lui mi porterebbe in macchina dai suoi amici. Non mi ha
voluto dire dove.»
La donna capì che il ragazzo era pieno di dubbi e non era affatto
tranquillo. Si chiese se fosse giusto rassicurarlo. Poi concluse che
nel suo lavoro, nel loro lavoro, l’aggettivo giusto andava sostituito
con opportuno.
«Hai ancora l’orologio che ti ho regalato, quello identico al tuo,
vero?»
«Sì.»
«Mettilo al posto del tuo. Così noi da qui saremo in quella
macchina con te. Tutto chiaro?»
Kebab tacque un istante, poi per la prima volta parlò in italiano.
«Mi sono sposato un anno fa. Ho una moglie incinta a Misurata,
signora. Nel caso mi accadesse qualcosa vorrei...»
Lasciò la frase in sospeso. Forse sperava che lei lo esentasse da
ciò che evidentemente non voleva fare. La donna vide nella propria
mente la ragazza col pancione che lo aspettava. Ma subito
l’immagine fu sostituita da quella di little boy con uno zainetto in
mezzo a un gruppo di adolescenti che ridevano.
«Non aver paura, Kebab. Ci siamo noi a proteggerti.»
La donna interruppe la comunicazione. Non si sentiva né felice,
né orgogliosa, né tranquilla. Solo efficiente. Per lei, che viveva la
fede quasi come una ribellione al razionalismo assoluto con cui era
stata allevata, c’era qualcosa di profondamente giusto e di
profondamente ingiusto in ciò che aveva appena fatto.
Una delle tante questioni irrisolte con mio padre. Ma il mio lavoro
è uno solo: proteggere chi vive in questo Paese.
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