Svuota il carrello – Il marketing spiegato benissimo – Gianluca Diegoli

SINTESI DEL LIBRO:
Il mio barista non sospetta di nulla. Pensa che io sia un avventore
qualsiasi. Non che abbia gusti particolari: sono un cliente medio,
anzi sotto la media in quanto a complessità di richieste e varietà di
opzioni di acquisto rispetto al tipico italiano al bar. Non sa che io, più
che annusare il profumo della sua arabica o saggiare la consistenza
della schiuma del cappuccino, vengo qua (anche) per prendere
appunti.
Il bar è il luogo da cui voglio iniziare questo viaggio, perché se c’è
un posto che accomuna i percorsi di acquisto giornalieri di gran parte
degli italiani, è proprio questo. Pensavate vi portassi subito al centro
commerciale? Sbagliato. Si stima che il fatturato del settore della
tazzina (dati FIPE) si aggiri attorno ai 6 miliardi di euro all’anno: ogni
singolo bar in Italia, in media, serve circa 200 tra caffè e cappuccini
al giorno.
La tazzina di caffè è l’incarnazione di ciò che nel marketing si
definisce prodotto civetta: qualcosa che ti attrae per il suo prezzo o
per la necessità di essere acquistato, ma che finisce poi per essere
l’esca di ulteriori acquisti, solitamente non pianificati. Non che il
margine sia basso, sui caffè. In questo caso, il prodotto civetta è
perfetto: attira persone e fa pure guadagnare, dato che il prezzo è
legato a quanto è trendy il posto in cui viene servito più che alla
qualità della miscela di arabica impiegata.
La tazzina trasforma dunque – dal punto di vista del marketer – un
punto vendita in un sistema ottimale per fare cross-selling e
upselling. Detto in parole povere, cross-selling significa venderti
qualcosa che non volevi comprare ma che apparentemente si
abbina o adatta perfettamente al resto dei tuoi acquisti. Upselling
invece è un inglesismo per convincerti che quell’altro prodotto, così
simile a quello che avevi messo nel mirino, ha qualcosa di superiore,
che vale ampiamente quel piccolo sovrapprezzo. Insomma, si tratta
di venderti qualcosa che costa di più di quello che avresti voluto
comprare. Entrambi sono strumenti che vengono inseriti nella
cassetta degli attrezzi del marketer fin da piccolo: stanno
all’aspirante marketer come la paletta e il secchiello al bambino sulla
spiaggia.
Fare upselling significa spesso predisporre una varietà di prodotti
con vantaggi rispetto al prodotto base, venderli a un prezzo
significativamente più alto (+50%, per esempio): il colpo da maestro
è poi produrli con le stesse quantità e qualità di materie prime.
Se Starbucks è la versione “industriale” di questo fenomeno – il
frappuccino! – anche il bar di quartiere può dire la sua: ricordo una
mattina in cui mia madre chiese un “Monte Bianco”. La guardai come
se avesse chiesto un sushi in panetteria. Lei mi squadrò come se la
stima nei miei confronti (il figlio che aveva visto il mondo, o
quantomeno Milano, quello che era fuggito dalla provincia per poi
approdare alla Bocconi tra lo stupore dei compaesani) fosse
improvvisamente crollata: «Un Monte Bianco, davvero non sai
cos’è?».
Pensavo di saperlo, allora, anche se non capivo perché ordinasse
a quell’ora e al bancone del bar un supercalorico dolce di castagne e
panna montata. E infatti mi sbagliavo, perché esiste anche un
(ricercato) Monte Bianco da caffetteria. C’è da dire che mia madre
(scusa mamma) è al tempo stesso la maledizione dei baristi e la
manna del marketing: il marketing finge di essere ingannato da lei e
lei finge di essere ingannata dal marketing, in una spirale in cui non
si sa più chi inganna chi.
Il Monte Bianco è il tipico prodotto per fare upselling: sfrutta la
suggestione visiva per vendere qualcosa dal costo esattamente
uguale alla tazzina standard, ma dal prezzo raddoppiato. Il
consumatore sgamato lo sospetta, ma ciononostante non resiste alla
tentazione. Altri invece credono davvero che il valore sia tale da
giustificare quel piccolo aumento di prezzo. Poi c’è mia madre che
gode nel veder trafficare il barista. E il barista che gode nel far
pagare un sovrapprezzo a mia madre.
Nel frattempo, per chi stesse morendo di curiosità, traggo da un
sito per baristi (e hobbisti, immagino):
Il Monte Bianco, il gustoso espresso con la sola aggiunta della schiuma ma senza
la parte liquida del latte, è la ricetta che fa per voi. Servito in un bicchierino di vetro
per enfatizzare il contrasto cromatico tra il nero del caffè e il bianco soffice della
panna, il Monte Bianco è perfetto per concedersi una pausa golosa al bar o per un
coup de théâtre tra amici.
In questo caso anche il packaging fa la sua parte. Il bicchierino di
vetro, assolutamente inutile dal punto di vista gustativo, consente
invece di ammirare quegli strati che tanto ci attraggono. A dirla tutta
è metapackaging: il packaging che per fare bene il suo lavoro deve
scomparire. A ogni modo, il livello dell’upsell diventa veramente da
professionista con le varianti, spesso offerte gratuitamente (ma non
sempre). Proseguo, sempre dal sito:
Perché accontentarsi della dolcezza della panna quando possiamo aggiungere
anche le nocciole? Arrivati all’ultimo passaggio della preparazione vi consigliamo
di prendere delle nocciole sbriciolate molto finemente e adagiare i pezzettini sulla
cima di questa “dolce” montagna. Come seconda opzione, vi consigliamo di
prendere un po’ di polvere di caffè e coprire leggermente la panna.
Aumentare la quantità di prodotto – dal costo insignificante – per
migliorare l’appetibilità è tipico del marketing. La dicitura «Ora con il
30% in più di prodotto!» è talmente abusata sugli scaffali (tra
dentifrici, marmellate, bibite) da essere quasi ormai una parodia di
se stessa. Il problema, o il vantaggio in base ai punti di vista, è che
nonostante tutto funziona. Il consumatore (tu, io, mia madre) non ha
idea di quanto poco influisca la materia prima sul prezzo finale (in cui
i
costi di distribuzione e promozione costituiscono la maggior parte)
e quindi considera quella piccola aggiunta di prodotto davvero
vantaggiosa. Ci dovremo aspettare flaconi sempre più grandi,
quindi? No, perché lo spazio sullo scaffale costa. Ma questa è
un’altra faccenda, non divaghiamo. Torniamo al barista e alle sue
piccole e grandi tattiche per tirare avanti.
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