Spiral -Monica Lombardi

SINTESI DEL LIBRO:
Ariel Levy lasciò l’aeroporto a bordo dell’auto che aveva
noleggiato. Noleggiare un’auto era sempre una buona idea, se si
voleva sparire. Nessuno avrebbe potuto sapere, fino all’ultimo, quale
sarebbe stato il veicolo assegnato. Anche così, Ariel guidò per
mezz’ora per le strade trafficate di Tel Aviv, assicurandosi di non
essere seguito. Lasciò il centro puntando a est, e solo una volta
arrivato sulla Ayalon prese verso nord, in direzione di Netanya, che
poi oltrepassò proseguendo verso Hadera.
Era ormai buio quando raggiunse il punto in cui avrebbe dovuto
lasciare la statale, ma proseguì oltre fino al piccolo centro
successivo. Si fermò, lasciò che le auto dietro di lui lo superassero,
aspettò qualche minuto per essere sicuro che nessuna di esse
tornasse indietro, quindi fece dietrofront e ripercorse gli ultimi
chilometri tornando verso sud. Solo allora svoltò in una strada senza
indicazioni, che sembrava perdersi senza una meta precisa tra i
campi coltivati lungo la costa. Il kibbutz dove era diretto era gestito
da tre famiglie, tra cui quella del giovane militare che suo padre
aveva salvato, durante la sua ultima missione. Un legame forte,
indissolubile ma, vista la natura cooperativa dei kibbutz, non
facilmente riconducibile ai Levy.
Le luci degli edifici furono visibili solo dopo la prima svolta della
strada, il cui asfalto era talmente trascurato da sembrare una
sterrata sotto alle modeste sospensioni dell’utilitaria che stava
guidando. Ma l’intento era proprio quello: attirare l’attenzione su
quella stradina il meno possibile. Quando rientrava per periodi più
lunghi, e il suo volo non veniva deciso all’ultimo momento, capitava
che qualcuno venisse a prenderlo. Ma quella sera Ariel Levy aveva
scelto di proposito di arrivare senza annunciarsi. Per istinto, più che
per un preciso ragionamento. Chi pensava che un esperto
informatico non usasse l’istinto si sbagliava di grosso. Nel suo
lavoro, poi, l’istinto era ciò che lo teneva vivo, e a volte teneva vivi
anche gli altri con lui.
Gli altri. Gli era pesato non essere più specifico con GD, ma non
voleva creare falsi allarmismi finché non avesse avuto più dati a
disposizione. In più, in quel momento il Team era sparpagliato: Buck
e Jet erano appena rientrati da una missione che li aveva fatti stare
tutti con il fiato sospeso: un piano studiato nei minimi dettagli, ma Jet
era stato nelle mani del nemico per quasi dodici ore, e anche nei
piani ben studiati le cose potevano andare meravigliosamente a
puttane in un battito di ciglia.
Meravigliosamente a puttane. Quell’espressione sarebbe piaciuta
un sacco a Jet, pensò Dig sorridendo. Jet che era al sicuro, ora,
Ariel avrebbe rimandato la partenza se non fosse stato così. Erano
tutti al sicuro.
Tutti tranne forse Deborah.
Arrivò nello spiazzo di fronte all’edificio principale, l’unico
illuminato. Parcheggiò l’auto, prese il piccolo bagaglio che aveva
lasciato sul sedile posteriore e scese. Non aveva voglia di entrare,
ma sapeva di dover giustificare la presenza di quell’auto. Bussò e gli
aprì la madre di Nathaniel. La salutò, le fornì una spiegazione breve
e concisa e promise di passare a salutare tutti la mattina dopo.
Quindi si diresse verso il granaio. Che non veniva più usato come
tale da anni, da quando ne era stato costruito uno più grande e
moderno. Quello vecchio era stato ristrutturato e adibito a uso
abitativo, con due appartamenti diversi, uno al piano terra e uno al
piano superiore, il suo rifugio solitario in cui nessun altro metteva
mai piede.
Posò il borsone sulle scale che avrebbe fatto di lì a poco per
entrare in casa e bussò alla porta accanto, da cui si accedeva
all’appartamento sotto al suo. Le persiane di legno erano chiuse e
nessuna luce filtrava all’esterno ma, dopo i suoi colpi, una piccola
lampada si accese sopra alla sua testa. Voltò il viso verso la
minuscola telecamera seminascosta dallo stipite alla sua destra, e
subito arrivò il rumore dello scatto elettronico della serratura.
Spinse il pesante pannello di legno rinforzato ed entrò nella
piccola, sgombra anticamera, quindi procedette lungo il corto
corridoio, verso l’unica stanza illuminata.
Vide lo schermo del computer, aperto su un quotidiano locale,
appena nascosto dalla sagoma dell’uomo che si stava girando.
«Ciao papà.»
Ogni volta che rientrava a casa, Aaron Levy lo fissava come se
non si aspettasse di trovarselo di fronte. Ariel si chiese, non per la
prima volta, se suo padre pensasse che lui sarebbe, prima o poi,
semplicemente sparito dalla sua vita. Un pensiero molto simile a
quello che Ariel aveva spesso avuto nei suoi confronti da bambino.
La mano destra di Aaron si mosse sotto al bracciolo e la sedia a
rotelle continuò a ruotare verso di lui con un lieve stridio sul
pavimento. Nella stessa missione in cui aveva salvato la vita di
Nathaniel, suo padre aveva perso l’uso delle gambe. Quella era
stata solo la prima ripercussione di quel giorno che aveva cambiato
per sempre la loro vita.
«Figliolo. Non sapevo del tuo arrivo.»
Voce grave, quella di suo padre, a cui bastava aumentare di pochi
decibel per diventare tonante, eppure Ariel non l’aveva mai temuta,
neanche da bambino.
«Non lo sapeva nessuno.»
«Qualche problema?»
«Non lo so ancora» rispose, avvicinandosi. «Deb non risponde alle
mie mail. Si è fatta vedere da queste parti?»
Il padre scosse la testa, corrucciando la fronte sotto ai corti capelli
scuri. A dispetto della sua incapacità di tenere insieme una famiglia
e di dedicarsi ai figli come altri padri facevano, c’era sempre stato un
angolo speciale per Deborah, nel cuore di Aaron. Anche se aveva
sempre fatto fatica a dimostrarlo.
Inutile chiedergli se si fossero scritti o sentiti. Con lui non
esistevano contatti se non faccia a faccia, quando Ariel tornava a
casa o le rare volte che Deborah riusciva a venire a trovarlo. Ne
andava della sua sicurezza. I due fratelli, gli abitanti del kibbutz e un
paio di altre persone erano gli unici a sapere che era ancora vivo.
Per tutti gli altri era morto sei anni prima, quando i suoi nemici
avevano cercato di eliminare lui e la sua squadra.
Qualcuno avrebbe potuto dire che la vita era stata crudele con
Aaron Levy. In realtà, a cinquantacinque anni, non avrebbe dovuto
essere sul campo, durante quell’ultima missione. Ma aveva voluto
esserci, e forse quel Dio severo in cui entrambi credevano aveva
voluto fermarlo, rallentarlo, una volta per tutte. Fermare l’uomo che
sembrava inarrestabile. Prima però gli aveva consentito di salvare
una vita, come a dare un senso a tutto quanto avesse fatto fino a
quel momento.
«Come stai?» gli domandò Ariel, fermandosi a un paio di passi
dalla carrozzella per non torreggiargli di fronte. Era difficile non
potersi più alzare in piedi, per uno come lui.
«Al solito.»
Aaron odiava non essere più un uomo attivo, ma ancora di più
odiava doversi nascondere. Ariel sapeva che, prima o poi, suo padre
avrebbe fatto qualcosa per abbandonare quello che lui considerava
un nascondiglio. Se non l’aveva fatto fino a quel momento, forse era
solo perché temeva che i suoi nemici, se avessero saputo che era
ancora vivo, avrebbero cercato di usare i suoi figli per arrivare a lui.
«Vado di sopra. Ci vediamo domani mattina.»
Si sentì un po’ in colpa per quella veloce ritirata. Ma Aaron Levy
non era tipo da chiacchiere davanti al camino – se anche avesse
avuto un camino.
L’aria nel suo appartamento era soffocante. Ariel spalancò tutte le
finestre, lasciando le luci spente, posò la borsa ai piedi del letto,
quindi uscì di nuovo, troppo inquieto per rinchiudersi tra quattro
mura.
Imboccò il sentiero che puntava dritto verso la costa, lasciando il
frutteto alla sua destra. La luna era uno spicchio elegante, che
forniva riverbero appena sufficiente a riconoscere lo sterrato chiaro
tra i più soffici e scuri strati erbosi. Si fermò poco più avanti, alla
roccia dove il sentiero faceva una curva e cominciava la dolce
discesa che portava alla spiaggia. Era uno spazio aperto e,
sedendosi reclinato un po’ all’indietro, i gomiti appoggiati alla
superficie ruvida e ancora tiepida, poteva godersi il cielo nero
puntellato di stelle. In città gli mancavano, le stellate. Gli era sempre
piaciuto osservare il cielo di notte. Da ragazzino aveva studiato le
costellazioni, quelle sopra il cielo di Israele non avevano segreti, per
lui, in nessuna stagione.
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