Sherlock, Lupin & Io – L’enigma dell’uomo con il cilindro – Irene Adler

SINTESI DEL LIBRO:
La nostra memoria funziona davvero in uno strano modo. Ci sono ricordi che
s’inabissano per sempre e, per quanto ci si sforzi di rievocarli, non torneranno
mai a galla. Altri che invece sono fin troppo vividi, e aspettano solo un attimo
di distrazione per coglierci con la guardia abbassata e aggredirci con il loro
carico di rimpianto e di tristezza.
Sherlock Holmes una volta mi disse che la memoria è un enorme archivio
polveroso: una sorta di labirinto fatto di scaffali e schedari, con migliaia e
migliaia di cassetti chiusi. Tuttavia, secondo lui, con metodo e disciplina è
possibile ritrovare i cassetti che contengono dettagli lontani e informazioni
apparentemente insignificanti.
«È tutta una questione di controllo: i ricordi ci appartengono e possiamo
sempre ritrovarli, quando lo desideriamo» mi spiegò quel giorno. Ho sempre
pensato che Sherlock fosse un genio, ma che in questo caso non avesse
considerato un aspetto fondamentale. L’idea del controllo è illusoria. Ci sono
momenti in cui il turbinio degli eventi mette a soqquadro il nostro ordinato
archivio. E all’improvviso tutti i cassetti si spalancano senza il nostro
permesso, e i ricordi prendono il volo, in un’accozzaglia di sensazioni, odori,
sapori, immagini, pensieri, dubbi…
In questa estate del 1940, mentre sorseggio un caffè sulla graziosa terrazza
del mio appartamento in affitto a Capri, i venti di guerra infuriano e
travolgono anche l’archivio dei miei ricordi, scuotendolo dalle fondamenta.
In questi momenti, anche la mia padrona di casa smette di lanciarmi le sue
solite occhiate sospettose, e mi porta un dolcetto alle mandorle o una fetta di
pane cosparsa di marmellata di limoni. Io la ringrazio, sapendo che non
capirà una parola di quello che dico, e lei mi risponde nella sua lingua,
incomprensibile a me quanto la mia a lei.
Questi semplici e profumati generi di conforto aprono i cassetti che
contengono certi ricordi, che mi piaccia o meno. E allora ci rivedo tutti
insieme: io, Sherlock Holmes, Arsène Lupin e ovviamente Irene, la mia
madre adottiva. Noi quattro, a Briony Lodge, che beviamo il tè servito da
Billy Gutsby, il nostro impareggiabile domestico. Come una bizzarra famiglia
più o meno felice. Noi quattro in giro per il mondo, a cercare di risolvere un
nuovo misterioso caso.
Un giorno Lupin mi confidò che tutto ciò che aveva vissuto insieme a
Sherlock e Irene quando erano ragazzi era stato, secondo lui, un modo con
cui il destino voleva prepararli alle sfide che li avrebbero attesi cinquant’anni
dopo. Le sfide che avrebbero dovuto affrontare insieme a me, a partire da
quel maledetto viaggio a Danzica.
Ancora oggi, a molti anni di distanza, mi capita di vedere il volto di mia
sorella Asia nei suoi ultimi istanti di vita. Vedo i suoi capelli, appiccicati alla
fronte come fili di paglia, e gli occhi, un tempo luminosi e fieri, spalancati sul
vuoto. Vedo la chiave e il bigliettino misterioso, che lei aveva protetto a costo
della sua stessa vita. E vedo il suo sorriso, l’ultimo che mi ha regalato, perché
era certa che ci avrei pensato io a riparare i torti e a impedire nuove tragedie.
Perché presto sarebbe accaduto qualcosa in grado di cambiare per sempre il
mondo intero, spalancando la porta a inimmaginabili orrori. Eravamo rimasti
impigliati nelle maglie della storia, come mi aveva spiegato Arsène quel
giorno lontano, e gli unici in grado di modificare il corso degli eventi
eravamo proprio noi.
Briony Lodge, la grande casa di Serpentine Avenue in cui ci eravamo
trasferiti da qualche settimana, era immersa come sempre nel silenzio.
C’erano troppe cose non dette che aleggiavano su di noi come fantasmi,
ovattando l’atmosfera e facendoci camminare tutti in punta di piedi per non
rischiare di incappare l’uno nell’altro ed essere costretti a scambiare qualche
frase di cortesia. Dopo un primo momento in cui avevo cercato di lasciarmi
tutto alle spalle, facendo pace con Irene e convincendo Sherlock a restare con
noi, il peso della morte di Asia era tornato a tormentarmi, avvolgendomi
come un tetro manto che mi isolava dal resto del mondo.
Perdendo lei, avevo perduto il mio passato. Chi ero realmente? Qual era il
mio destino? Io, che non avevo nemmeno tredici anni ed ero stata separata
per sempre da una famiglia di cui non avrei mai dovuto parlare. Io, che ero
nata a Gatchina, in Russia, figlia segreta dello zar Nicola II, che mi aveva
permesso di vivere nella residenza di campagna e di ricevere una buona
educazione, a patto che non mi mostrassi mai a lui e al resto della famiglia
reale. Io, che avevo avuto, anche se per breve tempo, una sorella che aveva
scoperto la mia esistenza e mi aveva amata incondizionatamente: Anastasia
Nikolaevna Romanova. Asia, la mia sestra.
Durante la rivoluzione la famiglia reale era stata trucidata dagli insorti.
Mio padre e i miei fratellastri erano tutti morti. Tutti tranne lei. E Irene, che
mi aveva adottata quando mio padre mi aveva mandata in America, aiutato
dal suo fedelissimo amico, il Conte G., aveva ricevuto l’incarico di salvarla
dai nemici che ancora le davano la caccia.
Ma non ci era riuscita.
Nemmeno con l’aiuto di Sherlock Holmes e Arsène Lupin.
Noi eravamo ancora vivi, al sicuro in Inghilterra a sorseggiare tè con i
biscotti, protetti dalle mura di quella casa di Londra e da una rete di
conoscenze che ci avevano tolto dai guai in più di un’occasione. Ma
Anastasia non c’era più. Per me, che ero cresciuta con il mito di Irene Adler,
indomita spia, Sherlock Holmes, geniale detective, e Arsène Lupin,
inafferrabile ladro gentiluomo, era stato come vedere svanire tutti i miei sogni
di bambina. Avevo creduto che fossero invincibili, che nessuna impresa fosse
troppo difficile per loro, ma mi sbagliavo, e quella semplice constatazione
stava scavando un buco profondo nella mia anima.– Signorina Adler, la colazione è pronta e i signori vi stanno aspettando
nel salotto – disse Billy Gutsby comparendo con un sorriso smagliante sulla
porta della biblioteca, la stanza della casa in cui preferivo passare le mie
giornate, dalla mattina appena alzata alla sera tardi, immersa in storie che
potessero aiutarmi a dimenticare almeno per qualche ora ciò che era
accaduto.
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