Senza Dio – Giulio Giorello

SINTESI DEL LIBRO:
«Se dovesse incontrare quel tipo, stia alla larga dalla teologia.»
«È un argomento che raramente sollevo.»
Nicholas Blake
Mi ricordo quando viaggiavo, per studio o per lavoro, nelle sei contee
dell'Ulster controllate dall'esercito britannico: la cosiddetta Irlanda del
nord. Non pochi intellettuali, anche sofisticati, ritenevano che le
truppe
della Corona fossero là a «mantenere la pace», sedando un conflitto
di
matrice essenzialmente religiosa – impressione spesso corroborata
da vari
giornali, radio e televisioni che, in Inghilterra e altrove, parlavano di
secolare «faida» tra «cattolici» e «protestanti».
Mi trovai a chiedere ospitalità per la notte presso una famiglia di
campagna. Stavo già sistemando il bagaglio, ed ecco la domanda:
«Cattolico o protestante?» Per trarmi d'impiccio, risposi: «Ateo». Un
attimo di silenzio perplesso, poi un'altra domanda: «Sì, ma ateo
cattolico o
ateo protestante?»
Ciò mi fa ripensare a una lettura dei tempi di scuola, la raccolta di
saggi
di Bertrand Russell intitolata Perché non sono cristiano (la prima
traduzione italiana, presso Longanesi, è del 1959). Allora appariva
un testo
trasgressivo, peggio di Lolita di Nabokov. Lo era almeno per me, che
avevo come insegnante di religione (al liceo Berchet di Milano)
nientemeno che Don Luigi Giussani,1 il quale sarebbe diventato
fondatore
e anima di CL, ovvero il movimento cattolico di Comunione e
Liberazione. Difficile fargli accettare che un suo «allievo» potesse
preferire Sir Bertrand a uno qualunque dei quattro Vangeli canonici.
Mi
colpivano, di Russell, l'argomento e il tono. «Trovo strano», scriveva
quel
filosofo e logico matematico nella Prefazione, «poter pensare che
una
divinità onnipotente, innocente e benevola abbia preparato il mondo,
da
nebulose senza vita, in tanti milioni di anni, per ritenersi soddisfatta
dell'apparizione finale di Hitler, di Stalin e della bomba H.» Aveva
scritto
quelle righe nel 1957; non tanto per prendersela col Signore quanto
per
non dimenticare le responsabilità degli uomini.
Ma persino dei papi si sono chiesti dove fosse Dio al tempo di
Auschwitz. Già, dove? In qualche piega remota dello spazio-tempo
einsteiniano, troppo lontano per vedere i dettagli della sua creazione
e
comprensibilmente disgustato dagli spettacoli offerti dall'incubo che
chiamiamo storia? O al pub, autore pentito, a bere per dimenticare?
Non
1 A lui devo comunque una notevole influenza nell'essere diventato
ateo.
sappiamo, dice l' agnostico. Piuttosto, non c'era, perché non c'è e
non c'è
mai stato, ribatte l 'ateo. «Cattolico» o «protestante» che sia.
Il libro di Russell è una raccolta di saggi di diversa data, ma legati da
un
coerente filo rosso. Include anche la trascrizione del dibattito con
padre
H.C. Copleston, S.J. (sta per Societatis Jesus), trasmesso dalla BBC
nel
1948. Nelle prime battute il gesuita chiedeva se anche il filosofo, a
prescindere dalle particolari tesi che avrebbe sostenuto, fosse
convinto che
«il problema di Dio era sempre della massima importanza»
strappando
un mezzo assenso a Russell. Mi chiedo cosa avrei detto io, se mi
fossi
trovato (indegnamente) nei panni di Sir Bertrand. Mi viene
spontaneo
«No: di scarso interesse». Allora, perché questo libro? Dopotutto,
qualsiasi
padre Copleston potrebbe obiettarmi che un ateo dovrebbe essere
particolarmente coinvolto con Dio, dal momento che si prende la
briga di
negarlo.
Ma chi o che cosa si vuole negare? In via preliminare accetto la
«definizione» del buon padre, che è il nucleo del cosiddetto teismo:
con la
parola Dio «intendiamo un ente supremo, personale, distinto dal
mondo e
creatore del mondo». Non sarebbe allora più opportuno assumere la
posizione dello stesso Russell: «Non sto dogmaticamente
dichiarando che
non c'è Dio: dico soltanto che noi non lo sappiamo»? È un
atteggiamento
che ha precedenti illustri come quello di Charles Darwin, il teorico
dell'evoluzione per selezione naturale, che dichiarava nell'
Autobiografia di
non volersi imbarcare nelle discussioni di tali «astrusi problemi»,
aggiungendo: «Il mistero del principio dell'universo è insondabile per
noi,
e perciò, per quel che mi riguarda, mi limito a dichiararmi agnostico».
A sua volta, Russell concludeva che «il mondo non ha bisogno di
dogmi», nemmeno di quelli dell'ateismo militante. Ha però bisogno di
«libera ricerca». Se non ci fossero stati i Free-thinkers, cioè i liberi
pensatori, sarebbe stato necessario inventarli. E se guardiamo a
quelle
culture ove più sono affondate in profondità le cosiddette radici
cristiane,
possiamo operare la separazione, come indicava Russell, tra liberi
pensatori «cattolici» e «protestanti»: sia gli uni sia gli altri possono
limitarsi all'agnosticismo o assumere posizioni dichiaratamente
ateistiche.
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