Sherlock, Lupin & Io – Il trio della Dama Nera – Irene Adler

SINTESI DEL LIBRO:
A volte ti guardi allo specchio e non ti riconosci. Il volto che si trova davanti
a te non è il tuo, ma quello di una sconosciuta, una ragazza di quattordici anni
senza nome.
Sapevo di chiamarmi Irene, e sapevo di essere stata adottata. Leopoldo e
Geneviève Adler erano stati due genitori ineccepibili. Lei era morta per colpa
mia, nella sua casa di Parigi, uccisa da un ladro che avevo sfidato con i miei
amici e la mia solita irruenza. Leopoldo, invece, era scomparso, inghiottito
dalla nebbia che mi sembrava ricoprisse tutta quanta l’Inghilterra. Nebbia,
nebbia, niente altro che nebbia.
Nel corso degli ultimi due anni avevo imparato a non fidarmi di nessuno,
con pochissime eccezioni: Leopoldo, da cui ora il destino mi aveva
allontanato per gettarmi, nel modo più brusco che si possa immaginare, in
una nuova parte della mia vita, tra le vecchie mura di questa villa fredda e
magnifica; Orazio Nelson, naturalmente, il nostro infaticabile maggiordomo e
mio fidato amico; e i due ragazzi di poco più grandi me, Arsène Lupin e
Sherlock Holmes.
A questa brevissima lista di persone ne avevo sempre aggiunta una quinta:
me stessa. Ma, come ho scritto all’inizio di quest’ennesima pagina del mio
diario, il volto che vedevo riflesso nello specchio non mi ispirava più alcuna
fiducia.
Era il volto di Irene, quello che osservavo riflesso sulla lastra di vetro? O
era quello di Maria von Hartzenberg? Oh, cielo! Non riuscivo neppure a
pronunciarlo! Come poteva essere il mio vero nome, se le labbra si
intorpidivano ogni volta che provavo a dirlo? Come potevo essere io?
Ci voleva tutta la mia determinazione, la mia cocciutaggine e anche una
certa dose di senso del ridicolo, per accettare quello che mi era accaduto.– Avanti, parla Maria, dimmi che cosa ne pensi di tutta questa folle storia
dissi ad alta voce, quasi sfidando il volto al centro dello specchio. – Tu non
sei Irene, e non fai parte della famiglia Adler. Ma questo lo sapevi già, non è
vero? Dunque non è follia, ma solo quella verità che tante volte hai
invocato…
Sospirai.– E allora, eccola, la verità: la tua vera madre si chiama Sophie. E anche
questo lo sapevi. Alexandra Sophie von Klemnitz. Vi eravate già conosciute,
e piaciute. Poi vi siete detestate, quando Geneviève è morta per colpa… tua –.
Sentii sotto la punta delle dita la superficie gelida dello specchio e ce le
lasciai, come se avessi voluto assorbirlo, quel freddo. Avevo bisogno di tutta
la freddezza del mondo per andare avanti.– Irene era una ragazzina inquieta in cerca di avventure… – continuò il
volto nello specchio. – Una ragazzina che studiava con un precettore, andava
a lezione di canto e, soprattutto, divideva i suoi pomeriggi a Londra con due
persone straordinarie. Due persone che, come Leopoldo e come Orazio,
adesso non sono più al suo fianco…
Sentii salire, prepotenti, le lacrime, ma mi obbligai a lasciarle incatenate
dietro le palpebre. Inspirai a fondo l’aria salmastra e staccai le dita dallo
specchio, posando la mano alla base del collo.– Il mio nome è Maria von Hartzenberg, principessa di Boemia, nascosta
dalla sua vera madre affinché avesse salva la vita. Maria von Hartzenberg è
una principessa e come tale deve essere protetta, perché la sua vita è in
pericolo… La sua e quella di tutte le persone a lei care, dato che alcuni
uomini fedeli all’usurpatore che ora siede sul trono di Boemia la vogliono
uccidere!
Sollevai la mano, gonfiando il petto con un altro respiro profondo che
scacciò definitivamente le lacrime, ma mi lasciò prostrata, come vuota. «E
che la uccidessero, questa Maria» pensavo. «Purché lasciassero libera Irene!»
La pallida fanciulla nello specchio, tuttavia, raccontava tutt’altra storia.
– Che ti piaccia o no questo è il nostro rifugio… Ora siamo qui insieme a
Sophie a Farewell’s Head, una villa a picco sul mare… Lo senti, ora, il mare?
Solo tu, tua madre e il nostro ospite, il gentilissimo Sir Bewel-Tevens, sapete
dove ci troviamo. Farewell’s Head è una località segreta e protetta, da
qualche parte nel nord del Galles. Hai letto il nome del villaggio, di sfuggita,
la notte che ti hanno portato qui: Oakenholt. E l’hai cercato sull’atlante che
Sir Robert teneva tra i volumi della sua libreria…
Stavo recitando quelle parole allo specchio, sperando che potessero portare
un po’ di calma dentro di me. Ma non fu così. Il mio cuore prese a battere più
forte, i pensieri si fecero rapidi e confusi.– Hai ragione… È una pessima libreria, di un legno troppo scuro… E tu
vorresti invece che il signor Orazio fosse qui con te, per farti prestare uno dei
suoi romanzi d’avventura o di paura, che da anni leggete di nascosto da
Leopoldo. E… diamine! – esclamai, quando una lacrima, alla fine, spuntò
sulla mia guancia e cadde giù, ribelle e rabbiosa come il mio animo incapace
di accettare i fatti di quelle ultime settimane, che mi facevano sentire come
uno sciocco burattino nelle mani di uno sconosciuto.
L’asciugai con il dorso delle mani, con un gesto brusco, poi imposi a quel
monologo il finale che desideravo sentire: – E quindi, Irene, ora tu te ne starai
brava brava a far passare i giorni e ad ascoltare il mare che si frange sugli
scogli, a leggere libri noiosi o le voci dell’enciclopedia, fino a quando ti
diranno (chi te lo dirà? Sophie? O il gentilissimo Sir Robert?) che puoi
tornare a casa. A Londra, con Sherlock, Lupin e Orazio, con Leopoldo e i
suoi mille affari, il suo sherry e la sua pipa. Con la gentaglia dei Docks e i
criminali che si nascondono come ratti, con i poliziotti di Scotland Yard e la
gentile signorina Langtry che sostiene che hai talento nel canto, e insomma
tutti quelli che fanno parte della tua vera vita… –. Presi fiato, e mi sforzai di
sorridermi. – Perché è così che andrà, se sarai brava e ubbidiente e se, per
qualche giorno, ti sforzerai di non essere troppo… Irene.
Nell’attimo di silenzio che seguì, udii abbaiare i due bulldog di Sir Robert.
E poi il lontanissimo rumore delle ruote di una carrozza che si avvicinava
lungo il viale.– E ora, per finire, sei pronta a scendere di sotto, come si addice a una vera
principessa? – mi domandai.
Attesi alcuni istanti, prima di scagliare il tacco della mia scarpa nel centro
esatto dello specchio, dove si conficcò in una raggiera di crepe.
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