Pronto a uccidere – Andrew Peterson

SINTESI DEL LIBRO:
Un cigolio insistente destò il pastore Tobias. Non ci voleva
molto per svegliarlo: aveva il sonno leggero. Scostò la zanzariera, si
alzò dal letto e corse alla finestra. Sulla strada sotto di lui una
colonna di quattro camioncini si avvicinava verso il ponte all’ingresso
meridionale della valle; i cassoni sferragliavano sulla strada crivellata
di buche e le luci dei fari ballavano. Gli automezzi affrontarono
l’ultimo tornante e iniziarono ad attraversare il ponte di legno a una
sola corsia. La casetta di Tobias, più simile a una baracca di lamiera,
dominava una delle zone più remote del Nicaragua settentrionale.
Guardò l’orologio: le due. Non erano previsti arrivi in piena notte.
Non prometteva bene; l’aveva già visto capitare altre volte.
Sul lato opposto della valle si accesero delle luci quando altri
udirono la carovana di camioncini. Per la maggior parte i
millecinquecento residenti di Santavilla continuarono a dormire, ma
ben presto la situazione sarebbe cambiata.
Tobias si buttò addosso dei vestiti, prese la torcia elettrica e
iniziò a discendere il sentiero. I camioncini passarono sotto di lui,
diverse centinaia di metri più in basso. Attento a dove metteva i
piedi, accelerò l’andatura. Benché avesse passato i settant’anni,
Tobias si manteneva in ottima forma. Cionondimeno un passo falso
su quel sentiero avrebbe potuto essergli fatale: il versante della
montagna era ripidissimo e creava un precipizio al quale non
sarebbe riuscito a sopravvivere. Regolò il fascio di luce della torcia
per renderlo più ampio.
I camioncini accelerarono e, nel prendere una buca profonda, i
loro cassoni ripresero a cigolare in sequenza. Dal punto in cui si
trovava adesso, Tobias non riusciva a vederli, ma i loro fari
proiettavano ombre inquietanti tra gli alberi. Alla sua destra un
anziano del villaggio uscì dalla propria capanna.
«Pastore Tobias, cosa sta succedendo?»
«Non lo so.»
«Mi vesto e vengo con lei.»
«La ringrazio, ma la prego di restare qui. Andrò io a vedere
cosa succede.»
«Sicuro? A me non cambia nulla.»
«Sono sicuro. Torno subito.»
S’incamminò a passo spedito quando il terreno si fece più
gestibile e, mezzo minuto dopo, attraversò il torrente passando per
la diga di pietre e superò gli ultimi alberi imponenti che gli
bloccavano la visuale.
I
camioncini avevano lasciato la strada sparpagliandosi a
semicerchio tutt’attorno alla minuscola casa di Mateo e la
illuminavano a giorno con i fari. Da ogni vettura scesero due uomini
che da lontano Tobias non riusciva a scorgere nei particolari, ma un
paio di loro indossavano le caratteristiche camicie bianche della
banda criminale del Jefe. Gli altri quattro erano in divisa verde
militare e armati di fucili d’assalto con voluminosi caricatori.
«Aspettate!» gridò.
I malviventi non lo udirono o scelsero d’ignorare il suo ordine.
Sempre più infuriato, Tobias osservò uno di loro aprire la porta della
casa con un calcio e, qualche secondo più tardi, trascinare fuori la
moglie di Mateo. Questi uscì barcollando dietro la donna, con una
mano premuta sul lato della testa. Evidentemente era stato colpito, e
quasi di sicuro con il calcio di un fucile.
Con addosso soltanto una maglietta e la biancheria intima, la
donna non opponeva resistenza mentre la trascinavano sulla ghiaia.
Mateo strillò qualcosa e cercò di liberare la moglie dalla stretta del
suo aguzzino, ma un altro gli ficcò la canna del fucile nello stomaco.
Portandosi le mani al ventre, Mateo si piegò in due e cadde in
ginocchio.
Quasi senza fiato Tobias urlò: «Smettetela!».
Uno di quelli con la camicia bianca – che Tobias riconobbe
come il capo degli sgherri del Jefe – afferrò un megafono
dall’abitacolo del camioncino. Una voce metallica iniziò a
riecheggiare tutt’intorno.
«Abitanti di Santavilla, che questo serva come esempio del
prezzo della slealtà. El Jefe è un uomo generoso e vi paga per il
vostro lavoro. Accumulare non sarà tollerato.»
«Fermatevi!»
Diversi sgherri volsero lo sguardo verso Tobias che si
avvicinava. Il capo fece un segnale con la mano e quelli alzarono i
fucili, ma senza sparare.
Tobias indicò l’uomo con il megafono. «Cosa state facendo? È
un oltraggio! Non potete irrompere in casa della gente, in piena
notte.»
«È molto peggio di così, vecchio.»
Uno dei mercenari in divisa afferrò il pastore Tobias per il
braccio, una morsa ferrea che lo indusse a lasciar cadere la torcia.
Una smorfia di dolore gli apparve in viso: lo sgherro gli stava
facendo volutamente del male.
A quel punto il capo rivolse un cenno ad alcuni suoi uomini.
«Setacciate la casa.»
Due mercenari scomparvero all’interno dell’abitazione e Tobias
udì che la stavano devastando.
«Vi prego» disse Mateo, «mia moglie è tanto malata e ha
bisogno di antidolorifici. Non ho altro denaro. El Jefe ci paga due
soldi, e…»
«Silenzio! Non ascolterò più le tue insolenze.»
Mateo provò ad alzarsi. «Per favore, io…»
Il
mercenario che lo aveva già colpito allo stomaco fece un
passo avanti e gli sferrò un calcio al torace. Mateo si raggomitolò in
posizione fetale.
«Basta!» gridò Tobias.
Dall’interno della casa giunse uno strillo acuto.
«Lasciatela stare!» Tobias si liberò con uno strattone e corse
verso la porta.
Non riuscì a raggiungerla.
Un colpo secco alla nuca gli appannò la vista. Lottando per non
perdere i sensi cadde carponi. Uno dei mercenari lo afferrò per il
polso sinistro e iniziò a tirarlo verso i camioncini, ma Tobias non era
minuto e l’uomo aveva difficoltà a trascinarlo. Un secondo sgherro si
unì al primo e Tobias sentì la spalla sforzarsi fino alla lussazione.
Gridò quando i due uomini lo fecero rialzare con uno strattone, e a
quel punto la camicia bianca fece un passo avanti per assestargli un
ceffone sulla guancia con il dorso della mano.
«Non sono affari tuoi, vecchio. Con le tue sciocche credenze
porti solo dolore e sofferenza. E adesso sei causa del tuo stesso
male.»
Il pastore fu assalito da un attacco di nausea, si piegò in due e
vomitò.
Dall’interno della casa giunse un secondo strillo ancor più acuto
e uno dei malviventi trascinò fuori dalla porta la figlia di Mateo,
Antonia. Poco più che ventenne, anche lei con indosso soltanto
maglietta e biancheria intima, fu spinta a terra accanto al padre.
Mateo riuscì a raddrizzarsi e a mettersi in ginocchio, cingendo
con le braccia la figlia, che gelò il gruppo di mercenari con un
audace sguardo di sfida.
«Per favore, non fate del male alla mia famiglia» implorò Mateo.
L’uomo che aveva trascinato fuori di casa Antonia porse al
capobanda un minuscolo flacone di vetro con un tappo nero. Era
lungo più o meno tre centimetri, per poco più di un centimetro di
diametro, pieno quasi fino all’orlo di scaglie dorate che brillavano alla
luce dei fari.
Prima di alzare di nuovo il megafono, il capo diede una lunga
occhiata alla figlia di Mateo e le sorrise. Lei distolse subito lo
sguardo.
«Tutti conoscono le regole. Tutto l’oro setacciato nelle
domeniche libere dev’essere consegnato al Jefe per essere pagato
in contanti il giorno stesso. Accumularlo non è permesso.»
Tobias sapeva che Mateo era colpevole. Aveva in mente di
usare l’oro come moneta di scambio per acquistare l’oppio per la
moglie malata. In molte zone del Nicaragua l’oro era un regolare
sostituto del denaro. Il motivo per cui Mateo lo custodiva non era
quello di arricchirsi, ma solo di lenire le sofferenze della moglie.
«El Jefe non è spietato» proseguì il capo. «Ha deciso di
risparmiare la vita di quest’uomo, che però dev’essere punito.»
Il mercenario alla sinistra del capo tirò fuori dalla tasca sulla
coscia un paio di cesoie.
Il pastore Tobias ebbe un altro attacco di nausea. «Cosa state
facendo? Fermatevi!
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