Nine – Valentina Facchini

SINTESI DEL LIBRO:
Le cene aziendali avevano il magico potere di farmi sbadigliare
dopo solo dieci minuti dal loro inizio. Era un’agonia per me
presenziare, sorridere ai soci e tentare di essere il più perfetta
possibile. Almeno quella sera era stata organizzata nella nostra
residenza in campagna nel Somerset, ed era molto più semplice
sopportare tutto se in qualsiasi momento potevo sgattaiolare in
camera mia per rilassarmi o guardare una serie TV.
Le aspettative dei miei genitori erano sempre molto alte perché un
giorno avrei dovuto prendere le redini della nostra catena di alberghi,
la Willow Inn. Era per quello che stavo mangiando crostacei dai nomi
improbabili, dentro un tubino nero pieno di Swarovski che non mi
donava affatto. Mi sentivo inadeguata, ma accantonavo il disagio per
non deludere mia madre.
Dopo aver parlato per più di un’ora con uno dei soci più anziani di
mio padre, tentai di mostrarmi occupata guardando il quadro appeso
sopra il cammino del salone. Ritraeva la nostra famiglia, e non potei
non pensare a mio fratello Richard, a quello che si era portato via
volgendoci le spalle. Era più grande di me di due anni e poco dopo
aver compiuto vent’anni se ne era andato senza dire una parola,
nemmeno a me. Mi domandavo spesso dove dormisse, se gli
mancassi.
Un brivido mi percorse la pelle delle braccia e un movimento
catturò la mia attenzione, distogliendomi dai pensieri cupi. Non potei
non sorridere quando mi accorsi chi si stava avvicinando: lui era
l’unico motivo per cui valeva la pena sorbirsi ore di discorsi su
economia e politica.
Christopher Shepard.
Ci conoscevamo sin da piccoli, suo padre era il braccio destro del
mio e non ricordavo un solo evento importante della mia vita nel
quale lui non fosse presente.
Cercai di non mostrarmi colpita dal suo arrivo, ma vederlo fasciato
in un vestito nero elegante che metteva in mostra le sue spalle minò
il mio autocontrollo. Ero sempre ammaliata dal suo portamento fiero,
dai suoi occhi marroni che avevano un so che di malinconico, dai
suoi capelli neri più corti ai lati e con una frangetta che gli
accarezzava gli occhi. Lui non se ne accorgeva, ma quando era
nervoso, la toccava di continuo per sistemarla.
Eravamo sempre stati amici, ma io mi ero presa una cotta
gigantesca per lui. Ce l’avevo da anni. Un giorno io e Caytlin - la mia
migliore amica - eravamo andate a vedere una delle sue partite di
calcio: il campo era bagnato, la sua divisa celeste era piena di fango,
lui aveva il fiato corto per la fatica, e all’improvviso mi ero illuminata.
Mi piaceva.
Ma non avevo compiuto alcun passo, gli ero stata accanto
abbastanza tempo per capire che non ero il suo tipo. No, non ero
una Barbie. Forse potevo somigliare più a una bambola di
porcellana: pelle chiara, corporatura minuta e capelli biondi, quasi
bianchi, che mi arrivavano a metà schiena.
Trattenni il respiro quando avvertii il suo tocco sulla schiena; il mio
vestito di velluto non era una barriera sufficiente e un brivido
percorse il mio corpo.
«Dovresti smettere di pensare a lui, Vic. Ha fatto le sue scelte, è
ora di andare avanti» mi disse quasi scocciato, affiancandosi a me. I
nostri abiti si sfiorarono e lui non accennò a spostare la mano.
Non volevo parlare di mio fratello, rischiando di dire qualcosa di cui
poi mi sarei pentita, così non gli risposi e mi limitai a osservarlo.
«Smettila di isolarti e vai a parlare con qualcuno, prima che tuo
padre si incazzi di nuovo con te» continuò lui.
Poi mi arresi. «Hai ragione, ma ho bisogno di una tregua, ho
parlato due ore con McAdams di suo nipote, non ne posso più».
«Ha raccontato anche a te di quanto è soddisfatto per
Cambridge?» ribatté complice.
«Sì, ha anche affermato che dovrei uscire con lui perché non
posso lascarmi scappare un partito come il suo» dissi quasi ridendo.
«Chissà quando farà coming out…» sussurrò mentre entrambi ci
giravamo a guardare il nonno del nostro compagno di classe. Era un
conservatore e per lui tutto quello che veniva dopo gli anni settanta
era sovversivo.
«Non credo che lo farà mai, a meno che non voglia essere
diseredato» gli risposi triste e mi avvicinai ancora di più al fuoco
acceso nel cammino.
Era una sera di settembre e ancora si stava bene, ma in quel
momento avevo bisogno di calore. Tutti noi avevamo una vita
perfetta, sembrava non mancarci nulla, ma eravamo privi della cosa
più importante: l’appoggio incondizionato della nostra famiglia.
Sapevamo che sarebbe bastato un piccolo errore per dire addio a
tutto. Era ingiusto, ma non potevamo cambiare la situazione, perché
era così che i nostri genitori erano cresciuti e ci stavano educando
nello stesso modo.
«Ti va di andare a fare una passeggiata?» mi domandò
Christopher all’improvviso.
Annuii perché era quello di cui avevo bisogno, avvertivo le pareti
del salone stringersi addosso a me e quasi schiacciarmi. Intrecciò le
nostre dita in una presa salda e mi guidò verso il fondo della sala,
verso il giardino posteriore. Era la parte della casa che preferivo: mia
nonna aveva fatto costruire un labirinto di siepi e da piccola mi
perdevo tra i sentieri e i passaggi. Il profumo delle foglie mi ricordava
un periodo felice, quando ancora eravamo una famiglia completa.
«Tieni, mettiti questa». Christopher si fermò, si tolse la giacca del
vestito e me la appoggiò sulle spalle.
Non ne avevo bisogno, ma era un gesto così carino che non potei
rifiutarlo.
Avvertii una sensazione alla schiena, come se fossi osservata, mi
voltai e vidi il padre di Christopher - Jeremy - appoggiato alla
balaustra, con gli occhi rivolti verso di noi. Lo salutai con la mano e
lui
ricambiò, ma aveva un’espressione strana sul viso. Era
soddisfatto. La stessa cosa non si poteva dire di mia madre che,
avendo capito cosa stavo per fare e con chi, stava mimando un no
con la testa.
«Chris, tu stai bene?» gli domandai quando mi accorsi che aveva
osservato tutta la scena.
«Certo, perché non dovrei? Dai, entriamo nel labirinto, è trascorso
troppo tempo da quando ci sono stato l’ultima volta» mi rispose
tirandomi.
Lo seguii per un po’, confusa dal suo comportamento. Non era
strano per noi il contatto fisico, ma da un paio di settimane era come
se si fosse intensificato. Mi cercava spesso e anche a scuola non
perdeva mai l’occasione per sedersi accanto a me. Da sognatrice a
occhi aperti qual ero, volevo credere che anche lui provasse
qualcosa per me.
Camminammo in silenzio, fianco a fianco, godendo entrambi del
silenzio. Il cielo sopra di noi era scuro, ma ogni tanto si intravedeva
qualche stella oltre le nuvole. L’aria era intrisa di umidità che iniziava
a bagnare le piccole foglie delle siepi. Per un momento, tutti i miei
problemi sembrarono così lontani che mi sentii come un’adolescente
qualsiasi.
«Christopher, hai sbagliato strada. Non dovevi girare a sinistra,
l’uscita è dalla parte opposta» gli feci notare stupita, perché lui
conosceva quel posto quasi quanto me.
«Oh no, so perfettamente dove sto andando» mi rispose mentre
entravamo dentro un sentiero senza uscita. Eravamo circondati da
arbusti alti quasi due metri che ci nascondevano dal mondo.
«Non capisco» ribattei quando si fermò al centro e si piazzò
davanti a me.
Mi accarezzò i capelli, che avevo lasciato lunghi ed erano adornati
da un semplice cerchietto.
«Sei bellissima, lo sai?» mi confessò sicuro, senza mostrare alcun
cenno di timidezza, mentre io sentivo le guance tingersi di rosso.
«Dai, smettila. Sai che non è così». Non era finta modestia,
sapevo di essere a malapena passabile per uno come lui che amava
le ragazze più appariscenti, con le curve al punto giusto. E io non
avevo nulla di tutto ciò.
«Victoria, se solo ti potessi vedere con i miei occhi…».
E poi accadde qualcosa di inimmaginabile.
Le sue labbra si posarono sulle mie. Sbarrai gli occhi per la
sorpresa, non riuscivo a godermi il momento che tanto avevo
sognato senza chiedermi se stesse accadendo davvero. Sentii la
sua lingua invadere la mia bocca e prenderne possesso: Christopher
stava reclamando il mio primo bacio, e io mi sciolsi tra le sua
braccia. Non sapevo cosa fare, le braccia stese lungo i fianchi,
inermi, poi sentii il suo tocco e lui mi spinse verso il suo petto. Non
c’erano più centimetri tra noi, e mi sentivo bene.
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