Misteriosi Lasciti E Oscuri Doni – Giulia Anna Gallo


SINTESI DEL LIBRO:
Riemergo dalla quiete del sonno con il respiro affannato. Spalanco la
bocca in un urlo silenzioso e stringo le lenzuola tra i pugni. La seta mi
accarezza i palmi e mi scivola morbida sotto i polpastrelli. I capelli mi
ricadono sul viso in lunghe ciocche scure e scomposte, coprendo
momentaneamente la vista del pomposo letto a baldacchino.
Con un singhiozzo, mi sforzo di immettere aria nei polmoni.
Va tutto bene, mi ripeto, ma il battito cardiaco impazzito, il sangue che
mi pompa nelle vene a ritmo folle e la persistente sensazione di vuoto
remano contro il tentativo di tranquillizzarmi.
Mi districo dalle coperte attorcigliate alle mie membra e, ancora
seminudo, corro in bagno. Afferro la boccetta di Seroxat posata sul
lavandino e ingoio una pasticca, più per abitudine che per reale necessità.
Sebbene abbia provato ad assumerne diversi, nessun antidepressivo mi è
stato particolarmente d’aiuto finora e l’ultimo arrivato non pare più efficace
dei suoi predecessori. L’effetto placebo mi permette tuttavia di racimolare la
lucidità necessaria a ricorrere a un rimedio più utile, per quanto non
risolutivo.
Innalzo solide barriere mentali e ricostruisco mattone per mattone lo
scudo in grado di mantenere isolate le mie emozioni traditrici. Le imbriglio
senza pietà e le rinchiudo nella loro prigione invisibile, mettendole a tacere
in maniera quasi completa. Piegate, ma non per questo docili, filtrano dalle
crepe della mia armatura il tanto sufficiente a farmi provare ancora qualcosa
di vago e sottile, un sussurro tra i miei pensieri, ma non abbastanza da
mettermi in ginocchio.
Essere in buona parte insensibili e freddi potrebbe sembrare un destino
peggiore del tormento ma, quando si riescono a provare soltanto ansia e
prostrazione, senza l’intercessione nemmeno del più fugace assaggio di
piacere, la prospettiva appare all’improvviso un compromesso assai
conveniente.
Mi appoggio al gelido marmo del lavabo, afferrandolo per sostenermi, e
incontro il mio sguardo allo specchio. Gli occhi azzurri della mamma mi
fissano di rimando, finestre sull’anima colme di una disperazione a stento
tenuta a bada dai trucchi da prestigiatore nei quali so esibirmi. Sono l’unica
caratteristica fisica in mio possesso che la ricordi. Il resto, dalla carnagione
abbronzata ai tratti somatici tipici dell’etnia magrebina, ha il sapore delle
origini di mio padre.
Mi passo una mano sul viso e mi scompiglio barba e baffi, che neanche
oggi ho intenzione di rasare. Inizio ad apparire trascurato, ma non mi
stupisce che dopo più di un decennio la mia maschera di compostezza stia
cominciando a sgretolarsi. Semmai è sorprendente sia durata tanto a lungo.
In ogni caso, pare che i peli facciali siano tornati di moda. Buon per me.
Mi riscuoto e mi scrollo via di dosso le ultime tracce di un risveglio
difficile quanto i precedenti quattromilatrecentonovanta. Torno in camera
da letto e indosso gli abiti preparati per me dal domestico, lasciati
ordinatamente piegati su una delle due poltrone gemelle sistemate di fronte
all’unica finestra della stanza. Il costoso completo blu di Prussia mi
rispecchia quanto gli opulenti appartamenti dalla tappezzeria damascata
sulle tinte del rosso e dell’oro, ossia niente affatto. Ma non ha importanza,
in fondo mi sento un ospite nella mia stessa pelle così come lo sono in
questa casa.
Mi pettino con fare apatico e intreccio i capelli, raccogliendoli alla
maniera in cui era solita acconciarli Zora, circa una vita fa. Il ricordo delle
sue dita amorevoli tra le mie ciocche mi farebbe sanguinare il cuore, se
l’incantesimo non lo avesse sigillato in una bara incatenata tra le costole.
Quando bisbigliava al mio ingenuo orecchio dolci promesse di una
nuova esistenza – addirittura migliore della splendida infanzia vissuta a
Tebessa – mi convincevo che il suo affetto sarebbe bastato a lenire la
sofferenza provocata dalla morte dei nostri genitori. Non avrei mai potuto
immaginare di ritrovarmi abbandonato da lei nel medesimo modo, che mi
sarebbe stata strappata via prematuramente dalla mano assassina dei nemici
della stirpe reale.
Era così giovane, sebbene di cinque anni più grande di me. Troppo
buona e innocente per la fine che le è toccata. Non riuscire a rammentare i
suoi ultimi istanti, le parole che forse mi ha rivolto appena prima di
andarsene, è una colpa che pesa sulla mia coscienza e per la quale non mi
posso perdonare.
I medici di corte sostengono che la violenza del suo trapasso, unita ai
danni cerebrali da me riportati durante il terribile scontro ingaggiato nel
tentativo di proteggerla, abbia comportato sia l’iniziale perdita di memoria
relativa a quell’infausto giorno sia gli episodi di blackout verificatisi in
seguito, di solito proprio in corrispondenza dell’anniversario del suo
omicidio. Sono anche convinti che quanto accadutole sia la principale causa
scatenante della depressione, dell’ansia e degli episodici attacchi di panico,
ma io mi ostino a scartare questa ipotesi. Sono il primo a ignorare il perché.
Lancio un’occhiata all’orologio a pendolo umbertino appeso alla parete.
Sarà meglio sbrigarmi a scendere per la colazione. Ho l’onore e il privilegio
di godere di un invito perenne alla tavola del sovrano degli stregoni italiani.
Sebbene la sua ispezione quotidiana mi metta a disagio, non posso certo
esimermi dal presentarmi, possibilmente in orario.
Nessuno a palazzo sa spiegarsi le attenzioni e la preoccupazione
riservatemi dal re, me compreso. In quanto figlio di sua sorella, ho sangue
nobile e il diritto di essere sostenuto economicamente dalle casse della
famiglia Solaro, ma nulla gli imponeva di accogliermi sotto il suo stesso
tetto invece di sistemarmi in una delle tante proprietà in suo possesso sparse
per il Paese. E niente lo costringe a trascorrere del tempo insieme o a tenersi
informato circa il mio stato di salute.
Sebbene mi abbia legalmente adottato quando ero ragazzo, prima della
morte di Zora ci comportavamo come poco più di due estranei e solo in
seguito il nostro rapporto si è evoluto. Parrebbe che il lutto per la perdita
della nipote lo abbia addolcito, a differenza di quanto in precedenza
accaduto a seguito del trapasso di mia madre. Forse perché da quest’ultima
si era sentito tradito quando, invece di convolare a nozze con un compagno
adeguato al proprio rango e che avesse la sua approvazione, era fuggita con
un umile stregone del deserto.
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