Magnifico Assedio – Emily Pigozzi


SINTESI DEL LIBRO:
Acqua. L’acqua bollente che scorre sulla pelle è proprio quello che mi ci
voleva.
No, non cancellerà il peso di questa giornata orrenda, di sicuro.
Non basterà a togliermi dalla mente e dallo sguardo tutte le cose che ho
visto, e alle quali ho fatto ormai una sorta di tremenda abitudine. Però mi
leverà almeno in parte di dosso il peso della stanchezza, dell’oppressione.
Immerso nel vapore caldo confondo persino i ricordi, e questa è in assoluto la
parte che preferisco. Mi passo le mani ruvide sul petto muscoloso, sul ventre
tonico, sulle natiche, sul sesso già pronto e turgido al pensiero della serata
che mi aspetta. Mi sfioro con forza, quasi con cattiveria, quasi fossi una sorta
di nemico di me stesso. Come per riscuotermi dai brutti pensieri, per
ricordarmi che, in un modo o nell’altro, la parte più animale e sensibile di me
è sempre viva.
Viva nonostante il dolore che cerco di soffocare, nonostante il peso del
rifiuto, dei ricordi, quel macigno nel cuore invisibile eppure più pesante
dell’aria che respiro.
Chiudo gli occhi e mi tuffo sotto il getto d’acqua, la manovella girata al
massimo.
Per un istante mi manca il fiato: l’acqua invade le narici, le orecchie, tanto
che quasi mi sento soffocare. In questa atmosfera rarefatta per un attimo sto
bene. Maledettamente bene. Chiudo il rubinetto della doccia e esco per
asciugarmi, ravviando con le mani i capelli bagnati. Strofino sulla pelle
umida il telo che ho portato con me, prima di riporlo in malo modo
nell’armadietto sempre più disordinato. Infilo i miei jeans preferiti, aderenti e
sdruciti al punto giusto, e una camicia chiara, che contrasta con la mia pelle
olivastra. Un po’ di acqua di colonia forte, maschile, uno sguardo alla barba
volutamente incolta nello specchietto. Sono pronto: non mi serve altro.
«Allora? Finito il turno, per oggi?»
«Da cosa l’hai capito, Stef?» ribatto, senza voltarmi, alla voce del mio
collega più anziano.
«Dal profumo. Se fossi di servizio non ti saresti certo conciato così. Un
appuntamento?»
«Non proprio.»
«Oh, come siamo criptici, stasera. Cos’è, ne hai una nuova?»
Scoppio a ridere con fare misterioso, mentre Stefano apre l’armadietto
vicino al mio per riporre la giacca e mi scruta con una smorfia, fingendo di
allontanare con le mani le zaffate della costosa acqua di colonia che ho
lasciato nell’aria. A parte i quasi vent’anni che ci separano, io e lui non
potremmo essere più diversi.
«Può darsi. Ma lei non lo sa ancora» replico, facendogli un enfatico
occhiolino.
«Fai schifo, Fabrizio. Ti scopi tutto quello che si muove. Guarda me: sono
quasi felice di venire in servizio, pensa un po’… a casa mi aspettava
l’ennesimo film d’amore sul divano, tra mia moglie e le mie figlie. Una roba
in cui qualcuno si ammala di cancro e si piangono valli di lacrime,
suppongo» fa una faccia disgustata, ma in realtà i suoi occhi sono pieni di
tenerezza. Stefano adora sua moglie e le sue due figlie adolescenti, anche se
gioca a fare il burbero. E il solo pensiero della sua famiglia felice sul divano,
a guardare un bel film mangiando schifezze nella tranquillità di una casa
serena mi fa male al cuore.
Lo squarcia, mi devasta. È la ferita di qualcosa che non c’è, non c’è mai
stato.
E per quanto mi sforzi non riesco a dimenticare, a rassegnarmi di non
averlo avuto.
«Meglio una lunga notte in servizio, hai ragione» lo sfotto.
«Già. Meglio per me, che di sicuro non batterei chiodo. Ma sono pronto a
scommettere che le ragazze ti cadranno ai piedi, come al solito» ridacchia,
chiudendo con cura l’armadietto.
«Tutto merito della chioma» mi passo una mano nei capelli neri e folti,
volutamente ribelli. Stefano inizia ad avere una bella pelata, e di sicuro non
perdo l’occasione per vendicarmi dei suoi sfottò.
«Non fare troppo lo spiritoso, tu. Ci metto un attimo a farti richiamare dal
commissario.»
«Buona notte, Stef» lo saluto con un ghigno, alzando la mano mentre
attraverso la porta.
«Non fare cazzate. E non metterti nei casini» mi grida, mentre mi
allontano.
Questo, però, non posso garantirglielo.
Arrivo al locale da solo, al solito, guidando la mia Ducati nera come se
volessi dominare il mondo. Le mie notti di caccia sono un territorio riservato
solo a me stesso, una pulsione profonda e incontenibile che non riesco ad
arrestare. È come un richiamo, il richiamo del lupo affamato che ha bisogno
di nutrirsi per continuare a vivere, per affondare nel piacere e nello
stordimento dei sensi i cattivi pensieri. Il mio nutrimento è carne, sempre
carne, l’unico contatto umano vero che mi concedo. Visto il lavoro che
svolgo non posso buttarmi semplicemente nella mischia, come un normale
cittadino: per quanto i casini siano il mio pane quotidiano ho imparato a fare
attenzione a come mi muovo, per preservare quello che è l’unico punto fermo
nella mia vita. Per questo, il club privè che frequento abitualmente fa proprio
al caso mio. Qui siamo tutti volti anonimi, identificati da un semplice e
freddo numero di tessera. Tessera che peraltro io non ho nemmeno. Quando
prestavo servizio nella Narcotici ho avuto modo di conoscere la titolare, e tra
di noi c’è un tacito accordo: io vigilo in maniera discreta dall’alto sulla
tranquillità del locale e delle sue attività; in cambio posso pascolare
indisturbato, infilarmi nella folla senza dare nell’occhio, come un ignoto
ragazzo qualunque alla ricerca di anonime quanto eccitanti avventure. Il privè
è frequentato da individui dei più vari ceti sociali: bella gente, ma anche
persone normalissime alla ricerca di un’evasione momentanea, di qualche
emozione ribelle. La regola che impone a ogni ospite di indossare una piccola
maschera nera per celare il volto garantisce l’anonimato dei clienti. Non c’è
nemmeno bisogno di parlare, perché è risaputo che chi viene qui è in cerca di
una cosa sola: sesso.
Sesso veloce, senza domande, senza impegni. Sesso trasgressivo esaltato
dall’eccitazione del mistero, dal gusto del proibito. Chi frequenta questo
posto potrebbe essere chiunque. Ma è pronto ad annullare se stesso nel
godimento, nella lussuria.
Praticamente un paradiso. Per me di sicuro.
«Guarda qui. Ma bene… Anche stasera abbiamo il nostro ospite più
gradito.»
Aliona, la titolare, mi bacia sulle guance in modo molto teatrale
inondandomi con il suo profumo costoso. Ho già infilato sul volto la mia
piccola maschera nera, uguale a quella che lei stessa indossa, confondendosi
con i clienti. È una donna di mezza età con i capelli curatissimi color del
platino e il seno rifatto, vivace e dalla mente brillante, e si muove come una
Messalina tra i suoi cortigiani misteriosi.
All’interno le luci sono basse e la musica assordante, come da tradizione.
Giochi di luce fendono il buio e saettano nell’aria, mentre un mare di corpi si
muove compatto, in una danza tribale e quasi animalesca.
«Bella gente, stasera. Siamo quasi al completo» mi tenta, arricciando
voluttuosa le labbra dipinte di rosso cupo.
«Ho notato» faccio una smorfia, sentendo l’eccitazione salire mentre già
pregusto l’inevitabile epilogo della serata.
«Sono certa che saprai divertirti, bello mio.»
«Ne sono sicuro. E per quella faccenda… non preoccuparti. Mi guarderò
attorno. Ci starò attento» la rassicuro, serio.
«Te ne sono grata. Lo sai che non voglio casini qui.»
Ricambio il suo sorriso e il cenno della sua mano, come una promessa
solenne, mentre mi confondo tra la folla.
Io non ho mai amato ballare, e mi limito a osservare la massa di corpi che
ondeggia, a percepirne l’odore, i fluidi che mi colpiscono le narici, violenti e
invasivi.
«Una birra, per favore» chiedo al barman dietro al bancone. Non sono un
grande bevitore, l’alcool non mi piace e soprattutto non voglio che mi
annebbi i sensi. Ho bisogno di restare lucido, di avvertire nel pieno delle mie
percezioni tutto ciò che sta per avvenire. Inizio a esplorare con lo sguardo i
dintorni, già eccitato. Non sono particolarmente esigente, tutto sommato.
Sorseggio la mia birra ghiacciata con calma, appoggiato al bancone di marmo
nero lucido. Analizzo qualche ragazza e relativo gruppetto di amiche, mi
lascio stordire dai loro sorrisi abbaglianti, dagli abiti succinti e aderenti, gli
occhi giovani e audaci che la maschera non riesce a celare e che le rendono
tutte affascinanti e splendide.
Nessuna di loro mi colpisce in particolare, come fossero una massa
indistinta di corpi senza volto, senza nessuna personalità.
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