Lezioni di vita – Kaje Harper


SINTESI DEL LIBRO:
Erano le otto di sera di un venerdì qualunque e la Roosevelt
High School era buia e deserta. Le attività sportive e ricreative del
doposcuola erano terminate già da diverse ore. Con il primo
semestre appena agli inizi, non erano previste riunioni urgenti né
progetti dell’ultimo minuto. Gli studenti se n’erano già andati verso i
loro appuntamenti o feste del venerdì sera e gli insegnanti, uscendo,
avevano spento le luci e chiuso a chiave le porte. Si notavano solo i
corridoi vuoti sotto il ronzio subliminale di alcune lampade
fluorescenti. L’edificio era deserto.
Ad eccezione di una manciata di idioti stacanovisti che non
hanno di meglio da fare il venerdì sera.
Tony Hart girò la chiave nella serratura dell’ascensore,
sospirando. Quel dannato affare era fermo al secondo piano e ci
sarebbe voluta una vita prima che scendesse.
Non che non potesse andare in un bar o club. Senz’altro
avrebbe trovato un ragazzo decente con cui passare la serata. Gli
amici gli dicevano che era abbastanza carino da potersi permettere
di scegliere. Ma erano passati mesi dall’ultima volta in cui si era
preoccupato di guardarsi attorno. Tutta quella scena, le finte risate, il
ballare per attirare l’attenzione di qualcuno, quel “che-cosa-posso
mettermi-per-sembrare-figo-ma-non-una-puttanella”…
stava
iniziando a stancarlo. Ciò non significava che voleva smettere per
sempre di frequentare altri uomini, anche se era quello che
sosteneva il suo amico Marty. Si stava solo prendendo una pausa,
concentrandosi su altri aspetti della sua vita.
Come quel dannato ascensore, che sembrava non si stesse
muovendo per niente. In genere avrebbe preso le scale. In effetti,
non ricordava nemmeno l’ultima volta in cui aveva usato l’ascensore
per andare in classe, ma la sua caviglia slogata si stava facendo
sentire e a un certo punto di quella lunga giornata doveva aver perso
l’energia necessaria a salire quelle scale ancora una volta.
La scuola appariva silenziosa quasi in maniera innaturale, i
corridoi formavano lunghi viali di spazio riecheggiante sui pavimenti
di mattonelle grigie e graffiate. Tony fantasticò di vedere gli spettri
degli studenti volteggiare tra gli armadietti in una muta vivacità.
Hart, hai fin troppa immaginazione, si disse. O forse la sera stai
esagerando con le repliche di Buffy.
Finalmente l’ascensore si materializzò con un rimbombo
cigolante. La porta si aprì, il suo debole ding quasi cancellato da un
basso ronzio quando il bidello iniziò a lucidare i pavimenti da
qualche parte in fondo al corridoio.
Vedi, non sei l’unico povero fesso rimasto in questo edificio.
Tony entrò e premette il pulsante del secondo piano e quello di
chiusura delle porte, stanco e impaziente. Un altro carico di libri e
poteva andarsene a casa. Il pensiero della prima birra della serata,
ghiacciata e invitante, gli balenò nella mente. E quel ristorantino
vietnamita in fondo alla strada faceva consegne a domicilio. Per
essere una città del cavolo nel bel mezzo del Midwest, Minneapolis
offriva cucina vietnamita niente male.
Mentre l’ascensore percorreva con riluttanza il suo tragitto verso
l’alto, Tony si complimentò mentalmente con se stesso per il risultato
della raccolta di libri portata avanti dai suoi studenti. I ragazzi
all’inizio non avevano mostrato interesse, ma pian piano si erano
lasciati coinvolgere dal suo entusiasmo. Erano riusciti a raccogliere
più di duecento libri per il progetto della biblioteca infantile che
stavano sponsorizzando. Buona parte dei libri era già stata messa
nella sua auto dai collaborativi, o per meglio dire arruolati con la
forza, studenti dell’ultima ora di inglese. Ad eccezione di quella
prima scatola dimenticata che aveva riposto nello sgabuzzino
quando era iniziato il progetto. Si era ricordato della sua esistenza
solo nel parcheggio e aveva quasi deciso di lasciarla lì fino a lunedì,
ma voleva finire il progetto.
L’indicatore del secondo piano emise un suono. Quando le porte
iniziarono ad aprirsi, Tony fece un passo in avanti con impazienza.
Perciò si trovò alquanto impreparato quando un uomo ben messo
inciampò all’indietro nell’ascensore. Il gomito del tizio urtò il petto di
Tony, spingendolo di nuovo contro la parete. Riconobbe tuttavia le
ampie spalle e il tweed inconfondibile.
«Dannazione, Westin! Fai attenzione a dove vai!» lo aggredì,
aggrappandosi al corrimano quando il movimento lo costrinse ad
appoggiarsi con tutto il peso sulla caviglia dolorante. «Aspetta
almeno che esca.»
L’altro grugnì e lo urtò di nuovo, la parte posteriore della spalla
andò a sbattere contro il suo mento. Forse era ubriaco, ipotizzò
Tony. Spinse stizzosamente l’uomo da parte e cercò di bloccare le
porte mentre si stavano per chiudere, ma Westin per tutta risposta
scivolò lentamente a terra. Mentre Tony lo guardava con sgomento,
l’uomo grande e grosso ruotò la testa verso di lui, il viso bianco
come un lenzuolo, e mormorò qualcosa. Tossì e una bolla di sangue,
spaventosamente luminoso sotto la luce al neon dell’ascensore,
scoppiò e gorgogliò lungo il suo mento. Westin tossì di nuovo, in
modo più debole, e poi rimase sinistramente immobile.
Oh, Gesù! Che diamine…
Tony gli si inginocchiò accanto, allungando un braccio per
toccarlo, la mente che vagliava le varie ipotesi, dall’infarto alla
polmonite e … poi occhi e cervello si sincronizzarono. Non c’era
modo di sbagliarsi circa il manico di un coltello che spuntava dal
petto di Westin.
Il
cuore gli martellò con forza nelle orecchie. Merda, merda,
merda! Westin non si muoveva, non respirava. Tony si rese conto
che parte del suono martellante che sentiva era da ricondursi al
rumore di passi veloci in fondo al corridoio. Per un lungo istante
rimase inginocchiato, come congelato, poi le porte dell’ascensore si
chiusero sui piedi di Westin, emisero un suono di malcontento e si
riaprirono. Quando scattò in avanti e mise la testa fuori
dall’ascensore, il corridoio era vuoto. La porta delle scale a nord si
stava richiudendo.
Potresti inseguirlo, chiunque sia. Dovresti provare a prenderlo.
Invece Tony si sporse per toccare il polso di Westin, poi il collo,
cercando un battito che sapeva non avrebbe trovato. Il davanti della
camicia dell’uomo e la sua giacca erano zuppe di sangue, liquido e
rosso, che ancora fuoriusciva e si accumulava attorno alle sue
ginocchia, sul pavimento. L’odore dell’intestino che si liberava riempì
l’ambiente. Tony deglutì a fatica e uscì dall’ascensore, per poi
rimettervi una mano dentro per premere il pulsante di emergenza e
bloccare quell’osceno chiudersi e riaprirsi delle porte contro i piedi di
Westin.
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