Le belve – Manlio Castagna


SINTESI DEL LIBRO:
La volante della Polizia tagliò la rotonda di via del Mare a sirene
spiegate.
L’autista della corriera inchiodò, lasciandosi sfuggire una mezza
bestemmia. L’altra metà se la ricacciò in gola quando realizzò che il
professore della scolaresca era seduto alla sua destra. Ragazzi di un
liceo di Ferrara, chiassosi e indisciplinati come tu i gli studenti.
La brusca frenata fece ba ere a Giulia la testa contro il finestrino,
risvegliandola dal sonno cupo nel quale era avviluppata. Si toccò la
fronte con una mano, controllando istintivamente di non avere del
sangue.
«Tu o bene, piccola?»
Accanto a lei sedeva Marcello, il suo ragazzo.
«Eh?» Giulia si sentiva stordita, ma non a causa dell’urto. Era più
la sensazione di trovarsi nella zona grigia tra sogno e realtà, a metà
strada tra due mondi. Si accarezzò le spalle, come se avesse freddo.
«Che c’è?» insisté lui.
«No… niente.»
Marcello tornò a guardare il punto in cui era sparita l’auto della
Polizia. «Chissà che cazzo è successo… In un buco di paese come
questo.»
Tresigallo, la meta della loro gita, era una ci adina di poco più di
qua romila abitanti dalle archite ure singolari, risalenti al
Ventennio fascista. Bendati da una nebbia densa e fumosa, gli edifici
sembravano uscire da una breccia temporale, un passaggio verso il
passato, contribuendo a rendere l’atmosfera irreale e dissonante. Un
fascino mesto d’altri tempi.
La faccia di Rachele sbucò dallo spazio tra i due sedili di fronte.
«Ohi, Giuli! Siamo quasi arrivati!»
q
Giulia le regalò un sorriso stentato. Rachele Pedre i era la sua
migliore amica, l’unica a sapere tu o di lei, luci e ombre. E stranezze.
Sopra u o stranezze.
Dall’altoparlante gracchiò la voce stentorea e dal chiarissimo
accento siciliano del professor Clemenza, l’insegnante di Storia.
«Forza, ragazzi! Preparate gli zaini, spegnete i cellulari e vestitevi.
Tra pochi minuti scendiamo!»
«Don’t trust anyone you meet down there.» Samuele D’Orsi, de o
Sam, recitò la frase slogan del suo videogame preferito,
Dungeonmare, con espressione rapita.
“Non fidarti di chi incontrerai laggiù.”
Tu avia non era alle prese con lo schermo del suo S9 ma,
a raverso il finestrino, osservava ciò che si stagliava alla fine del
grande viale alberato che la corriera stava percorrendo.
Un edificio austero emerse dalla nebbia come un’apparizione
malinconica. Le lunghe finestre verticali, la torre bombata, i tre oblò
arrampicati in cima, simili a occhi spalancati sul parco adiacente,
sbiadito come ogni altra cosa, tu o recava con sé una stanchezza
antica, un’aria esausta e sospesa.
Era l’ex ospedale Boeri, meta dell’escursione di quel giorno.
Il brusio all’interno della corriera scemò.
«Ho idea che qui dentro ci divertiremo» disse Enrico Zerbini, in
arte Zerby.
Il suo amico da sempre e compagno di banco Rambo (all’anagrafe
Rambaldo Boldini) annuì lentamente senza distogliere lo sguardo. Li
chiamavano “Inseparabili”, come quei pappagalli che stanno insieme
un’esistenza intera e non possono vivere l’uno senza l’altro.
Rambo era tozzo e muscoloso, ma con un viso da bambino. Si
spinse gli occhiali sul naso e non trovò nulla da aggiungere. Non
quella volta.
Giulia scese tra gli ultimi.
Marcello aveva voluto sedersi in fondo. “Così ce la spassiamo un
po’” le aveva de o.
Il figlio del notaio Zamboni. Le studentesse del Galilei se lo
mangiavano con gli occhi, gustando con sguardo languido il suo
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corpo da statua greca. Tra loro lo chiamavano “Meraviglia”; tu e
tranne la sua ragazza, che gli aveva appioppato il soprannome di
“Piovra”, per via di quelle mani sempre a cercare il suo corpo.
Giulia non aveva problemi a tenerlo a bada, però nell’ultimo
periodo aveva cominciato a dubitare che quella relazione avesse
davvero senso. Era come se stessero insieme perché tu i pensavano
che dovessero stare insieme: i belli della scuola, la coppia più
invidiata. E a volte aveva la sensazione che lui la esibisse a mo’ di
trofeo. Inoltre era decisa a riprendersi il proprio tempo. Ricucire i
piccoli strappi che si erano creati con Rachele a causa della
possessività di Marcello.
“La risolverò in questi giorni” si disse per me ere a tacere l’ansia
che sentiva crescere quando ci pensava.
Il suono argentino delle sue Converse sul sentiero di ghiaia che si
snodava verso l’entrata dell’ex ospedale la distrasse. Le piaceva.
Sollevò lo sguardo e osservò la mole imponente e desolata
dell’edificio. Una scossa dietro la nuca l’avvertì di una nota stonata.
Il Boeri emergeva dal fiato condensato della terra come un grosso
vascello lacerato da una tempesta.
«Benvenuti all’ospedale degli orrori» bisbigliò la ragazza a se
stessa. Una ba uta di cui si pentì presto.
Ad a enderli sul marciapiede c’era un omino buffo. Vestito elegante,
sfoggiava un foulard rosso che spuntava da so o la camicia e un
paio di baffe i bianchi tagliati con la stessa perizia con cui un
giardiniere esperto terrebbe in ordine le siepi. A completare il
quadro, un riporto imbarazzante che gli ricopriva gran parte del
cranio. Nel complesso dava l’idea di un individuo fuori tempo, un
agente di commercio uscito da una pubblicità degli anni Sessanta.
«Eccoci qua!» esclamò il professor Clemenza tendendo la mano.
«Lei dev’essere l’archite o Isnardi, la nostra guida…»
Un’altra sirena in lontananza.
«Stanno venendo a prendere te, Pirani!» ghignò Rambo.
«Hanno scoperto che nascondi la droga su per il culo» gli fece eco
Zerby con la sua voce nasale.
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