La sindrome di Stendhal – Catherine BC

SINTESI DEL LIBRO:
Le luci stavano trasformando la città in
quella sera di maggio. Sembrava che
seguissero la dolce brezza che arrivava
da nord-est, facendo brillare le strade e
le piazze come gioielli. Il profumo
intenso dei tigli riempiva ogni quartiere
e la linea elegante dei ponti assumeva un
senso centripeto. Ogni tratta, ogni grande
arteria come ogni vicolo, era orientata
verso un punto preciso, un cuore
pulsante d’aspettativa. Parigi rifletteva
il firmamento e lungo la Senna l’eco di
civiltà lontane nel tempo e nello spazio
trovava pace nello sciabordio dei
battelli. La cultura, la scienza, la vita
stessa prendevano forma, come facevano
da molti anni, al di là del Pont du
Carrousel, oltre i Giardini delle
Tuileries, all’ombra degli antichi fasti
della
corte
reale,
dove
sorgeva
l’imponente museo del Louvre.
Il professor Marc Collins osservava le
sfaccettature straordinarie che la luce
assumeva passando da quell’enorme
caleidoscopio che era la grande
piramide. Sembrava una fucina di fuochi
fatui, l’immagine decadente di un limbo
in cui le anime galleggiavano sospese, in
attesa della sorte loro assegnata.
Racchiudeva un’umanità effimera quella
sera, che si sarebbe esposta in un gran
galà con l’ironica pretesa di eguagliare
in bellezza le opere d’arte. Marc aveva
già deciso che vi avrebbe fatto soltanto
una
breve
apparizione.
Preferiva
lasciare le luci della ribalta e il centro
della scena al nuovo Président directeur
général, Jean-Luc De Blasy, anche se si
era impegnato in prima persona nelle
trattative con Mikhail Ivanov, il
direttore dell’Ermitage, per poter avere
nell’ala Denon Amore e Psyche stanti,
da affiancare alle altre quasi omonime
opere del Canova. La presentazione
della statua doveva essere il clou
dell’evento mondano.
Tutto più inevitabile che utile per il
professor Collins che aveva dell’arte un
concetto trascendente l’essenza stessa
della mondanità. L’arte secondo Marc
era immutabile, eterna. Attimi ed
emozioni fissate per sempre. Creazioni
del genio umano che non sarebbero mai
state
esposte
alla
volubilità
dei
sentimenti. L’arte non tradiva mai, anzi
rimandava tutta la passione che la gente
vi dedicava in egual misura. Ogni opera
non
conosceva
una
successiva
evoluzione, era un punto di riferimento
fermo, una sicurezza. Le sensazioni
umane, invece, erano volubili, soggette a
repentini cambi di direzione, instabili.
L’arte era anche un’amante generosa, ma
esigente. Lo ammaliava, lo coinvolgeva
fino allo spasmo, lo vinceva quasi a
livello fisico. Fin da adolescente
riusciva a vedere il mondo attraverso
prospettive che i suoi coetanei nemmeno
riuscivano a concepire. Riusciva ad
andare oltre ogni apparenza, a intuire la
natura delle persone e a riconoscere la
bellezza in termini assoluti ovunque essa
si fosse rivelata. Così, aveva seguito la
sua passione di sempre e ne aveva fatto
un oggetto di studio approfondito. Alla
Sorbonne si era iscritto al corso di
Archeologia e Storia dell’arte e lì aveva
conosciuto Jean-Luc De Blasy, che si
era rivelato un compagno d’avventure
oltre che di studi. Jean-Luc abitava a
Parigi, dove la punta estrema del VI
Arrondissement riusciva a blandire le
acque della Senna sulla sua riva sinistra,
proprio di fronte all’Ecole National
Superier des Beaux Arts. Un destino che
sembrava già scritto.
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